domenica 30 dicembre 2012

Raccconto greco

Koufonisi  aveva trovato scritto su Facebook sotto una macchia d'azzurro e l'onda dei ricordi era arrivata come uno tsunami. Koufonisi, il suo primo impatto con la Grecia.  Una sorta di barcone l’aveva scodellata sulla spiaggia, assieme a due capre, qualche turista e un anziano del posto che accompagnava una barella su cui languiva, più morta che viva, una vecchia avvolta in un vestito nero che sembrava un sudario. Sul fondo della barca erano stati stipati sacchi, damigiane e valigie legate con lo spago, in quantità tale da farle ritenere miracoloso che con quel carico il barcone fosse riuscito a raggiungere la riva senza sprofondare. Era partita con un'amica e le figlie.
Sull'isola pochissimi turisti, le solite onnipresenti capre, quattro ragazzotti seduti sui gradini della chiesa a seguire con gli occhi le ragazze, e qualche vecchio a bere uzo nell'unico bar del paese, anche se ci voleva un bel coraggio a chiamare paese quella spruzzata di case.                                                             Circondata dal mare che l’isolava dal mondo, battuta dal vento, che strappava profumi d’oriente a quei cespugli bassi ai quali bastava un pugno di terra tra le rocce per mettere radici, l'isola era di una bellezza sconvolgente, quasi irreale, come i luoghi che popolano i sogni.
Una mattina, mentre passeggiavano sulla spiaggia deserta, avevano incontrarono una zingara: nera di occhi e di capelli, indossava una gonna scura, lunga, e un giubbetto coloratissimo. Al collo, ai polsi e alle caviglie, a ogni suo passo, tintinnavano monili che il sole faceva brillare. Immotivato, un lungo brivido le aveva percorso la schiena. 
"Liberiamocene!" aveva borbottato l’amica, cercando nella borsa che teneva a tracolla degli spiccioli, ma la donna, che ormai le aveva raggiunte, facendo un cenno di diniego con la testa, le aveva già afferrato una mano, rivoltandola sul palmo. Un'occhiata ai segni che la percorrevano... rapida, prima di rialzare la testa e guardarla, in silenzio, mentre lei avvertiva il soffio del vento sulla pelle e di nuovo rabbrividiva.
"Lasciala perdere; vuole leggerti la mano" le aveva detto l'amica, aggiungendo a bassa voce: "Vuole soltanto spillarti un po' di soldi".
"Capisci le sue parole?" lei le aveva chiesto.
"Un po'..." le aveva risposto.
La zingara stava ora sussurrando qualcosa ma, improvvisamente, sembrava incerta. Esitante. Aveva abbassato lo sguardo e ora sembrava fissare l'impronta che il suo piede aveva lasciato sulla sabbia.
"Allora?" lei aveva chiesto interrogativa.
La zingara aveva alzato la testa e mosso un passo, facendole capire che aveva deciso di andarsene.
La razionalità si era scontrata in lei con qualcosa di arcaico, lontano. Indefinibile. Al suo fianco l'amica diceva qualcosa che lei non ascoltava.
"Dille... che la pagherò"
"Vuole il vestito che indossi. Non vuole denaro."
Ormai una specie di frenesia si era impossessata del suo cervello. Volevo sapere... Cosa voleva sapere?
Si era sfilata l'abito di dosso: era un vestito zingaresco, rosso fuoco; la gonna a balze si era gonfiata di vento, la camicetta le era sfuggita di di mano, volando come una nuvola. La zingara aveva alzato gli occhi, il vento aveva smesso di soffiare. Di  colpo. Il vestito ondeggiando nell’aria era  caduto ai suoi piedi.
Si era chinata a raccoglierlo, prima di parlare di nuovo.
"Ha tre figli" aveva tradotto l’amica.
Giusto!
"La polizia verrà a casa sua a comunicarle una disgrazia... "
Si sarebbe rivelata un’informazione corretta.
Le aveva snocciolato, davanti a quel mare che mormorava il canto senza fine dell'acqua, tutto il suo futuro...
"Se perderà questo  semino – e guardandola negli occhi le aveva deposto sul palmo della mano aperta un seme color sabbia - avrà una vecchiaia funestata da una malattia incurabile... "
L'aveva vista allontanarsi lungo la spiaggia, la macchia rossa del suo vestito tra le braccia, l'orma dei passi cancellata immediatamente dall'acqua. Era scomparsa, mentre il semino le scivolava dalla mano, confondendosi con la sabbia.
L'aveva cercata i giorni successivi; nessuno l'aveva vista, nessuno la conosceva, soltanto una vecchia cieca, che parcheggiavano sotto un pergolato, le aveva detto: "Ho sentito il tintinnio dei suoi monili quando mi è passata accanto... viene una volta all'anno, il giorno del solstizio d'estate. Un anno si veste di nero, un anno di rosso e… svela un destino. Indossa abiti bellissimi... A me predisse la cecità".
"Tutte superstizioni" lei aveva mormorato, stringendosi inquieta nello scialle.
"A me chiese un abito nero…” aveva continuato, a bassa voce, l’anziana cieca.
"Non l'ascolti, non ha più il cervello a posto! Taci nonna!" aveva gridato aspra, in uno stentato italiano, la nipote all'anziana donna, dallo sguardo perso nel vuoto
Lei si era chinata all'altezza dell'orecchio della vecchia e le aveva sussurrato : "Il mio... era rosso!"

