Piero, "il Professore" come lo chiamavano i compagni, sobbalzò, lo sguardo alla porta d'ingresso e la mano alla cintola, il cuore che accelerava i battiti. Il silenzio colmava la stanza che un pallido sole cominciava a illuminare. Il passo che l'aveva spaventato si allontanò attenuandosi, sommerso da altri più rassicuranti rumori: lo sbattere di una porta, il latrato di un cane, il borbottio di una voce.
Un'altra giornata cominciava con la paura, la rabbia e la determinazione di sempre: spingendolo all'azione. Aveva preparato l'articolo da stampare clandestinamente. Sapeva che, passando di mano in mano, avrebbe raggiunto i compagni, ridando loro fiducia, alimentando la speranza, incitandoli alla lotta...
Il regime si faceva sempre più arrogante, ma la gente ancora non capiva, non si rendeva conto, credeva alle fandonie di quell'ometto impettito e della sua spettrale corte di servi. Aveva incantato anche Hitler che, astro nascente della Germania, aveva attinto a piene mani al fascismo per dare vita al nazismo. E L'Inghilterra si limitava alle schermaglie diplomatiche, la Francia non reagiva, la Russia era una speranza ma...
"Vuoi un goccio di caffè?"
La voce di Mario lo distolse dai sui pensieri.
"Mi ci vuole, anche se questo caffè fa schifo".
"Hai finito l'articolo? Fammelo leggere, se lo capisco io, lo capiranno tutti... " e rise, quella sua risata generosa, contagiosa, che gli illuminava il volto largo e solido, dandogli un'aria da ragazzo, anche se ormai doveva essere sulla quarantina. Era la sua ombra Mario, il suo angelo custode. Lo seguiva, passo passo, attento, fiutando il pericolo... se era ancora vivo lo doveva a lui.
Sapeva che il Debosi era sulle sue tracce, sapeva tutto di quel fascista. Come in un minuetto cortese si controllavano a vicenda: ora preda, ora cacciatore, si perdevano e si ritrovavano. Sentì il dolore che quel nome riportava a galla dilagargli dentro, come una marea che solo la vendetta avrebbe potuto fermare. Filtrato attraverso la razionalità quel desiderio di vendetta diventava senso, espressione di giustizia, ma lui non si raccontava balle, lui sapeva che l'odio che provava era la sua forza. E la sua debolezza. Per questo lo nascondeva e lo controllava. Quale poteva essere il punto debole del fascista? Era abbastanza ricco, era temuto e blandito dal potere che lui, il Debosi, ossequiava. Non aveva figli, ormai i genitori erano anziani... I compagni gli avevano ucciso un amico, un fascista privo di sfaccettature. Un bestione violento e arrogante, conosciuto per le spedizioni punitive che aveva quasi sempre capeggiato. Desmo si chiamava, un'anima nera, più nera della notte e della camicia che esibiva indossandola come una bandiera. E poi c'era la moglie del Debosi, la maestrina venuta dal Nord. Ma di lei sapeva ben poco: era una persona riservatissima, che non aveva amiche né parenti. L'aveva incontrata pochissime volte, di sfuggita, ma anni prima, su un treno, l'aveva aiutato a fuggire, senza sapere chi fosse: d'istinto. Un incrociarsi di sguardi, il suo terrorizzato e quello di lei profondo e partecipe, che avevano, anche se solo per un istante, sancito un'alleanza. Poi, lui era stato raggiunto e preso dagli uomini dell'Ovra, ai quali era miracolosamente sfuggito con l'aiuto di Mario, pochi minuti dopo l'aggressione...
(continua... )
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