giovedì 29 marzo 2012

Qui, nonna, fioriscono i ciliegi...

Qui, nonna, fioriscono i ciliegi, ma la gente non è allegra. Serpeggia lo sconforto, la rabbia trova sfogo in brontolii sputacchiati tra i denti. Ancora non è esplosa.
Le imprese chiudono: per delocalizzare o definitivamente.
Quando vengono intervistati, i lavoratori hanno la voce spezzata, lo sguardo perso... le donne piangono. La casa di proprietà, la sicurezza duramente conquistata sono diventate incubo... O si riesce a pagare il mutuo alla banca, o fuori! Ma non era nostra? Sì, veramente no. Nì. Quando si perde anche la casa è dura, nonna! La moglie ti guarda con altri occhi, i ragazzi diventano insolenti; pure la Rosina, quella della mensa che quando si chinava a scodellare la minestra lasciava intravedere... le colline del  Chianti, ora, quando t'incrocia gira l'angolo.
"Fateci lavorare di più, pagateci meno, ma fateci lavorare!" urlano gli operai davanti alle fabbriche, dai tetti delle industrie, dai tralicci... Sempre più in alto e sempre più forte. Ma nessuno li ascolta... anche Dio - per chi ci crede - è diventato sordo. Come in guerra. E i prezzi salgono, i partiti litigano, i ricchi scelgono le spiagge più esclusive per le prossime vacanze. I tecnici abbaiano ai forti, ma mordono i deboli... I poveri rubano una confezione di pasta al supermercato, i ricchi svuotano conti correnti milionari... e suscitano ammirazione. Uccidi un uomo e sei un assassino, accoppane mille e diventerai un eroe. Come in guerra, nonna, come in guerra...

Ultime notizie dal fronte: giovedì 29 marzo 2012.

sabato 24 marzo 2012

Cosa farà il Parlamento?

Angeletti e Bonanni sono nomi che i lavoratori non dimenticheranno. Li ricorderanno quando arriverà loro una lettera di licenziamento, quando subiranno ricatti in azienda e dovranno chinare la testa, quando dovranno dire ai loro figli l'ennesimo no, non si può, non abbiamo i soldi... In questa guerra economica, nella quale la posta in gioco è un capitalismo diverso (ancora più aggressivo, ingiusto e feroce) e l'euro solo un mezzo per modificarlo, la trattativa sul "Lavoro" era la Stalingrado da difendere. Con le unghie e con i denti.
Capitale e Lavoro: soldi e dignità! Un'alleanza impossibile? Il sogno di grandi spazi in un mondo che la tecnologia ha reso sempre più piccolo e l'avidità di pochi, ogni giorno, un po' più povero? Per troppi?
Caro vecchio Marx, studiato all'università con giovanile baldanza, devo chiederti scusa per averti letto con leggerezza. Troppa. E averti capito così poco. Troppo poco.
Il Capitale non si sta liberando del Lavoro - sa che non potrebbe farne a meno e la crisi dell'economia di carta lo evidenzia - lo sta soltanto asservendo.
Pochi, e non buoni, i padroni riscoprono la carità e la elargiscono in cambio della dignità. Il buon Marchionne è arrivato al punto di pagare tre operai, ma obbligandoli a starsene a casa. Le idee, certe idee - e lui che ha studiato filosofia lo sa - possono essere più pericolose delle persone. Meglio isolarle (le idee), comprarle (le idee), sommergerle con le preghiere e/o le canzonette e, se ancora resistono, cambiare le leggi che le tutelano.
Cosa farà il Parlamento? E' l'ultima linea di resistenza possibile. Il Paese lo sa.
A proposito chi sono i tre operai cui ho fatto cenno? Sono delegati sindacali Fiom (uno è soltanto iscritto al sindacato) licenziati in quanto tali, ma reintegrati nel posto di lavoro in base all'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. La legge a tutelare dall'arbitrio e dalla tracotanza.
Marx sogghigna, ma ha gli occhi lucidi: di furore e di dolore.

giovedì 22 marzo 2012

Nostalgia di Giorgio Gaber



Si può...
licenziare per arricchirsi
ignorando la "giusta causa"
se hai pazienza te lo consento
e anche te lo regolamento

Si può...
far pagare chi ha già pagato
che il mondo non è quadrato,
è soltanto un po' più tondo
della pancia di un bel prelato

Si può...
con i tecnici a trafficare
e i politici a criticare
la politica far per gioco,
guardie e ladri,
ma sol per poco.

Si può...
se la nave s'inchi(cli)na troppo
far fagotto con una bionda
la divisa (di comandante)
in cabina dimenticare

Si può...
dare un seggio a uno Scilipoti
la parola a un Berlusconi
gli studenti chiamar sfigati,
sfaticati e pure mammoni

Si può...
costruire senza licenza
mescolando cemento e sabbia
se poi crolla
c'è sol la rabbia

Si può...
dir cazzate in televisione
guadagnandoci un bel milione

Libertà, libertà, libertà...

Va in scena la democrazia, ma è solo uno spettacolo

Avrà pianto tutta la notte la Ministra Piagnona o forse ad assolverla, rimirandosi nello specchio, saranno bastate quelle due lacrime - appena un'incrinatura nello sguardo e un tremito nella voce - di cui ha fatto omaggio al popolo dei lavoratori, già sapendo, lei, come sarebbe andata la trattativa.
"Non a distribuire caramelle" è stata chiamata, e lo ha ribadito, ritrovando virile fermezza. Allora perché questa inutile pantomima? Se la "distribuzione" prevedeva "bastonate" - era già deciso! - perché perdere e fare perdere tempo? Perché creare l'illusione che le decisioni dovessero e potessero scaturire da un confronto? 
Perché si recita: si apre il sipario e va in scena la democrazia. Un governo di tecnici conversa, dibatte, sorride... e decide. Il popolo, invitato ad assistere, fischia lo spettacolo, ma gli attori sono imperturbabili: in democrazia così si fa, non si cannoneggia chi protesta. Sorridendo, con appena un filo d'imbarazzo stampato in viso, ci si volta dall'altra parte.
Che schifo e che tristezza!

martedì 20 marzo 2012

Non amo i romanzi autobografici...

