sabato 11 febbraio 2012

Lavoratori


Alcuni giorni fa, per motivi di salute, ho preso il treno per Milano. A pochi metri dalla stazione centrale, una scena ormai abituale nel nostro Paese: operai arrampicati su un traliccio come, altrove, su una gru o sul tetto di un edificio in grado di sfidare il cielo in altezza. Operai che protestano, gridano, urlano la loro rabbia. E la loro disperazione. Hanno perso o sono sul punto di perdere quella manciata di euro che consentiva la sopravvivenza. Anche alle famiglie.


Scesi in tutta fretta dal Paradiso, sembrano essere tornati, dando l'impressione di essere, o lo sono sempre stati?, tanti. Continuano a licenziarli in massa, a metterli in mobilità, in cassa integrazione... e loro sfilano nei cortei, affollano i banconi delle osterie, cadono in depressione, urlano nei megafoni, mandano segnali: per ricordarci che ci sono, che dormiamo su letti che hanno costruito, che usiamo macchine che hanno  assemblato, che indossiamo abiti che hanno confezionato.
                                                                                                                                                                                                                                      Chi sono oggi gli operai e che peso hanno nell'attuale società? Anche il mio amico Salvatore Lo Leggio nel suo blog se lo chiede, ripercorrendo la Storia operaia attraverso la letteratura che a quella storia ha dato voce. L'operaio artigiano, quello che "costruiva"con le mani , ma soprattutto con la testa e con la fantasia, conferendo agli oggetti funzionalità, solidità e bellezza, non esiste più, si è perso nel buio di tempi lontani. E' stato divorato e travolto dal progresso industriale: dalle logiche della fabbrica, ispirate alla produzione di massa finalizzata al profitto.

Sono stati la manovalanza del "miracolo italiano". Erano gli anni Sessanta: tutti in tuta blu, orari ferrei, cieli plumbei e nebbiosi, cieli del nord... Soldi pochi, ma sicuri. Il lavoro che non richiedeva più fantasia; solo precisione, velocità, attenzione. E obbedienza. Ma i figli avrebbero potuto studiare, diventare "dottori", anche se la fabbrica si mangiava tutte le energie, il tempo e, spesso, anche la salute. Ciò che contava era il profitto, il guadagno del padrone. E lo sviluppo, quello del Paese, che si credeva - con quanta ingenuità - inarrestabile. Le tute blu in piazza facevano paura perché il Sessantotto aveva cambiato tante cose... Di lì a poco Lama e Agnelli si  sarebbero accordati sul "punto unico di contingenza".
Il benessere si diffondeva nel Paese con il tepore di una primavera anticipata.

E gli operai? I sogni di molti sfumarono rivelandosi pure illusioni: altro che figli dottori! Era un motorino nuovo che volevano i loro figli, o il giubbotto e i jeans firmati. A scuola collezionavano bocciature, non s'iscrivevano più ai sindacati e la politica non era più di moda. Si accalcavano ai concerti rock, non ai comizi!
Il Paese diventò più ricco ma più ottuso, quindi meno attento ai segnali di cambiamento. Quanti operai avrebbero dato - poco dopo -  il loro voto a quel padrone così simpatico, così alla mano, così accattivante, così diverso dai soliti padroni da non sembrare nemmeno uno di loro: calcio, donne  e barzellette... Esattamente come tanti di loro (gli operai) alla domenica davanti al bancone del bar.   


Poi, la crisi! Non era la prima, ma questa era veramente dura, tanto dura da far arrivare nella fabbrica più grande del Paese non solo un nuovo padrone, ma un padrone nuovo. Innovativo, lo definì, in tempi non sospetti, Mario Monti; come se rendere più duro, meno retribuito e meno garantito il lavoro in fabbrica fosse per i padroni fare qualcosa di nuovo! La Fiom messa in castigo, restava, resta da cancellare l'articolo 18, compito assegnato al ministro del Welfare Fornovo che, anche se in lacrime, sembrerebbe irremovibile.


Accusato di lavorare male, di essere troppo giovane e sognatore (posto fisso), troppo vecchio (arrugginito), sfigato e, se giovane,  iperprotetto, il lavoratore è diventato il capro espiatorio di una crisi che sta subendo, ma che non ha provocato. Non è lui l'artefice della "economia di carta", né della globalizzazione...

Scesa dal paradiso, la classe operaia è finita dritta all'inferno, questo è vero, scoprendo però di essere un esercito: composito, ma enorme. Li ricordate i partigiani in montagna? Alcuni vestiti da contadini, perché tali erano, altri in divisa, parecchi studenti... Un'armata Brancaleone che aveva in comune, però, la voglia di cambiare un mondo ingiusto.

In quell'inferno ci sono, ora,  colletti bianchi e tute blu, ci sono tute rosa, laureati e persone con la licenza media, chi non ha ancora mai lavorato e chi lo ha fatto quasi per una vita. Ci sono LAVORATORI: tutti sulla stessa barca, perché - come recita Brecht - la scelta della non solidarietà, oltre che immorale, è stupida! 
E anche sull'attualità di Marx ci sarebbe da riflettere!

2 commenti:

  1. La classe operaia all'inferno, insieme a tanti lavoratori non operai, condannati alla precarietà, alla povertà, al'insicurezza a vita.Forse è giunto il tempo di ricostruire una solidarietà e, magari, lo dico sottovoce, di organizzarsi in un partito.

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