“Perché proprio a me? “ si sarebbe chiesta tanti anni dopo, senza mai trovare una risposta.

sabato 29 dicembre 2012

In una grigia giornata di dicembre davanti ai quadri di Picasso...

Inquietanti, nelle sale grigie, senza finestre, ovattate, si materializzano le immagini. All'inizio tradizionali: bellissime e immediatamente percettibili danno la misura di un'abilità tecnica ormai acquisita, ma contemporaneamente preannunciano, attraverso l'inquietudine che comunicano, l'esigenza di una ricerca che porti a un approdo più complesso, che forse accorci la distanza che intercorre tra il vero, a cui l'artista attinge, e il verosimile che ne costituisce la deformazione in chiave artistica, ma soprattutto contenga la traccia di questo percorso.
Un artista deve (è costretto) a comunicare le emozioni che la realtà che lo circonda gli accende nella mente e nell'anima. Testimone di guerre feroci, Picasso vive il  dolore, lo sgomento e l'orrore (che esprimerà a livello pittorico in quel capolavoro che è Guernica) sintetizzandoli nel pianto: accorato, impotente, disperato pianto di donna. Ogni donna che piange è una rappresentazione diversa di quello stesso potente, insondabile e universale sentimento che è il dolore.  Ma questa sintesi è frutto di un percorso acquisito assemblando immagine a immagine, sensazione a sensazione nell'animo e nella mente di Picasso. Esattamente come succede a noi tutti. Uno sguardo schiude un'anima, un profilo si fa netto illuminato da un sole nascente, una bocca ridente richiama il suono di una risata, un seno svetta, giovane e prepotente, a svelare il desiderio maschile che pervade l'immaginario di ogni uomo. Ma l'emozione che affiora compatta è il frutto di  un "disordine" temporale/ rievocativo, di "componenti" essenziali che danno vita quasi miracolosamente, grazie al potere di sintesi della mente e dell'anima, a sentimenti che hanno una loro unicità armoniosa. La mano traccia un segno che materializza i frammenti che sfrecciano nella mente e accendono i sentimenti dell'anima. L'immagine dipinta contiene, smembrandoli, tutti gli elementi che hanno segnato il percorso di formazione di qualunque sentimento.
In modo disordinato? No, soltanto non convenzionale. Nuovo.

mercoledì 12 dicembre 2012

Tentando un bilancio...

E' difficile sfuggire alla tentazione di redigere il solito bilancio di fine anno, prima di archiviare, tra i ricordi, anche questo 2012. Nel Paese un doppio governo: quello tecnico impegnato a salvarci dal "baratro" e quello politico/istituzionale, responsabile del baratro, impegnato a salvarsi dalle indagini della Magistratura e dalla furia popolare. 

In corso d'opera il governo tecnico si è rivelato profondamente politico, facendo scelte che hanno penalizzato la classe media, messo il bavaglio ai lavoratori e tutelato i "ricchi". Lo hanno fatto però con grande... garbo, rendendo di nuovo presentabile il Paese nei consessi internazionali.  I politici, quelli veri (?), dietro un accordo di facciata finalizzato a puntellare il governo tecnico, hanno continuato a sbranarsi, rubare, dividersi ecc. dando di sé ben misero spettacolo. 

I cittadini, pur di prendere le distanze da una classe politica ormai sinceramente ripugnante  e non più credibile, oltre ad  allontanarsi dalla politica (scelta evidenziata dal livello raggiunto dall'astensionismo quando si è votato) sono arrivati al punto di  prendere sul serio (ma ci credono davvero?) un comico come Grillo che ha saputo, a suon di sberleffi e parolacce, dare la stura alla loro rabbia. Ora, primo regalo sotto l'albero di questo Natale da ricordare, è tornato in pista il "grande ammaliatore", quel Berlusconi Silvio che tanto danno ha creato al Paese. Sarà ancora pericoloso o  soltanto patetico?

Non snocciolo i numeri della crisi che, greve come una cappa di nebbia sulla Padania, rinserra il Paese in un abbraccio mortale. Fino a quando durerà? L'incertezza, unica certezza,  regna sovrana...

Mi gravano, e mi graveranno, sull'anima certi sguardi che lo schermo televisivo ha rubato di soppiatto alle gente: la disperazione di chi ha perso il lavoro, la paura negli occhi dei terremotati, il dolore infinito delle madri che hanno perso le figlie, vittime di femminicidio...