In Fai bei sogni di Massimo Gramellini, il protagonista, simile a una falena istupidita dalla luce, gira a vuoto su se stesso, gira, gira, e il mondo gli appare sempre troppo chiaro o troppo scuro. Poi, dal'esterno arriva, sconvolgente, a inserire nella sua vita tutti i colori dell'arcobaleno, la verità, quella verità che lui si è portato dentro da sempre e che gli ha permesso per molti, troppi, anni di reggersi su alibi fasulli.
Da un tragico fatto realmente accaduto, la morte della madre, si dipana la vicenda, incentrata prima sulla negazione della verità, poi sulla la conoscenza della realtà. La prima porta immaturità, la seconda la tanto sospirata conquista dell'autonomia, il salto di qualità che indurrà il protagonista ad abbandonare il bambino che è stato per scegliere l'adulto che sarà. Le figure di contorno sbiadiscono, fluttuanti, le loro emozioni non contano, se non nella misura in cui toccano il personaggio dominante della storia: lui. 
Ottimo giornalista, Gramellini scrittore non mi convince.Perché? Perché non narra una storia, ma la sua storia, che tale rimane fino all'ultima pagina. Tutta l'ironia che serpeggia abitualmente nella scrittura del giornalista, l'acutezza, la prontezza con cui sa cogliere i vari aspetti di un problema, nel libro risultano annacquati. La paura è la sua paura, il  dolore e il senso profondo dell'abbandono hanno la sua taglia, smuovono solo la nostra pietas, mentre, mendicanti d'affetto, allunghiamo la mano per chiedere aiuto, per lenire la nostra solitudine, per ottenere soltanto una carezza distratta e via...
Senza rivolgerci la parola.
In silenzio.

domenica 18 marzo 2012

Differenziali...


In questo paese scandalosamente bello, siamo milioni d’individui… scandalosamente corrotti.
Mario Monti sa tutto sul denaro: su come si spende e su come si risparmia, su come si dimezza e su come si moltiplica… ma non basta: non può bastare. Non più e non ora.
E’ cambiata la morale: più elastica dell’etica ha cambiato look. Non rubare non va più di moda. Rubano tutti, o quasi; non c’è da vergognarsi: c’è di che vantarsi (e fa pure la rima).
Pur prevedendo che il berlusconismo sarebbe risultato contagioso, come immaginare che una vera e propria lebbra si sarebbe estesa dalla classe politica fino al cittadino comune… milioni d’individui infetti? Soltanto ora, attraverso le denunce dei media, intravediamo il vero volto del Paese.
E allora? E allora è dalla morale che dobbiamo partire. O ripartire: bisogna capire le motivazioni e poi agire: intervenire sul piano dell’educazione (dov’è la scuola, dove sono i genitori?) e su quello della sanzione (chi ha reso impotenti i controllori?)
Presidente Monti, non basta recuperare sullo spread tra titoli di paesi diversi, c’è un differenziale di moralità che è andato pericolosamente aumentando, nel tempo e nello spazio. E’ un problema che non la riguarda?

venerdì 16 marzo 2012

Una mattina come tante...


Il suono della sveglia rompe il silenzio e la strappa, se non al sogno, certo al riposo, al tepore del piumone che l'avvolge e che dovrà abbandonare. Alza la tapparella, una tortora le passa davanti al naso e raggiunge il/la compagno/a. Tubano; sono tortore e, almeno loro, si amano. A differenza di quelli del piano di sopra che, se non si odiano, si amano poco o male.
Il suono aspro delle loro voci arriva fino a lei, invadendo il silenzio della stanza. Tra poco scenderà il silenzio, unica alternativa alle urla. Perché non si lasciano? E perché lei, l’inquilina del piano rialzato, non si fa i fatti suoi? Alla prima domanda non è in grado di rispondere, alla seconda… pure. Ha poco da fare, lei, e troppo tempo per pensare… Ma è una risposta banale, che non la soddisfa. In realtà è curiosa, non pettegola, curiosa. Di storie, di alternative possibili o, perlomeno, ipotizzabili. Lei scrive e se ciò che scrive deve essere verosimile, non occorre che sia vero. E’ bastata la tortora, in volo alla ricerca del compagno, e il suono aspro, ringhioso, di una discussione per dare il via a una storia. Lui, lei… e se ci fosse l’altra? O l’altro? Fuorché per le tortore, eccezione che conferma la regola, prima o poi la coppia diventa triangolo: rettangolo, isoscele o scaleno, ma comunque triangolo. Ma se è già difficile in due? In tre è più eccitante, ci vuole poco a sentirsi madame Bovary…
Eccola che scende: batte i tacchi nervosamente sui gradini. I tacchi? Per andare al lavoro?  Ore e ore sui trampoli? Mai cercare lontano il “terzo” che si è insinuato, lesto come una lepre: o è l’amica del cuore o il collega di lavoro. Un’ipotesi non esclude l’altra… Eccola: tacchi a stiletto, calze nere, capelli sciolti. Gonna corta, naturalmente con lo spacco. Ma non girava in jeans e scarpe da ginnastica, un elastico a legarle i capelli? E poi, che ore sono? E’ in anticipo… Lui, dove l’aspetta?
E’ partita, a tutto gas, l’onda scura dei capelli a coprirle lo sguardo.
Tra poco scenderà il marito, ma un po’ più tardi: lui va in ufficio a piedi.
Sorseggia il caffè. Aspetta.
Il marito scende lento, non ha voglia di affrontare la giornata, l’ufficio, la vita. Ha il giubbotto jeans gettato sulle spalle, i capelli arruffati, lo sguardo spento, le scarpe da ginnastica slacciate... Non vede le tortore, si limita a guardarle, non sente l’odore della primavera. E’ immerso nell’inverno, il disgelo per lui non è ancora iniziato… Che spreco. Di vita.
Il caffè le va di traverso: quanto a vite sprecate, lei, è preferibile taccia o, al massimo, si conceda di giocare con le parole e con le ipotesi. Già.

