lunedì 15 dicembre 2008

Ci fecero credere che...

Ci fecero credere che saremmo entrati, calzati e vestiti, in una nuova età dell'oro. Dissero che ci sarebbe stata una moneta, l'euro, indenne da svalutazioni striscianti e men che meno selvagge. Aggiunsero che saremmo stati tutti eguali in un' Europa senza più guerre, senza inquinamento, senza disoccupazione.

Ci fecero credere che, come alternativa all'Europa, avremmo avuto il disastro, la balcanizzazione del Paese, miseria, inflazione e l'uscita dal consesso dei paesi più industrializzati.

Il mercato, per voce dei suoi sacerdoti (economisti e banchieri), tuonò e sussurrò, snocciolando numeri e elaborando rapporti. Il mondo dell'economia fu ancorato a terra da rigidi parametri che avrebbero assicurato il conseguimento di tutti gli obiettivi prefissati.
La nuova Bibbia venne redatta a Maastricht. E se qualcuno avesse osato "sforare" uno dei parametri? Come un angelo ribelle, sarebbe stato colpito da pesantissime sanzioni pecuniarie, prima, e allontanato dal Paradiso, poi e per sempre.

Non scesero nei particolari, troppo tecnici per il popolino, premurandosi però di far rientrare i trattati attinenti all'Unione Europea nell'ambito della politica estera, sottratta, in base alla Costituzione, alla volontà dei cittadini.

Abilissimi, fecero leva sull'immaginario collettivo richiedendo ai cittadini europei di mettersi in marcia, di andare, di affrontare i sacrifici e le fatiche del viaggio, facendoci sentire come i coloni americani in cammino verse il lontano West, alla conquista di verdi pascoli incontaminati.

Quando, alla prima sosta del nostro andare, ci fermammo a fare i conti fummo in grado di quantificare il costo dell'operazione. Salari e stipendi avevano dimezzato il loro potere d'acquisto, a vantaggio dei beni il cui valore, in euro, risultò raddoppiato.

Ma come? E l'Europa degli eguali? Questa Europa che si andava delineando ampliava, istituzionalizzandolo, il solco tra ricchi e poveri. Un brivido di paura serpeggiò lungo la schiena di molti dei 500 milioni di cittadini dell'Unione.
Ma era soltanto l'inizio.

I capi (pochi, sconosciuti e lontani), assisi a Bruxelles, cominciarono a emanare Direttive comuni. In tutti i campi si cercò di uniformare le regole, ma ogni Paese aveva la sua storia, le sue leggi, la sua lingua e le Direttive venivano recepite con difficoltà e attuate con Regolamenti difformi. Turbinarono nei cieli europei migliaia di documenti, mentre i parlamentari con le loro corti variegate di figli degli amici e mogli dei fratelli (emblematico il caso Bossi: figlio del senatur, respinto per la terza volta all'esame di maturità, ma ritenuto professionalmente e politicamente idoneo) dilapidavano patrimoni in trasferte e recuperi spese.

L'Unione Europea si realizzava compiutamente soltanto a livello monetario e finanziario-creditizio. Leggi e regolamenti, ispirati al principio della prudenza, venivano sostituita da un quadro normativo che consentiva alle banche un'operatività a ampio raggio, molto più redditizia ma estrememamente rischiosa. Il controllo sulle operazioni di borsa e sull'attività delle banche e delle società finanziarie diventava facilmente eludibile mentre nuovi e complessi strumenti venivano introdotti sul mercato a rivoluzionarne l'operatività. Oggi ci chiediamo perché. Forse perché chi aveva voluto l'Unione Europea non desiderava lacci e lacciuoli in campo finanziario? Forse perché era diventata la finanza il settore più redditizio e l'economia di carta il paese di Bengodi?

I problemi legati agli altri settori si liquidarono ricorrendo a una formula a effetto che accontentò tutti: era nata "l'Europa unita nella diversità".
In occasione della gravissima crisi finanziaria, abbattutasi prima sugli Usa e poi sull'Unione Europea, assistendo a summit dispendiosi - al termine dei quali è echeggiato soltanto il grido "Si salvi chi può" - abbiamo preso atto dell'inesistenza di un'Europa politica e della impossibilità, per alcuni stati membri (tra cui l'Italia), di rispettare i parametri di Maastricht.

E ora? Ora, abbiamo capito che il Trattato sull'Unione Europea è stato un libro dei sogni, che noi cittadini siamo stati ingannati e depredati per dare vita a un Far West finanziario, all'interno del quale siamo stati - nuovamente! - spennati come polli natalizi, da quelle stesse banche che, con tanta prosopopea, avevano sciorinato professionalità e lungimirante competenza.

Nel Paese, governato da una casta di burocrati ottusi, parassitari e avidi, una middle class impoverita, arrabbiata e priva di prospettive per i propri figli, esige delle spiegazoni.

Erano questi i verdi pascoli incontaminati?
Qualcuno ha barato al gioco. Pesantemente.
Coloro che hanno distrutto il futuro di una generazione, dovranno risponderne?
Oppure no?

3 commenti:

  1. Il presagio funesto di questa parabola discendente fu il prelievo forzoso del sei per mille sui conti correnti operato dal ministro D'Amato. Un atto profondamente ingiusto sia dal punto di vista del diritto costituzionale, sia da quello meramente etico.
    Ritengo, però, che quando questi signori che ci governano affermano che uscire dall'Europa sarebbe un disastro, dicano il giusto.
    Non è però una questione tecnica-finanziaria come vogliono farci credere, ma semplicemente perchè crollerebbero tutti i mercati virtuali costruiti su presupposti di carta straccia.
    E purtroppo, perseguendo questa politica, hanno distrutto non soltanto il futuro di una generazione, ma di molte altre.
    Fabo

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  2. Ciao Fabo, uscire ora dall'Europa non so quali conseguenze potrebbe arrecare al Paese. Forse non saremmo dovuti entrare...
    Ricordo che, ai tempi, si trattò di scegliere tra diventare l'ultimo dei paesi industrializzati oppure, fuori dall'euro, il primo dei sottosviluppati.
    Forse la nostra stessa posizione geografica, protesi come siamo a lambire l'Africa...Chissà.
    Quello che dico è provocatorio, ma secondo te, abbiamo più in comune con uno svedese o con un egiziano?

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  3. Sono sempre stato scettico sul progetto Europa Unita, anche in tempi non sospetti.
    Il mio scarso ottimismo derivava proprio dal fatto che tutti i popoli europei non condividono nulla.
    Fabo

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