venerdì 3 agosto 2012

Quella casa...

Non so perché, nel dormiveglia del mattino, la memoria non mi ha portato il pensiero, ripetitivo e angosciante, dello spread che sale erodendo sicurezze ritenute acquisite, e nemmeno la rabbia, mista a impotenza, per la vergognosa situazione politica del  Paese, ma mi ha regalato - perché è stato un regalo - il ricordo di "quella" casa... affacciata sui tetti, la grande terrazza macchiata dal rosso dei gerani, le rondini ubriache di sole che sfrecciavano nere nel cielo estivo, "lui" che spellava i peperoni e cucinava gli spaghetti, in silenzio per non disturbarmi, rispettoso di quella che sapeva essere la mia isola felice: la lettura. Aveva capito che anche quella casa, sospesa tra cielo e terra, era un' isola (l'isola che non c'è), anche se io ne coglievo tutta la precarietà, ma senza angoscia, rassegnata all'idea di perderla, vederla svanire in qualunque momento come una illusione ottica o un'allucinazione. Troppo diversi eravamo, noi due, e troppo, entrambi, gelosi della nostra libertà.
Troppa "famiglia" tra noi: la sua, che mal tollerava una divorziata con tre figli, la mia che non  aveva digerito ancora, né mai lo avrebbe fatto, la separazione e che lo considerava, lo considerò sempre un estraneo: troppo allegro, troppo pazzo per prendersi cura di me e di quei ragazzini forsennatamente ostili  a chiunque si avvicinasse alla loro madre. Cosa temevano, che amandolo, amassi meno loro? Perché la felicità fa paura? Ho sempre saputo che avrebbero vinto. Loro.
Abbiamo avuto un solo spazio "nostro", anche se per poche ore rubate a vite frenetiche: quella casa. Piena di libri, di musica, di parole, rabbiose e tenere, risate e pianti, giuramenti non mantenuti, notti passate ad aspettare il mattino, abbracciati, il primo caffè condiviso, prima di riprendere la corsa in quella Milano caotica e rumorosa che entrambi amavamo e odiavamo. Quella casa in cui il cielo era così vicino da dare l'illusione di poterlo toccare, anche se soltanto con un dito.