venerdì 23 aprile 2010

La casa delle bambole - racconto a puntate - (n°14)

"Assomigli a mio padre più di quanto non gli assomigli io" disse. Poi tacque, mentre io crollavo a sedere sul pavimento ingombro di cianfrusaglie, afferrando il bandolo dell'arruffata matassa che era stata la mia vita. "Le domande, quando meno ce lo aspettiamo, trovano una risposta" sussurrò Gloria, aggiungendo "Davvero non avevi capito nulla? Ti ho raccontato anche delle bugie per vedere la tua reazione. Non è stato mio... nostro padre che mi ha insegnato ad aggiustare le bambole. Io ero piccola quando lui morì ad Auschwitz". Ma io non l'ascoltavo. Alla luce di quella rivelazione tutti i punti oscuri e le sensazioni contrastanti, che mi avevano reso incerta e diffidente di fronte a un "sentire" che troppo spesso avevo avvertito come irrazionale e derivante da una mia illogicità di fondo, mi apparivano chiari e... Ma contemporaneamente mi saliva alla gola una rabbia profonda. Al centro di quel trito triangolo amorosa ero stata io a pagare il prezzo più alto, a essere ingannata da coloro di cui mi ero fidata ciecamente e che mi avevano fatto credere di essere ciò che non ero.
"Devo parlare con mia madre e, quanto a te, non mi sento di gettarti le braccia al collo, perché anche tu mi hai ingannata. Come tutti gli altri... " le gridai. Lei assunse quell'espressione contrita che le era congeniale e, tenendo l'anello sul palmo della mano, mi chiese:"Posso tenerlo?"
"Per me... Ha portato soltanto disgrazie. Ma mio padre, l'uomo che mi ha allevato, sapeva che non ero sua figlia? E tu come hai fatto a arrivare fino a me? Ci sono molti punti oscuri: in fondo potresti anche essere una pazza visionaria?"
Lei mi ascoltò in silenzio, senza interrompermi, poi, scuotendo la testa, disse: "Affronta la verità, per dolorosa che sia, come ho deciso di fare io, smettila di vivere nella menzogna". La interruppi: "C'è un particolare: tu non vivi, tu ha scelto di consacrare la tua vita al ricordo di ciò che è stato. Sei diventata la personificazione della memoria: sei la Shoà fatta donna. Non ti sei fatta scrupolo, nessuno scrupolo a travolgere la mia vita, pur di frugare nell'orrore di quel passato che hai reso presente e futuro, perchè sei ancora lì, in quella cuccia di cane dove ti hanno lasciata... "
Lei restò impassibile, non allungò una mano a sfiorare la mia, non mi si avvicinò, si limitò a rispondere alle domande che le avevo fatto e, dopo essersi accovacciata, ritagliandosi uno spazio tra gli oggetti che la circondavano, rispose: "Ricordi quell'investigatore?" e vedendo che annuivo continuò: "E' stato lui il segugio che ti o vi ha ritrovati, quanto a tuo padre... Non so cosa sapesse. Questa è una domanda che dovresti fare a tua madre o... a te stessa".
Non le interessavo più; io, la simpatica Giovanna non la incuriosivo, non era una sorellastra che aveva cercato. Io le avevo consentito di avanzare di un passo sulla strarda della sua vendetta personale. Avvertivo sentimenti contrastanti, ma era un lucido rancore quello che sentivo prevalere, un rancore che osavo tirare fuori per quell'infanzia senza affetto, senza serenità, di cui si era incolpata la guerra, che era diventata il grande alibi di cui tutti si erano fatti scudo per affogarvi i loro piccoli e grandi peccati
Poi, mentre la soffitta si scuriva delle ombre della sera, con tono volutamente leggero, mormorò: "Conservati da qualche parte, ci sono ancora i tuoi giocattoli. Hai mai avuto in dono una bambola?"
Conoscevo quell'intonazione di voce e conoscevo quell'espressione: il segugio era sulle tracce della preda, ma non l'aveva ancora stanata. (racconto a puntate...)