giovedì 15 marzo 2012

Ci sarà un altro tempo...


Sarebbero parole, solo parole invecchiate in una soffitta polverosa, arse dal calore dell’estate o ghiacciate dal gelo. Parole di bambina, piantate come coltelli da un prestigiatore troppo sicuro a un soffio dal viso, a fare da corona a una povera Crista. Nata male, cresciuta peggio, cosa ti aspettavi? Di rompere la catena del dolore, di dare leggerezza al marmo? Non sei Canova, piccola mia, non sei Canova, non puoi dare al tuo dolore muto l’urlo che il marmo aggredito da mani d’artista lascia  affiorare. Non puoi.
Hai tentato, di questo devo darti atto. Hai battuto strade sconosciute, hai affrontato il mare e le sue tempeste. Hai creduto che bastasse l’amore e ne hai dato a piene mani. 
Ora non ne hai più…
Ora sei fredda, dura e vecchia. Hai capito, hai capito che le parole non dette superano di molto quelle dette; hai capito che sono ammuffite, tarlate come abiti di seta. Suonano estranee perfino alle tue orecchie, e sai che sarebbero gracidio di rane sul bordo di un acquitrinio, non canto d’uccello, non coro di cicale rintronate di sole.
Lasciale stare dove sono, lasciale morire in pace. Con te.
Non eri tu quella destinata a spezzare la catena, tu hai dovuto portarla, anche se avevi spalle esili, da bambina prima, da vecchia che la malattia ha piegato, dopo. Non eri tu quella destinata a parlare, a te spetta il silenzio. Lo so che non è giusto, ma la giustizia è rara, è delicata come pizzo… E’dono che sotto il tuo albero di Natale nessuno ha posto.
Perché? Ora non fare più domande, perlomeno non quelle che sai che non avrebbero risposte.
Ora non leggere più per capire e capirti. Ti era sembrata una bella sintesi per ingabbiarci dentro una come te che aveva riempito le pareti della sua casa di libri. Ora sai che non capirai più, e che se dovessi capire non servirebbe a nulla. Ci sarà un altro tempo, ci saranno altri libri, altre parole, altre persone a dire le cose che tu non hai detto, a sanare l’ingiustizia che tu hai subito… Questo lo sai.
Di questo sei certa, come sai che le parole, quelle giuste saranno fuoco, lava, lapilli che solo il mare riuscirà a spegnere.
I vulcani prima o poi esplodono: sono fatti per incendiare il mondo, sommergere terre emerse e farne affiorare altre, nascoste negli abissi. Loro (i vulcani) possono.
Tu no. Accettalo e smetti di soffrire…
    

lunedì 12 marzo 2012

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°2 - Terza parte)