A livello personale, con la malattia che mi porto in spalla, archivio un anno di vita: dura, difficile, con vuoti pesantissimi, paure, ansie, incertezze... ma anche emozioni, speranze, qualche battaglia vinta, nuove conoscenze, il calore e la complicità dell'amicizia. 

Insomma un altro anno di Vita.

domenica 9 dicembre 2012

Si avvicina Natale...

La cucina esala vapori azzurrini e mormorii femminili. E risate. Si muovono, a loro agio, le due giovani donne in quella che fino a poco tempo fa è stata la mia cucina. "Possiamo?" hanno chiesto, educate. Ho fatto un cenno d'assenso con la testa, un semplice segno d'assenso che ha sancito un passaggio di consegne. Ora guardo, seduta. Loro affettano cipolle, sminuzzano noci e mandorle, dosano, poi assaggiano. Preparano la tavola e chiacchierano: di lavoro, di politica di uomini. Parlano anche di figli, cambiando tono di voce ed espressione. E' arrivato il tempo (e il desiderio) della maternità? Non indago.
Le ragazzine, che appena ieri mi giravano per casa, ora sono due donne: belle, intelligenti, profondamente amiche. Hanno deciso di sottrarmi non alla tempesta di neve che investirà il paese per le festività natalizie, ma alla tempesta dei ricordi, ai bilanci affettivi in "rosso", a quella casa troppo ordinata dove i miei nipoti non irromperanno confusionari e rumorosi, dove la loro madre non porterà più (a Natale) la solita confezione di tè, infiocchettata di rosso con il nastro dorato, dimenticandosi che, da anni ormai, la teina e la caffeina sono veleno per me. Mi porteranno altrove, hanno già organizzato tutto. 
Il risotto è buonissimo; il mio stomaco, abitualmente contratto, gradisce e non protesta. Telefonano il padre dell'una e il moroso dell'altra: sono preoccupati per il ghiaccio che potrebbero trovare al ritorno, ma loro, dopo aver riordinato la cucina, si fanno un caffè e saltano in macchina. Dalla finestra vedo la strada e la notte inghiottirle. 
Prima di partire mi hanno abbracciato. Stretta. Sapevano di giovinezza, spezie e... affetto.

lunedì 3 dicembre 2012

Bersani sembrava ringiovanito, felice, come una sposa il giorno delle nozze...

Com'è strana la vita. Bersani esulta... niente come la vittoria cancella i dubbi dalla nostra mente. Si analizzano le sconfitte, minutamente, sotto ogni aspetto, ma mai nulla di simile si fa o si farebbe in caso di vittoria: è la stessa vittoria che convalida la correttezza delle scelte fatte. Ma chi ha votato alle primarie del centrosinistra per la sinistra  tradizionale? Non certo chi, come spesso i giovani, ricerca un cambiamento ma gli elettori tradizionalmente di sinistra, quelli che si sentono rassicurati dalla continuità delle tradizioni, che non amano i ribaltoni. I "fedeli" a oltranza, quelli della critica sì, ma non distruttiva e... soprattutto dall'interno. Non dimentichiamo che i panni sporchi si lavano in famiglia.
E così la vittoria, nello stesso momento in cui si delinea all'orizzonte, in un tripudio di sorrisi, risate e bandiere al vento, incomincia a scavarsi la fossa. Ha ben poco da ridere Bersani: il lavoro che gli si presenta davanti è difficile, spaventosamente difficile e, non dimentichiamolo, gli errori che il partito che rappresenta ha commesso sono stati elencati, sviscerati, analizzati e... sbandierati. Ai quattro venti. Altri non saranno consentiti.
Il "ragazzino" ribelle che ha sfidato l'autorità del padre ha perso. Sì, ha perso, ma si è fatto un'esperienza sul campo, ha fatto entrare aria fresca nelle stanze del potere e ha acceso dubbi, non convalidato certezze. 
Non ho mai nascosto la mia scarsa simpatia per Renzi, certe sue frequentazioni mi hanno insospettita, il "fuoco amico" è quello che causa la morti più dolorose da accettare... Ebbene sì, però è al linguaggio gestuale che ricorro nei momenti in cui la diffidenza per le parole si fa più acuta, e il volto della sconfitta del ragazzino era una faccia da uomo: sconfitto ma non perdente. Il sorriso scomparso, la parola più  lenta, soppesata finalmente, la stanchezza nello sguardo mescolata al dubbio... ma anche, e non paradossalmente, la precisa consapevolezza che la sconfitta possa aprire le porte a una futura vittoria. Perché, a differenza delle storie (dove il finale scontato è "E vissero per sempre felici e contenti"), la Storia ci ha insegnato che i vincenti di oggi saranno quasi sempre i perdenti di domani e viceversa. Per questo a quel Bersani ringiovanito, felice come una sposa il giorno delle nozze, vorrei raccomandare prudenza, attenzione, e ricordargli che vincere una battaglia, a suon di chiacchiere, non significa vincere una guerra. 

sabato 1 dicembre 2012

Che nottata, ragazzi...

