mercoledì 28 settembre 2011

I morti di Marzabotto ci guardano

La Banda Bassotti arraffa tutto ciò che può, accompagnata dal brusio sommesso di un'opposizione che assiste allo scempio sussurrando: "Un po' di stile, signori, un minimo di decenza, altrimenti saremo costretti ad alzare la voce... ".
Il mondo ci guarda. Imbarazzato. Il Paese guarda. Diviso.
Aspetta.
Lo sguardo non si allunga a ipotizzare scenari successivi a un unico e solo evento: l'uscita di scena di Berlusconi. I suoi guai giudiziari, le sue donnine, i suoi discorsi, le sue contraddizioni riempiono la prima pagina dei giornali.
Intorno al Capo i ladri - nei rari momenti in cui non arraffano - cercano nuove alleanze...Tatticismi di maniera coprono il vuoto di una strategia che non si è in grado di formulare.
Il Paese s'incastra, si blocca, affonda...
Nei cimiteri, piccoli come fazzoletti di terra, che punteggiano l'Appenino parmense, lapidi di marmo elencano nomi e date: nati in giorni diversi, morirono lo stesso giorno. Vecchi, bambini e donne massacrati nelle stragi che i fascisti e i tedeschi si lasciarono alle spalle, fuggendo... Vite gettate alle ortiche per un futuro migliore, per un Paese più giusto!
Che tristezza, che rabbia, che vergogna!

domenica 25 settembre 2011

L'orgoglio dell'onestà

La mia schiena va sempre peggio: non regge il sia pur esilissimo peso del mio corpo. Mi avvilisco, rumino sull'idea di scaraventare il pc in cantina e rinunciare alla scrittura, poi ho un soprassalto d'orgoglio ( la struttura portante della personalità non te la cambia nemmeno la malattia!) e telefono a un falegname: anzi a tre appartenenti alla categoria. Il primo non ha tempo, il secondo spara prezzi assurdi, il terzo non ne vuol saper di redigere un preventivo, ma sembra competente e assicura, a parole, che il prezzo sarà equo. E così, tre giorni dopo, mi arriva a casa una specie di carrello, girevole, su ruote, che si può infilare sotto il letto e che mi consentirà di scrivere al computer stando distesa sul letto, sorretta da una incastro di cuscini e cuscinetti.

Sono (quasi) felice... Riprendo a scrivere: a fatica, ma riprendo.

Il giorno successivo alla consegna del carrello, questo simpatico signore - con il quale ho anche amabilmente conversato del più e del meno - vedendomi tra le mani il libretto degli assegni, cambia espressione e, sbrigativo, esclama: "No, no, non voglio assegni, solo contanti.... Non converrebbe nemmeno a lei: 20%, anzi 21%  di Iva!!"

Mi guarda negli occhi deciso, senza il ben che minimo imbarazzo; "Tanti libri alle pareti, ma se non ci fossi io a farle due conti.... " sembra pensare mentre mi allunga uno sguardo dove stupore e commiserazione s'intrecciano. La cosa strana non è questa, la cosa strana è che sono io che mi sento imbarazzata: imbarazzata a chiedere la fattura. Come se stessi facendo una proposta indecente!

Eccolo qui, davanti a me, un esemplare di quella fauna che ha contribuito - e contribuisce - pesantemente al disastro economico e sociale cui stiamo assistendo, eccolo qui ad ammettere, non candidamente ma con forza, quasi spiegasse a un interlocutore un po' ottuso come stanno le cose, che aggirare la legge ( nella fattispecie quella sull'obbligo della fatturazione e del pagamento dell'Iva da parte degli artigiani, nonché dell'Irpef sui proventi percepiti) è normale, se non doveroso. Perché? Perché conviene. Ovviamente!

Mi rammenta, caso mai l'avessi scordato, il mio vantaggio economico; non menziona il suo. E io, ottusa ex professoressa in pensione, malata e un po' rincitrullita, capisco: sì!, di botto trovo la risposta a una domanda, che ne riassume però molte altre, che mi frullava in testa da settimane, mentre correvo dietro a proposte e controproposte, manovre ed emendamenti, articoli di giornalisti e commenti....

Cosa possiamo fare noi, noi semplici cittadini senza potere, noi come singoli individui, di fronte a una crisi di questa portata? Mi sono data tante risposte, ma nessuna soddisfacente e men che meno risolutiva, mi sono affannata a cercare soluzioni di tipo tecnico e/o politico e ora, guardando questo ometto emiliano, dall'aria bonaria (che assomiglia un po' a Bersani) mi verrebbe quasi voglia di abbracciarlo... Sì, perché mi toglie dall'incertezza, mi permette di tracciare di nuovo linee nette per identificare confini precisi, mi riporta all'orgoglio dell'onestà.