Quando la porta si aprì, Gualtiero non si alzò. Rimase seduto alla sua scrivania, in attesa.
La donna sembrò ondeggiare, incerta, sulla soglia, quasi le forze l'avessero abbandonata. Notò che vestiva elegantemente e portava una cloche che le racchiudeva il volto, accentuandone il pallore. Per un istante si fissarono, poi, Gualtiero si alzò e le andò incontro, lentamente. Capì che sarebbero bastati un movimento falso, una parola di troppo per indurla a voltarsi e a  fuggire, spaventata come un passero su un ramo al solo stormire delle foglie. Ma tutto in Gualtiero, dai movimenti lenti e misurati, al tono della voce, alle spalle larghe e solide, comunicava sicurezza, e lei, la pallida, elegante signora, si decise a entrare. 
Lui la fece accomodare, poi passò dall'altra  parte della scrivania e, a sua volta, si sedette.
Il silenzio piombò su di loro.
Gualtiero le sorrise, benevolo.
"Non so se ho fatto bene a venire... " lei sussurrò, stropicciando tra le mai la borsetta ricamata.
"Lei sa, se è  qui, di avere fatto la scelta giusta"
"Non ne sono certa... "
Silenzio, come fiato sospeso, tra loro.
Ma Gualtiero non aveva fretta, i contadini no ne hanno mai, sanno aspettare che la frutta maturi al punto giusto, che il mosto si faccia vino, che le vacche si sgravino... 
"So che cercate una persona, un uomo... "
... che la vendetta di una donna tradita travalichi l'amore e ne faccia strame.
"Cerchiamo di proteggere la Patria da chi vorrebbe distruggerla" disse Gualtiero e, dopo una pausa studiata, aggiunse "siamo, pardon, sono, uno dei guardiani del nuovo Ordine, dello Stato moderno che il fascismo sta costruendo. Anche per lei e anche grazie al suo aiuto".
"Lo chiamano 'Professore'... " lei sussurrò senza badare alla tiritera dell'uomo davanti a lei.
Gualtiero sentì il sangue scorrergli più veloce nelle vene, ma rimase immobile, senza contrarre un solo muscolo.
Silenzio, di nuovo, e attesa.
Fu la donna a infrangerlo, parlando in fretta, quasi volesse sgravarsi di parole divenute per lei pietre.
"Non importa come l'ho conosciuto, è un uomo affascinante, ha una grande forza comunicativa, sa convincere - quasi sedurre - con le parole e... "
"Capisco" l'incoraggiò Gualtiero, notando che aveva una bella bocca, piccola e piena, rossa come una fragola di bosco, una bocca della quale il 'professore' doveva aver conosciuto la dolcezza...
La donna, ormai un fiume in piena, continuava a parlare, ma a Gualtiero interessavano due cose: nome, cognome e... nascondiglio. 
"Lei conosce il suo vero nome? "
"So che si chiama Pietro".
"Ma il cognome... ".
No, non lo so. Purtroppo! Non lo vedo da mesi... Sembra essere scomparso nel nulla!"
"Quando l'ha visto l'ultima volta?"
"A novembre: era un mercoledì, il 18 di novembre - lo ricordo perché è il giorno del mio compleanno - e lui mi portò un mazzo di fiori: rose, rose rosse... "
Era un uomo galante 'il Professore' o un uomo innamorato? - pensò Gualtiero, ascoltando attento.
"Fu una giornata bellissima... "
Ah le donne! Capaci di tutto per amore, per quel loro amore fatto di rose rosse e promesse. Capaci anche, di fronte a un tradimento, di trasformare l'amore in odio, come un vino buono in aceto da buttare  "
"Dove abitava?"
"Non lo so: mi  disse -allora - che non sarebbe stato prudente, nemmeno per me, conoscere il suo indirizzo".
"Ma dove vi vedevate?"
"In chiesa"
"In chiesa?" esclamò, sorpreso e vagamente divertito, Gualtiero, immaginandoli a baciarsi sotto gli occhi di un Cristo dolente.
"Che chiesa era?"
"Erano chiese diverse".
Era furbo il Professore, ma quell'amore - un lusso per un oppositore del Regime - gli sarebbe costato caro.
"Perché è venuta da me?"
"Sono una buona fascista!" rispose la donna  e, per un istante, sembrò credere anche lei alle sue parole, mentre Gualtiero prendeva appunti, pensando 'E' meno di quanto sperassi, ma l'esca è buona... E prima o poi il pesce abboccherà. E'  soltanto questione di tempo... Pazienza, ci vuole pazienza'
"Il suo nome?"
"Angela De Vecchi... Lei conosce mio padre" disse, esitante.
"Lei è la figlia di De Vecchi?" esclamò Gualtiero mentre uno strano sorriso, un ambiguo sorriso, gli sfiorava il volto massiccio.

domenica 11 marzo 2012

E io comincio, o ricomincio, ad arrancare tra le dune.

Entrata un po' di soppiatto in un mondo che mi era ed è estraneo, sulle mie gambette di ricotta, mi guardo intorno, allungando occhiate miopi/astigmatiche. Si chiama web, ma per me potrebbe essere la Patagonia...
E' una lotta continua, all'ultimo sangue, con tasti sconosciuti che,a volte, lo ammetto, premo a caso finendo dalla Patagonia in terre sconosciute, totalmente ignote...
Indicazioni? Tante, troppe direi, ma totalmente incomprensibili. Lingua usata, l'inglese, da me studiato per molti anni a scuola in frasi del tipo: "Come si sente oggi?" oppure "Il tempo non è dei migliori. Mi farebbe la cortesia di prestarmi l'ombrello?"
Chiedere aiuto non sembra opportuno e suscita, in rapida successione, meraviglia, sorrisi canzonatori, dubbi mal dissimulati sull'intelligenza della sottoscritta. Sono riuscita a premere qualche maledetto tasto che fa apparire la mia immagine su Google, accanto ai post che scrivo, seguita dalle parole "condiviso da te". Non sono ancora riuscita a cancellare questo comando automatico.
Ogni tanto oso chiedere aiuto ai figli che, impietositi, passano un'oretta a fare pulizia sul mio pc, ma a velocità supersonica e introducendo a volte delle modifiche. "Così è più semplice e più rapido" mi dicono e non capiscono che per me è come se mi facessero scendere da una macchina fra le dune del deserto dicendomi: "Così eviti il traffico: vai sempre avanti... " . Al mio "Avanti dove?", mi urlano: "Segui le indicazioni... ", sporgendosi dal finestrino della macchina con il motore già acceso.
E io comincio, o ricomincio, ad arrancare tra le dune.

sabato 10 marzo 2012

Bravo Marchionne!