Cosa starà  facendo Renzi? Alle 5 e trentasette minuti è probabile che stia dormendo, sfiancato dalla fatica accumulata in questa ultima settimana di propaganda elettorale. Ha tre figli e una moglie. Parla nel sonno: a raffica, com'è sua abitudine. Ma lei, la moglie, a quel mormorio ininterrotto ha fatto l'abitudine e, nel cassetto del comodino, ha i tappi per le orecchie. Oggi niente camicia (rigorosamente bianca) con le maniche rimboccate e i jeans un po' stinti, oggi giacca e cravatta. Si raccoglie, non si semina, non occorre convincere.. Forse, oggi, è giunto il momento di vincere. Una macchina sfreccia nella notte e illumina, per un istante, il volto del marito. Lo staff ha preso la decisione: i nei andranno tolti. Disturbano, non sono lentiggini. Non ispirano sentimenti di simpatia: fanno pensare piuttosto a Bruno Vespa e a "Porta a Porta"... Eppure lei l'ha conosciuto così e a quei nei è abituata: la rassicura sentirli sotto le dita quando gli fa una carezza. Almeno quelli sono rimasti eguali, a differenza del sorriso. Il sorriso non è più il suo: è diventato meccanico, non contagia gli occhi; appare e scompare a comando; non l'aveva notato: Matteo sorride molto, ma non ride mai. Parla a raffica, sorride, gesticola: convincerebbe chiunque. Le ricorda qualcuno, ma è meglio non ne faccia il nome... 
"Dormi, Matteo, dormi... " sussurra e lui le risponde "Dormire sì, sarebbe la cosa migliore, ma tre ore per notte possono bastare: Mussolini e Berlusconi..."
Lei di politica ci capisce poco ma Mussolini e Berlusconi sarebbe meglio lasciarli stare - pensa, mentre la sveglia inizia a suonare e Matteo a...  parlare. Lei sbuffa, non risponde. Le viene il dubbio che l'abbia conquistata così: a chiacchiere. Forse lo ha sposato come si compera un'edizione extralusso della Divina Commedia da un venditore incollato alla porta.  Per sfinimento.
Bersani, che pure lui ha moglie e due figli, non ha quasi dormito. Ha bevuto troppi caffè, ha digerito male e non è sicurissimo di vincere. Matteo gli ricorda quei botoli ringhiosi che si attaccano agli stinchi e non mollano.
Per tutta la notte, appena si assopiva Matteo gli appariva in sogno e attaccava. Critiche: in buona parte valide, ma... ma lui ha fatto quello che ha potuto. Il conflitto d'interesse, beh, si sarebbe potuto fare meglio, ma c'era in ballo la Bicamerale  e poi... D'Alema e Veltroni non la pensavano come lui. Se avessero avuto più tempo, ma già rivede Matteo che alza la mano e allarga le dita... Sì, cinque anni non sono pochi. E la Politica industriale, la lotta all'evasione fiscale? Il botolo ringhioso non smette di attaccare. Ma scusa, una volta - quanto tempo fa? - le critiche feroci te le facevano gli avversari, non i "tuoi". Vabbè che non c'è più rispetto per gli anziani, ma c'è un limite a tutto! Perché il "ragazzo" non si è messo con Berlusconi  o Casini (no Casini è meglio tenerlo di riserva) o Fini? Perché vuole vincere e governare? Ma basta parlare con chiarezza, se serve le lucciole le lustriamo per benino anche a novembre... 
"Dormi, Pier Luigi, smettila di agitarti" gli dice la moglie, ma fan presto le donne - pensa lui, Bersani, vinca o perda quel Matteo, perché stanotte ha sognato di essere a Troia a rimirare quel cavallo di legno, così bello e misterioso, abbandonato sulla spiaggia... Reminescenze scolastiche?

giovedì 29 novembre 2012

Anna e noi (donne)