E' l'onestà - parola abusata e forse desueta - che ci rende diversi. E' difficile essere onesti ed è maledettamente costoso. Assumere la responsabilità delle proprie scelte non è comodo, per niente! E' da fessi per intendersi. Ma è l'unica arma che abbiamo, individualmente, per cambiare rotta.



Storia di nebbie e acquitrini n°35

Gualtiero entrò nello stabilimento ancora vuoto. Silenzioso. Gli piaceva arrivare prima degli altri, sentire rimbombare i suoi passi, scricchiolare la porta del suo ufficio... Poi, sedersi, aspettando che gli stanzoni della fabbrica si riempissero di gente, in un crescendo di voci e tonfi, e sbuffi, e cigolii. Con pochi gesti precisi raddrizzò alcuni oggetti sulla scrivania e si sistemò comodamente sulla seggiola lasciando scorrere un'occhiata soddisfatta intorno a sé. Sentì l'inconfondibile ticchettio che annunciava l'arrivo della Rosina, un po'affannata, con nello sguardo e nel passo quella voglia malcelata di scappare, di volar via, come un passero su un ramo troppo basso, troppo esposto.
"Sono in ritardo?" balbettò entrando, il maglioncino che già le scivolava dalle spalle, mentre afferrava il grembiule.
"No" rispose Gualtiero, seguendo il profilo di quel corpo sodo di donna che la luce del mattino illuminava,
mentre la sua fantasia maschile già volava e lui immaginava che al maglioncino seguisse la camicetta... Poi, con un fruscio di seta la sottoveste; quella sottoveste che aveva a volte intravvisto - o solo immaginato - in un rapido accavallarsi di gambe.
"No, sono io in anticipo" rispose brusco, recuperando il controllo d sé, mentre un esitante battere di nocche sulla porta dell'ufficio, richiamava la sua attenzione.
"Ah Benedetto sei tu? Vieni, vieni!"
Il ragazzo entrò, un po' impacciato, restando in piedi, il basco tra le mani, davanti alla scrivania. In attesa.
"Siediti e tu, Rosina, lasciaci soli!" esclamò perentorio Gualtiero.
Benedetto si sedette, in silenzio.
"Allora, cosa mi racconti? Hai saputo qualcosa di Primo? E di Giuseppe?"
"No, li ho seguiti all'osteria, ma si sono seduti a un tavolo a parte... " cominciò il ragazzo, al quale Gualtiero non dette il tempo di continuare, interrompendolo con un gesto seccato della mano, mentre borbottava: "Ma non ti sei seduto al loro tavolo... o sistemato accanto, o messo a gironzolare nei pressi... in modo da sentire qualcosa?"
"No" rispose, piccato, l'altro, concludendo "nell'osteria tutti parlavano ad alta voce, e loro sussurravano... e poi temevo s'insospettissero".
"Va bene, va bene, allora continua a seguirli e fammi sapere. Vai,vai... che non ti paghiamo per perdere tempo", concluse Gualtiero, indicando al ragazzo la porta con un gesto eloquente del braccio.
(continua... )

domenica 4 settembre 2011

Sono fortunata...



Francesca, i grandi occhi scuri, accesi, che tradiscono le sue origini meridionali, mi sussurra: ".... Ancora per due anni mi terranno, poi... ? Ma, oggi, è già tanto!"
Ha 39 anni, parecchi dei quali passati a fare lavori precari, spesso "in nero", mal pagati, ben lontani dalle sue capacità, ed è stanca, sì!, Francesca è stanca, mortalmente stanca. Anche il suo rapporto di coppia è entrato in crisi; il compagno ha orari di lavoro inconciliabili con i suoi. Non si vedono mai, e quando succede, litigano. Perché non ci sono i soldi per pagare la rata del mutuo né per andare in vacanza in agosto e, tanto meno, per avere un figlio. Lavorando entrambi: almeno per ancora due anni. 
"E poi?" le domando incerta.
"Poi si vedrà" mi risponde.
"L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro... ", borbotto. 
Lei sorride. Stanca, troppo stanca per rispondere. La sua energia rubata in quello stanzone, con altre seicento operaie, china sulla macchina da cucire otto ore al giorno - ma se vuoi fare gli straordinari sei bene accolta - a fare occhielli. 
Quando esce vede il mondo come un gruviera: tutto a buchi. 
Come un topo. 
"Sono fortunata, sono ancora fortunata.... " sussurra.
A Cernobbio, Mario Monti, agitando le nivee mani dalle lunghe dita, blatera di tassi d'interesse e recessione e prodotto interno lordo e manovra da approvare. Senza indugio. Il suo sguardo non tentenna: glaciale fissa l'ascoltatore: come un gatto, pronto a dare la zampata finale alla preda. 
Come un gatto.