Oh, Marchionne, Marchionne, moderno Attila in maglione girocollo, ciuffo spettinato e eloquio pacato; Marchionne, che molti imprenditori vorrebbero "Santo subito", con tanto di aureola d'oro e esse maiuscola.
Lo sai che Monti, sì, proprio lui, il Mario che sta salvando l'Italia, ti tiene sul comodino accanto alla sveglia e al santino di Padre Pio? E prega tutte le sere... prega che dal tuo seme nascano, fitti come spighe in un campo di grano, uomini e donne che con gaudio (non imprecando e smadonnando), al primo cinguettio degli uccelli, si rechino in fabbrica e s'incatenino alla catena di montaggio per 18 ore consecutive... Come te. 
Altro che nuove automobili, qui ci vogliono nuovi operai! Sarà dura trasformare questi rissosi esseri dall'elmetto rosso, la voce arrochita dal fumo - la voglia inestirpabile, per il momento, di riposo settimanale, partita di calcio... ah dimenticavo, qualcosa mi mancava... stipendio per vivere, non sopravvivere - in operai esemplari. 
Cosa dici Marchionne? Che a te basta un panino da sbocconcellare alla scrivania e  che di pause non ne hai bisogno perché tolgono la concentrazione? Ma quelli (gli operai) magnano, magnano, e anche i loro figli e le mogli... Si parla tanto di obesità! Bisogna mangiare meno e lavorare di più. Mangiare è solo una cattiva abitudine, fa salire in vecchiaia il colesterolo. Cosa dicono 'sti assatanati? Che la vecchiaia non la raggiungeranno? Che creperanno avvinti alla catena di montaggio che li ingloberà nelle automobili in costruzione?
Be', sarebbe una bella morte, almeno quella eroica, quasi come affondare in mare con la propria nave avvinti al pennone più alto, come capitani coraggiosi. Non si usa più? Ah già... dimenticavo.
Per fortuna hai Monti dalla tua parte che ti apprezza, sa che stai lavorando a un prototipo d'operaio... l'innovazione di prodotto è obsoleta. Ci vorrà ancora un po' di pazienza, ma riuscirai a "produrre" operai silenziosi, obbedienti, frugali, resistenti al lavoro, duttili.
Quel Landini ha parlato di "uomini rotti"? In effetti si deteriorano molto, si ammalano, si deprimono... Be', siamo solo all'inizio, ma i primi risultati sono apprezzabili: hai notato che i peggiori sono quelli targati Fiom o Cgil. No problem. Basta non riassumerli e/o guardarsi bene dall'assumerli, e poi... fidiamoci delle donne, una volta tanto. Tra una lacrima e un sospiro la Ministra Piagnona ce la farà a rottamare l'articolo 18.
Ci vuole solo un po' di pazienza.
Vero Marchionne? 

giovedì 8 marzo 2012

Una ammattì, ma senza mai dare in escandescenze...

Se qualcuno mi regala un rametto di mimosa, giuro su Dio, che me lo mangio con tutte le foglie - pensò, mentre zittiva la sveglia e a tentoni, nel buio, cercava le ciabatte. Si alzò e andò in cucina, la gatta che le si strusciava sulle gambe cercando cibo e coccole. Come biasimarla? In estrema sintesi, non era ciò che anche lei, ogni mattina, per anni, aveva desiderato e cercato, anche oggi, otto marzo del duemiladodici?
Il caffè gorgogliò sommesso nella moka, la gatta ricevette il suo cibo e una distratta carezza, lei si accontentò di quel caffè... amaro e scuro. Quante donne stavano compiendo quello stesso gesto, sentendo nella bocca quello stesso gusto amaro? - si chiese. Aveva troppo tempo per pensare. Nella vita delle donne c'è sempre qualcosa di troppo. O di troppo poco. Anche nella vita degli uomini? Passati gli anni ruggenti del femminismo, diventata vecchia e, suo malgrado, un po' saggia, li guardava (gli uomini) in modo più distaccato, ancora e sempre alla ricerca di un dialogo, un confronto tra diversi, forse impossibile, ma certamente auspicabile. Di quegli esseri alieni continuava a capire poco, solo l'amore e il desiderio avevano creato, a volte, un fragile e momentaneo legame esaltando, non appiattendo, la differenza.
Ora, come una vecchia ritenuta saggia, guardava e ascoltava: storie diverse nell'intreccio, ma fondamentalmente simili nella sostanza. 
I ricordi arrivavano a folate... La cucina azzurra di nonna Lucrezia, la matriarca che aveva partorito dodici figli, seppellendone quattro. Degli otto rimasti solo  i maschi si erano salvati, le quattro femmine erano state stritolate, in buona parte dalla Storia, ma anche "mammina" ci aveva messo del suo. Eppure tutti quei figli li aveva amati, difendendoli come una lupa selvatica... Sradicata dalla sua terra, non si era mai inserita in quella realtà triestina, tra quelle donne considerate le più belle, fiere e libere del Mediterraneo. Aveva chiuso sotto chiave le figlie, facendole appassire come "pensée" scordate in un libro mai più sfogliato, preoccupata più della loro verginità in pericolo che della loro felicità. Eppure, oggi lo poteva ben dire, l'aveva fatto con le migliori intenzioni, pensando di agire "per il loro bene". Le zie le ricordava sottomesse, dolcemente infelici; sempre affettuose e silenziose. La più intelligente era ammattita, ma senza mai dare in escandescenze, e tutti avevano accettato la cosa con un dolore contenuto e una vergogna mai apertamente dimostrata.
Portarla da Weiss, l'allievo di Feud cui spettò il merito di introdurre, partendo da Trieste, la psicanalisi in Italia, no? No, nemmeno lo zio, diventato il maggior esperto di Borsa sotto Francesco Giuseppe, ci pensò.
No, il coraggio, quel suo coraggio che ancora, a tratti, lo sguardo tradiva, glielo aveva lasciato in eredità la nonna materna, quel donnino d'acciaio che aveva sfidato i benpensanti del paese sposando, lei vedova quarantenne e madre di due figlie, un uomo molto più giovane. Era rimasta famosa in famiglia la frase lapidaria "El me piasi e me lo ciogo" con cui aveva troncato ogni tentativo di farle cambiare  idea.
Le due figlie, sua madre e sua zia,  non le avevano mai perdonato questa scelta o, forse, il coraggio che sottintendeva subendo, inacidite, due matrimoni borghesemente infelici.
Ora le vecchie di casa erano sua sorella e lei: nubile la prima, divorziata la seconda, nonché madre di tre figli: uno celibe, una divorziata e una nubile.
Le prime, sua sorella e lei, a entrare nel mondo del lavoro: posto fisso, senza grandi (né piccoli) voli. Sue figlie, nonostante gli studi fatti, nemmeno quello: licenziata una, in "nero" l'altra. Il maschio, come lo zio triestino, nel campo della Finanza. All'estero.
Tre nipotini: due maschi e una femmina, che non vedeva mai.
Otto marzo segnava il calendario; ormai era giorno fatto. Per la strada poca gente, quasi nessuna donna...
Qualcuna nemmeno si muove, tanto domani è il nove! - pensò, respirando la sua solitudine.