Ho riletto Anna Karenina... Perché proprio quel libro a farmi compagnia in queste giornate sempre più corte, scure, fitte di nebbia che avvolge case, colline e pensieri? L'avevo letto anni fa: al mio fianco un uomo che pensavo mi amasse di un amore della stessa qualità del mio - perchè, e già allora lo sapevo, esistono tanti tipi d'amore - nella mia casa la baraonda di tre figli adolescenti, faticosissimi ma vivi, frizzanti e feschi come l'acqua di un ruscello estivo.
L'avevo divorato in fretta quel libro, con quella velocità da folletto che allora caratterizzava il mio modo di leggere, rubando ore al sonno, seguendo soprattutto la storia di Anna, la bellissima, spavalda Anna che alla passione tutto sacrifica, circondata da un mondo falso, stantio, imbalsamato e, apparentemente, immobile. 
Mi aveva colpita che uno scrittore, un uomo, avesse potuto tratteggiare con tanta abilità una figura femminile, dimostrando una conoscenza del "sentire" di una donna così profonda. Amiamo tutti, uomini e donne, ma in modo diverso.
Tolstoj analizza l'amore, inserendolo non solo all'interno di una società che lo imbriglia e lo codifica, ma anche all'interno di caratterialità diversamente sfaccettate. Chi l'avrà tenuto per mano in questo suo percorso di conoscenza, oltre alla sua capacità di scandagliare l'animo umano? La moglie? La madre? Un universo femminile non solo sfiorato ma penetrato con lo sguardo acuto di uno scrittore geniale?
Tolstoj si ferma, basito, solo di fronte al mistero della nascita: il parto della moglie è descritto con occhi  e sensibilità (e terrore) maschili. La descrizione che ne fa è puramente fisica: la donna che partorisce non è più la "sua" donna, è carne strappata e urlante, che si sdoppia dando vita a un fagottino rosso, dal pianto stizzito che lo spaventa e lo allontana. La paternità è fatta di un'altra pasta, è un'acquisizione lenta, legata alla frequentazione, è candela che si accende, fiamma tremula che soltanto nel tempo diventerà incendio. Ma anche la maternità non è la stessa per tutte le donne; Tolstoj infrange il tabù: la passione femminile può sfiorare e modificare il sentimento materno. Anna non ama la figlia avuta dall'amante e - quel che è peggio - non lo nasconde agli altri e soprattutto a se stessa. Anna vive e mostra tutte le sue contraddizioni...
Sullo sfondo la Russia, con i suoi contadini, la nobiltà e l'esercito, i funzionari dello Stato, i salotti, le dame incipriate, i club esclusivamente e rigorosamente maschili. Un mondo che non è immobile, se non agli occhi di chi non vuole cogliere i segnali di un cambiamento che tenta di farsi strada. Intorno ad Anna una folla di personaggi: abilmente descritti e che, ad eccezione del giovane, dubbioso, tormentato Levin (che mi fa pensare a Tolstoj) fa da cornice (perfetta) al personaggio che dà il nome al romanzo.
In Anna lo scrittore racchiude ed esalta la femminilità esasperandone la bellezza, il fascino intrigante, il bisogno di possesso, la dipendenza, gli inganni, il gioco perverso dei ricatti...
Cosa vuole Anna? Vuole l'amore di quel bellissimo ufficiale che incontra in una stazione ferroviaria e che, spudoratamente, la corteggia? O vuole l'uomo, tutto intero, con le sue passioni, la sua mascolinità, il suo mondo che a lui concede ciò che a lei non darà mai? O vuole essere amata di un amore eguale a quello che lei è in grado di dare? Vuole l'imposssibile Anna? Vuole stabilire le regole del gioco, ma (non paga) vorrebbe anche cambiarle?
E sarà questo a perderla?

mercoledì 14 novembre 2012

Albe e... pensieri

C'è un momento del giorno in cui, liberi dalla prigione della notte, ma non ancora ingabbiati nelle regole del giorno, siamo più lucidi, più scoperti e sinceri. Sono quelle albe nebulose nelle quali chi ha la fortuna allungando una mano di sentire il calore di un altro corpo si avvicina e a quel calore si riscalda, per sentirsi meno solo nell'oscurità, nel fredddo, nell'umidità sgradevole di una giornata che si si preannuncia piovosa... E' in quei momenti che, improvviso come un coniglio bianco estratto per magia da un cilindro, ci passa per la mente il pensiero "perfetto". Quello che mancava per far quadrare il cerchio, quello sul quale ruminavamo da giorni... 
Quando mi succede, io penso "Appena mi alzo lo scrivo", poi mi abbandono al sonno. Quando mi sveglio, il sole già alto nel cielo che illumina la stanza e illumina quel pensiero, quello "perfetto", mi accorgo che non appare più così valido, inattaccabile. Ha la saggezza di una di quelle frasi che si leggono sui baci Perugina, è banale, è scontato. E allora capisco che la perfezione non è di questo mondo, è pura llusione, è soltanto un'ipotesi, tra le tante,  resa possibile da una combinazione di bisogni, paure ancestrali e arroganza.  E se fosse questo il pensiero perfetto? No, non è il caso che m'illuda, questa altro non è che una considerazione, venata di saggezza, che qualunque vecchietta della mia età potrebbe fare. E senza attendere il momento magico in cui notte e giorno, per un istante si fondono... e ti confondono.

sabato 10 novembre 2012

Parole d'amore in diretta televisiva

Be', una dichiarazione d'amore, in diretta televisiva, pronunciata dall'uomo più potente del mondo, no, non è davvero uno scherzo. O l'uomo, Obama, è astuto come una volpe e, anche opportunamente consigliato, ha sparato l'ultima cartuccia a sua disposizione, non per vincere (l'aveva già in mano la vittoria) ma per consolidare ulteriormente la propria posizione, contrapponendo a una fedeltà "da mormone", un po' stantia, un amore basato sulla comunanza degli ideali, moderno e scintillante, un guizzo di rosso degno di Egon Schiele( il segno di una passione non solo politica), parole d'amore che volano con  la leggerezza di Chagall...  Oppure, oppure l'uomo è proprio così: è moderno, conscio dei meccanismi da usare per ottenere consenso, circondato da uno staff di esperti efficiente e preparato, istintivamente pronto a capire l'umore della folla che lo applaude, ma ancora capace di un gesto di sincerità, di pronunciare parole d'amore, rischiando, impavido, di passare per un personaggio da soap opera...
Mi piace optare per questa seconda ipotesi, mentre mi passa per la mente un altro potente (locale) e la sua schiera di ragazzine (?), pagate e usate, il bunga, bunga, le barzellette sconce, una concezione della donna offensiva e miope. Greve, come il clima che avvolge a soffoca il Paese.

venerdì 9 novembre 2012

Le donne scribacchiano, gli uomini scrivono?


Ho manifestato fin da piccolissima una passione divorante per la lettura e il gusto del narrare. Vennero considerati limiti, cattive abitudini da sradicare. Mia nonna mi diceva "Sempre a leger, te diventeà una falilulela". Sperava, come mia madre, che migliorassi con l'età, ma io leggevo di notte, nascosta sotto le coperte, quella lampadina con la pinza attaccata al libro... Mia madre mi iscrisse all'istituto tecnico. Troppo svagata le sembravo e incantata dalle nuvole; mi guardava sconcertata: la preoccupava il mio attaccamento alla zia Maria, quel mio sottrarmi ai giochi con i cugini... ma noi  avevamo molte storie da raccontarci, in quella Trieste piena di vento e in quella casa con troppi fantasmi. I parenti si stupirono quando m'iscrissi a Economia. Una donna, negli anni Sessanta, si sarebbe iscritta a Lettere. Ma si stupirono un po' di più quando mi laureai dopo pochi anni. "Meno stupida di quanto sembrasse" - mormorarono aggiungendo "Cosa se ne farà di una laurea in Economia? Una donna!" Mia madre, alzando un sopracciglio, sentenziò: "Tempo sprecato".
Stavolta ebbe ragione: tre figli in nove anni mi tagliarono le gambe. Optai, obtorto collo, per l'insegnamento. Ricominciai a leggere di notte. La luce accesa, tanto il marito non c'era: girava il mondo, lui. A far carriera, cambiare lavoro, vivere. I figli dite? C'ero io. Sempre un po' imbranata, ma molto materna.
Avevo cominciato a scrivere, sul tavolo della cucina, quando i bambini si addormentavano. Il marito non c'era più; in quel suo vagabondare per il mondo si era trovato un'altra donna. Una che non leggeva, sportiva, giovane. Negli occhi di mia madre un rimprovero muto ma evidente. Attribuiva anche l'abbandono a quell'insana, inutile passione. A ben pensarci la passione per la lettura è una delle poche che ci accompagnano dalle elementari alla tomba, anche perché apparteniamo (noi lettori) a quella strana razza alla quale un libro può cambiare la vita. A me capitò con "Il brutto anatroccolol " Di Andersen  e... ancora aspetto di svegliarmi cigno. Io le parole, come altri le farfalle o le conchiglie, le ho sempre collezionate e spesso, quando non riesco a dormire, alzo muri di parole per difendermi all'angoscia che le ore notturne mi comunicano... oppure costruisco filastrocche sonore come canzoni per rompere silenzi troppo angosciosi...
Spesso "scribacchio", a volte - forse? - scrivo.


giovedì 8 novembre 2012

Le prugne non sono sempre dolci

Datemi una parola e vi restituirò un racconto.
"Una parola qualunque?"
"Sì"
Breve silenzio, cercano qualcosa di difficile, i maledetti - penso. E non mi sbaglio.
"Prugna"
"Prugna?"
Ah, la mia maledetta arroganza! Cosa posso...