lunedì 5 marzo 2012

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n° 1 - Parte terza)

Gualtiero si era oramai sistemato nel nuovo ufficio che dava su una via un po' defilata, fiancheggiata da alberi imponenti. Intorno  all'edificio un giardino spoglio cintato da siepi di bosso. Nella stanza accanto la Rosina, anche lei un po' più sicura, più elegante nell'immancabile camicetta di seta. Una sera l'aveva invitata a cena - un ristorantino un po' isolato - qualche bicchiere di vino di troppo e, nella stanza d'albergo, avevano fatto l'amore.
Era stata la prima volta in cui aveva tradito la moglie... Tradito! Una parola grossa che non poteva etichettare quei pochi momenti di stordimento, quel desiderio soddisfatto in fretta lasciadolo vuoto e freddo come se nulla fosse successo. Tanto che la Rosina aveva continuato a chiamarlo De Bosi, anche nei momenti di maggiore intimità, e lui l'aveva trovato normale: le aveva affidato u nuovo incarico e lei l'aveva espletato: con l'abituale diligenza. Tutto qui. 
Gli avevano assegnato una macchina e un uomo di scorta: un fascista largo di spalle, non troppo intelligente, che lo seguiva dappertutto, mano sulla cintura e aria assurdamente truce. Averlo sempre come un'ombra alle  spalle lo infastidiva, lo disturbava, ma aveva anche finito col renderlo consapevole del valore assunto agli occhi dei suoi superiori. Era importante e quindi andava protetto, salvaguardato da ogni pericolo.
Aveva avuto la percezione di essere seguito. Era uomo abituato a fidarsi di sé, era difficile si sbagliasse.
Percepiva, fiutava il pericolo come un cane da caccia la preda. Lui non faceva il lavoro sporco: era solo un cacciatore di uomini, com'era stato un cacciatore di anatre selvatiche, ora come allora al posto giusto, al momento giusto, non per sparare, per dare l'ordine di alzare la doppietta, sapendo che il colpo non sarebbe andato a vuoto... avrebbe centrato il bersaglio! Soltanto quel maledetto Professore (almeno il suo nome di battaglia lo conosceva) gli era sfuggito! Chissà dove si nascondeva quel grandissimo bastardo? Forse era riuscito a espatriare?
Sembrava scomparso nel nulla.
Si accese una sigaretta, pensieroso.
La Rosina si  affacciò, in punta di piedi, quasi scivolando sul tappeto per non disturbarlo, e rimase incerta a guardarlo.
"Che c'è?" chiese, autoritario.
"Una signora vuole parlare con voi. Chiede di essere ricevuta".
"La conosciamo?"
Quel noi sottinteso fece brillare gli occhi della Rosina che scosse la testa, lanciando  a Gualtiero un'occhiata complice.
"Intendo dire se risulta schedata nei  nostri fascicoli" aggiunse e ribadì "nostri fascicoli", mentre il tono ristabiliva tra loro la dovuta distanza.
"No" rispose la segretaria, lo sguardo che tradiva la delusione.
"Allora sbrigati... Falla entrare".

(continua.... ) 

domenica 4 marzo 2012

Domande e risposte

Ho passato la vita a pormi domande e ad arrovellarmi per dare delle risposte. E ci fu perfino un tempo in cui ebbi la sensazione, esaltante, di averne trovato alcune, anche se poche. Ma presto si rivelarono parziali, se non inesatte o decisamente sbagliate. E allora ricominciò il rovello dei pensieri...
Le ho cercate, e le cerco ancora, nei libri  che tappezzano le pareti di casa mia, le ho cercate negli occhi e nelle parole degli altri, nei tramonti che affogano nel mare, nelle albe che fanno esplodere la luce nel mondo ma non illuminano gli spazi chiusi, solitari, della mente.
Qual è l'origine delle domande? La curiosità da soddisfare, l'angoscia da calmare nell' illusione di esercitare un controllo sulla realtà che ci circonda? La disperata ricerca di sicurezza?
La religione (cattolica) ci sussurra "credi senza chiedere", invitandoci a gioire della nostra limitatezza; Mussolini, l'uomo forte, ci aggiunse "obbedisci" e, non pago, quel "combatti" ( che avrebbe eliminato, in un sol colpo, domande  e portatori delle stesse), consentendoci di demandandare ad altri la fatica, e la responsabilità, di dare risposte.
Ma le domande sono tenaci, non mollano così facilmente la presa, continuano, ineliminabili come le mosche o le zanzare estive - a ronzare. A ronzare. E quando ne afferri una tacitandola per sempre, ne arrivano altre. A sciami.
La scienza dà risposte concrete, frutto di sperimentazione... ma noi, piccoli bipedi, grandiosi nella nostra ottusità e nel rifiuto di accettarne i limiti, abbiamo bisogno anche di altre risposte, quelle che si elaborano negli spazi impalpabili delle emozioni, dei sentimenti che le suscitano, degli ideali che, dentro,  fiammeggiano. E allora è alla filosofia che ci rivolgiamo, senza disdegnare una capatina nello studio di Freud, che ha avuto la furbizia - a pagamento - di farci scoprire (?) l'inconscio, nel quale, bene o male, si può infilare di  tutto e di più.
Più assolutoria di tre Ave Maria, la psicanalisi può giustificare le nostre pulsioni peggiori dalle quali ci assolve relegandone l'origine in un "Giardino segreto" che, come il Paradiso, se c'è, non si vede: un miraggio, fatto balenare davanti agli occhi di un viaggiatore sperduto che partito a cercare La Risposta ha trovato solo La Domanda, e si è arreso sfinito dopo tanto camminare, scoprendo di essere arrivato... nel luogo da cui era partito.