"Il sole era  estivo, quel giorno di maggio, e inondava la collina penetrando nel fitto del bosco che frusciava di foglie nuove. Sotto, il mare s'infrangeva sulle rocce schiumando. Giovanni, nome di battaglia "Corvo", si voltò, impaziente. Dietro a lui, sul sentiero stretto, aspro, arrancava la ragazzina. Lui l'aveva detto al "Nibbio", il suo capo, di non prenderla quella mocciosa che sapeva ancora di latte, ma il "Nibbio" aveva fatto un cenno  d'assenso con la testa,  senza degnarlo nemmeno di una risposta, e lei era entrata nel gruppo.
Le donne sono già un guaio in condizioni normali, figurarsi in montagna, tra uomini... a dormire tutti insieme.
Aveva visto gli occhi del "Nibbio" addolcirsi, il suo sguardo scivolare su quel corpo di ragazza infagottato nei pantaloni troppo larghi, sperdersi sulla camicia a quadretti, maschile, prima di tornare rapido al volto, agli occhi, quegli occhi scuri, quasi violacei... Eccome se l'veva visto lo sguardo del capo.
"Muoviti!" le disse. Sgarbato.
"Questa è la strada che porta al paese e al pozzo. Dopo il pozzo, girando a sinistra, c'è un oleificio abbandonato, con un magazzino che crolla a pezzi. I messaggi sono convenzionali, sul bordo del pozzo troverai dei sassi: da uno a tre. Per il momento non è necessario che tu "decodifichi", è sufficiente che tu ci sappia dire quanti  sassi hai trovato". E sorrise, sornione, facendo sfoggio di quel "decodifichi" perché lui, il "Corvo" era uno studente universitario...  E lei? Lei non parlava mai: si rannicchiava tra le foglie secche, mangiava il suo pezzo di polenta, le castagne, e ascoltava, zitta. Nessuno sapeva da dove venisse; intuivano nei suoi sguardi spaventati una delle tante storie tragiche che la guerra aveva reso abituali, ma non facevano domande. La Rosina, l'altra donna del gruppo, l'aveva presa sotto l'ala, forse perché aveva perso la figlia sotto un bombardamento o semplicemente perché le donne sono fatte così: a un cuccciolo sperduto offrono sempre asilo. 
Intanto erano arrivati al pozzo. Il "Corvo" avanzava guardingo, il fucile spianato tra le mani che gli tremavano leggermente. Lei dietro, appiccicata, come una mosca sulla carta moschicida.
Sembrava non ci fosse nessuno... Avanzarono  ancora di qualche passo. Si fermarono: intorno a loro, solo la voce del vento e, sul mare, lo stridio dei gabbiani.
Sul bordo del pozzo i sassi. Quattro. Quattro!? E quel bruciore al centro della schiena? - pensò, mentre nel petto gli dilagava un incendio, e le gambe gli si si piegavano e lo stupore si mescolava al dolore storcendogli il viso.
"Perché?" mormorò, e aveva il tono deluso di un bambino umiliato dalla maestra.
Lei rise: una risata aspra che, come un singhiozzo, la squassò... 
L'ultima cosa che vide, gli occhi di lei, erano scuri, grandi, violacei... Come le prugne quando sono mature".

mercoledì 7 novembre 2012

Comincia un'altra giornata

Fa freddo questa mattina,; la Miki smiagola fame e desiderio di coccole, ma io non ho voglia di alzarmi e affrontare le abituali difficoltà dei primi ( e fossero solo i primi) passi... , ma ci sono anche le medicine da prendere. Maglione, calzettoni di lana, l'acqua del tè che già bolle e, e Obama rieletto! La sensazione di calore si fa più acuta; ci mancava solo il "mormone" - penso e mi metto a canticchiare. Miki, a stomaco finalmennte pieno, ronfa di suo...
Macchine scivolano veloci sulla strada: la gente va al lavoro, i ragazzini a scuola; comincia un'altra giornata...

domenica 4 novembre 2012

Gli uomini non cambiano...

Gli uomini non cambiano sussurra, grida, urla Mia Martini e la canzone è molto bella, di alto livello, come appassionata e "sentita" è l'interpretazione della cantante.
Gli uomini, l'altra faccia della luna: quella in ombra... Gli  uomini, quegli esseri strani, fatti di arti e tronco, occhi e orecchi, come noi donne... Io ne ho visti pochi girare per casa: non ho avuto nonni, né cugini, né fratelli; soltanto alcuni zii, lontani, che non hanno mai giocato con me e non mi hanno mai letto una favola. Il padre?, assente. La mia infanzia trabocca di donne, ha il profumo della loro lavanda, della cipria, ha il suono delle loro voci, un'eco lontana di risate e bisbigli. Ho il ricordo di un amico, un ragazzino scatenato, impavido, che mi preferì mia sorella, altrettanto scatenata e temeraria.
In terza media, calzoncini corti e gambe improvvisamente lunghe, la rivincita: lui, il ragazzino che mi osservava dalla finestra della sua classe mentre facevo ginnastica, era un liceale. Mi manderà un bigliettino, mi inviterà a uscire: non lo farò, ma mi guarderò allo specchio con altri occhi, i suoi. All'orizzonte sono apparsi, ormai, quegli strani esseri, quella fauna sconosciuta. Entreranno nella mia vita, emergeranno nei discorsi tra donne, quelle chiacchierate interminabili - sostanzialmente inutili - in cui pianti e risate si incroceranno arrivando ad una sola conclusione: l'immodificabile diversità dei due sessi. Scoprirò, e non sarà piacevole, che questa diversità, a livello sociale, si colora d'inferiorità; scoprirò che il potere è maschile. Scoprirò che la forza delle donne e la loro fragilità sono legate a doppio filo alla maternità. Forse non per tutte, come non per tutte il lavoro, la professione, la carriera sono importanti allo stesso modo, ma certamente per molte. Dopo anni di discussioni, confronti... e contatti diretti, esperienze di pelle e di anima con "loro", i maschi, cosa potrei, in estrema sintesi, concludere? La "diversità" è ricchezza, da conservare e di cui andare fiere: "copiare" gli uomini non è soltanto stupido, è inutile. Le donne vogliono rispetto e libertà di scelta. Facile da dirsi, ma con la crisi che stiamo attraversando è cambiato l'ordine delle priorità e le donne, di nuovo, ne escono e ne  usciranno svantaggiate.
Le donne continueranno a raccontarsi agli uomini che, invece, non smetteranno di "mostrarsi", esibendo medaglie al merito e... muscoli? Non lo so; sono solo pensieri sparsi che mi attraversano il cervello, come nuvole in corsa un cielo che l'inverno già scolora...