venerdì 2 marzo 2012

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°24 - Parte seconda)

Girato l'angolo, Gelindo si rilassò. Intorno a lui, protettiva, la notte respirava.
Se la spassa, il De Bosi, si diverte:  lui e la sua bella moglie se ne vanno a festeggiare... Ma non sarà per molto! E' arrivato il momento che la preda si faccia predatore. E' uno precisino il De Bosi, sui suoi spostamenti si potrebbe regolare l'orologio: scelta tattica poco accorta. Evidentemente si sente sicuro, molto sicuro. E' l'arroganza tipica dei fascisti, è il loro punto debole... Il Professore aveva parlato anche della possibilità di rapire la moglie. Ma sarebbe stato difficile gestire un rapimento... e organizzare successivamente uno scambio di prigionieri politici. La città sarebbe stata rivoltata e passata al setaccio: troppi rischi, troppi problemi. Dovremmo fare come i fascisti hanno fatto con Primo: un colpo e via! E che il diavolo se lo porti! - pensò, stringendo i pugni e accelerando il passo.
Gelindo era un giovane operaio, incaricato di seguire Gualtiero, di tallonarlo e spiarlo, senza trascurare gli spostamenti della moglie, anche se il Piano 2, che prevedeva il rapimento, non aveva riscosso grande entusiasmo tra i compagni.
Gualtiero di solito si spostava a piedi, e senza scorta, ma quella sera era arrivato a casa in macchina. E con la moglie, vestita molto elegantemente. Erano andati a una festa, ma dove, da chi? La coppia conduceva una vita riservatissima: lavoro e casa. Al volante della macchina un autista gallonato, non un fascista in camicia nera. Non c'erano in giro molte famiglie in grado di permettersi simili lussi. Avrebbe discretamente indagato.
Era ormai giunto nel suo quartiere e la stanchezza e la tensione accumulate nella giornata cominciavano a farsi sentire. Percorso  l'ultimo tratto di strada, dopo essersi accertato di non essere seguito, s'infilò veloce nell'androne, appena illuminato da una luce fioca che ondeggiava davanti a un'immagine sacra.
Sospirò e respirò a pieni polmoni, togliendosi il  basco in segno di rispetto prima di affrontare le scale. Quell'immagine dolente di donna, con un bambino tra le braccia, gli ricordava sua madre, e  anche se i compagni lo prendevano in giro, lui, nei momenti difficili qualche Ave Maria, tra i denti, la borbottava, intercalata da non rari 'smadonnamenti'.
E la recitò anche quella sera, contento di avere riportato a casa la pelle. Quanto alla coerenza - pensò, introducendo la chiave nella toppa - vada all'inferno e si porti dietro il De Bosi e tutti i fascisti!
"Sei tu Gelindo?"
"Sì, mamma dormi, dormi... "
Ancora qualche fruscio e la notte e il suo silenzio ripresero il sopravvento.

(continua... )

Un'altra donna nasceva e la strada in salita cominciava...

Oggi lo si sa
ieri era un 'Chissà?'
'E' una bambina?'
si chiedeva
Il medico
'Sì, sì... '
ti rispondeva
...
Un'altra donna  nasceva
e la strada in salita cominciava

Lei cresceva
con le bambole e i rossetti, 
lui  giocava alla guerra coi moschetti

Lei cercava l'amore, quello vero, 
quello di lui era sogno,
mis(t)ero,
una chimera, 
a volte, 
perfino un uomo nero,
che lei sondava sui suoi tacchi a spillo, 
che lui provava anche con le squillo.

Poi lui la ingravidava un po' distratto
- è cosa che succede con quell'atto -
di nuovo si chiedeva
"E' una bambina?"
Il medico sì o no ti rispondeva

Nell'ospedale dalle mura bianche
allattavi e tremavi
Eri una madre
e già intuivi,
in mezzo  tanta gioia,
la paura,
l'angoscia,
la fatica,
la strada
che ancor più s'inerpicava,
più stretta diventava
e
...
solitaria.

Tante torte
e tante candeline.
tanti panni lavati, 
alcuni stinti,
tanti risotti,
arrosti 
e anche biscotti
tanti sogni riposti nel cassetto,
tanti buttati
ormai si erano rotti

Il primo amore lo perdi per strada
il secondo non riesce a starti dietro
o non ne ha voglia.
Le prime delusioni,
i primi affanni 
gli errori,
le battaglie
i disinganni

Alla fine ti abitui alla salita
e pensi che la vetta sia vicina,
hai camminato tanto,
le nuvole le puoi quasi toccare
son panna,
piuma,
latte da ingoiare

Quando arrivata in cima 
trovi una croce
all'ombra chiara di una stella alpina 
capisci che hai seguito un' illusione,
come un bambino segue un aquilone.


giovedì 1 marzo 2012

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°23 - Parte seconda)

Marilena camminava in silenzio accanto al marito.Anche senza guardarlo ne intuiva l'espressione calma e soddisfatta di sé. Come dargli torto? Ne aveva fatta di strada il ragazzotto scalzo e ignorante cresciuto lungo le sponde del grande fiume, nell'aia piena di donne, galline e bambini. Con tenacia, passo dopo passo, era arrivato in alto... Aveva ottenuto tutto ciò che aveva desiderato, tutto a eccezione di un figlio. Ma era a lei, a quel suo corpo troppo fragile da imputarsi la causa della mancata maternità. Probabilmente. O, forse, al rovello mentale che la agitava, al rifiuto che ormai provava per il marito... 
" Sei stanca?" 
"Un po'" rispose senza guardarlo.
'Sei sempre la più bella!' - lui pensò, sbirciandola con la coda dell'occhio. La luna la illuminava, accentuandone il pallore, l'aria fresca della notte tratteneva il suo profumo. L'avrebbe riconosciuto a occhi chiusi l'odore della sua pelle, anche tra la folla di una stazione ferroviaria... Sapeva che lei non lo amava più, ma era sicuro che lo temesse e, in fondo, era questo che aveva sempre voluto. Vedere negli altri tremare lo sguardo, farsi balbettante la parola; questo era del potere l'aspetto che più lo gratificava, più lo esaltava. La sua sicurezza ne usciva rafforzata, temprata. 
Il giorno successivo avrebbe lasciato la fabbrica, il suo ufficio e... Rapporti d'amicizia non ne aveva instaurati, cos'era dunque che gli sarebbe mancato? Un'onda rossa gli balenò davanti agli occhi, una gola bianca di colomba, l'odore del sapone da bucato prese il sopravvento sui profumi della notte, tutti, e l'immagine della rossa segretaria gli rimescolò il sangue nelle vene. La Rosina sì, la Rosina gli sarebbe mancata: quella donna era la sua unica distrazione, l'unica concessione fatta alla fantasia, all'immaginazione. Era il pane fatto in casa, la sfoglia rustica tirata dalle braccia solide delle contadine emiliane... La Rosina gli ricordava la sua infanzia, le albe sul fiume che la luce del giorno nascente illuminava, il gracidare delle rane e il canto delle cicale impazzite di sole. L'avrebbe  portata con sé, non ci sarebbero stati problemi. 
E poi, forse... chissà?
"Siamo arrivati". La voce di Marilena interruppe, brusca, il suo fantasticare.
Infilò la chiave nella toppa e aprì il portone.
L'ingresso li ingoiò, scuro ma rassicurante.
Con la leggerezza con cui si stacca una foglia dal ramo in autunno, un'ombra si staccò dal muro, si sgranchì le gambe, intorpidite dalla lunga attesa, e si allontanò. Guardinga.

(cotinua... ) 

Sono mortalmente stanca.

Il treno correva veloce inquadrando una pianura dai colori spenti, percorsa da un vento freddo, ancora invernale. Viaggiatori infreddoliti salivano alle varie stazioni, per piombare come sacchi sui sedili e riaddormentarsi. Accanto a me un signore elegante si attaccava al telefonino cincischiando fra le carte che teneva appoggiate sulle gambe... Parlava d'affari; sembrava angosciato, incerto sulla tattica da seguire. Una ragazza dall'aria spiritata, la testa un'esplosione di capelli come onde in un mare infuriato, andava avanti e indietro, diretta forse alla toilette, trascinando le gambe, il volto da Medusa attonita sotto l'intreccio dei capelli.
Il silenzio era rotto soltanto dallo sferragliamento del treno e dagli squilli dei telefonini ai quali seguivano conversazioni brevissime, stringate. I passeggeri sceglievano di dormire, ancora per un po'. Il controllore non si vedeva: forse anche lui dormiva...
A voce bassa, per non disturbare, scambiavo qualche parola con mia sorella. Era l'unica forma di comunicazione all'interno dello scompartimento. Poi la stazione zeppa di gente: tanta e di tutte le razze. La metropolitana che vomitava persone a getto continuo in un frastuono di rumori diversi, assordanti. Il suono delle voci ricacciato in gola mentre si corre, si corre - Dio sa dove - badando solo che non ti scippino la borsetta,  non ti facciano cadere, non ti rubino il posto passando davanti nella fila - l'ennesima - in cui ti trovi ingabbiato.
Io, con le mie mani impacciate, malate, rallento la corsa. Sento salire il fastidio, qualcuno sospira, seccato. Sbuffa. A me cade il bastone, quello che si china a raccoglierlo sembrerebbe dallo sguardo più  incline a spaccarmelo sulla testa - per eliminarmi, e non solo dalla coda che si va allungando a vista d'occhio - che a porgermelo per permettermi di stare in piedi. Mi scuso. Lui non risponde: sarebbero male parole.
Dove sono quei ragazzi che davano una mano alle vecchiette maldestre? Forse soltanto sui sillabari delle elementari, ammesso che esistano ancora i sillabari...
Arranco tra scale con elevatori non funzionanti, semafori per "normali" - che non prevedono i miei tempi da anatra azzoppata - e piazze che ricordavo ampie e ora mi appaiono sterminate. I ricordi mi aggrediscono dietro ogni angolo, riportandomi a tempi lontani.
Il dentista è velocissimo.
"Se ci sbrighiamo - si fa per dire - potremmo riuscire a prendere il treno dell'una e trenta" dice mia sorella. Avrei voglia di vedere "la piccola", ma le farei attraversare tutta la città nell'ora di punta... un panino rosicchiato in fretta, in macchina. Per vedere questa madre a brandelli?
Come un soldato durante la ritirata dal Don, mi rimetto in  marcia.
Sono mortalmente stanca.