giovedì 1 novembre 2012

L'antipolitica diventa politica.

Il Paese si aspettava una protesta, e la protesta è arrivata. Nelle democrazie occidentali la protesta seria, ripeto seria, è affidata al voto. Un politico ha deluso? Si rimanda a casa e se ne nomina un altro. Renzi (il giovanotto che vuole "svecchiare" il Pd a cominciare dall'età anagrafica per finire dove non si sa, o si è capito fin troppo chiaramente...)  l'ha chiamata "rottamazione". Largo ai giovani e ai nuovi linguaggi.
Cos'è successo in Sicilia? Di tutto e di più, a partire da un astensionismo mai registrato prima che già falsa in partenza ogni nostra osservazione; infatti è soltanto la metà dei siciliani che non ha  disertato le urne.  
Se l'astensionismo nell'isola ha radici antiche che affondano soprattutto nel menefreghismo, e quello nuovo (che giustifica l'incremento numerico del fenomeno) si alimenta di rabbia, impotenza, indignazione, c'è tuttavia qualcosa che lega tra loro gli "astenuti" (tutti  gli astenuti) ed è la sfiducia. La sfiducia, più che giustificata, nei confronti dei politici e della politica rende però lo sguardo corto e poco critico e tutto appiattisce in una lunga linea grigia che a nessuno interessa più scavalcare. Prevalgono le generalizzazioni che banalizzano la politica. Capisco quanto possa essere forte la tentazione di gettare dalla finestra i poitici e la politica con loro, ma è arrrivato il momento di fare dei distinguo. La politica non si può "gettare" nella spazzatura, i politici, invece, si possono cambiare (legge elettorale consentendo). 
Ma quale politica dobbiamo salvare? La migliore, quella che non c'è (come la famosa isola) ma che ognuno di noi ha dentro, quella che si alimenta di speranza, di giustizia... Quella rigorosa, di ampio respiro, orientata a dare opportunità ai giovani, trasparenza ecc.? Sì, proprio quella.
I siciliani (più del 50%) però hanno scelto di rottamare il voto, rinunciando all'esercizio di un diritto previsto dalla Costituzione, un diritto costato lacrime e sangue e, non dimentichiamolo, concesso a noi donne soltanto dal 1946. I siciliani che hanno scelto di  protestato votando, hanno scelto Beppe Grillo. In spregio ai politici di professione considerati, in buona parte non a torto, impreparati e ladri.
Beppe Grillo la politica la conosce, l'ha praticata? Sì, sui palcoscenici dei teatri e nelle piazze perché il soggetto in questione è un guitto, è un comico... e ha iniziato la sua carriera politica facendo ridere. Ridi tu che rido anch'io, ha riempito le piazze dopo aver dato vita a un movimento che ha spopolato soprattutto tra i giovani. Perché lo hanno votato? Non è giovane, non sa nulla di politica ma promette una politica da Paese dei Balocchi: libera, anarchica, inventata sul momento, non preparata a tavolino.
Dopo Mussolini, Berlusconi e Bossi, dopo il meno acclamato Di Pietro, oggi l'ultimo Uomo della Provvidenza scelto dagli italiani è lui: Beppe Grillo che, diventato simbolo della protesta, ora sarà però chiamato a governare, quindi, con i suoi, a prendere decisioni, a fare scelte. A  fare politica. Lui si è affrettato a precisare da "attivista", non da politico. Per il momento ciò che emerge di nuovo è ancora e solo il  linguaggio, mentre stantia appare la scelta di tirarsi fuori, restare a guardare e criticare; e basta.
I"grillini", vincendo in nome dell'antipolitica, l'hanno trasformata in politica. Lo hanno capito e promettono che cercheranno d'imparare... 
Sul Pdl disgregato c'è poco da dire. I numeri ci comunicano che è finito. Poi c'è Rosario Crocetta, la "Sinistra" che vorrebbe e saprebbe essere seria, ma potrebbe non avere i "numeri".
Il cambiamento è un'altra cosa. Faticosissimo, fatto sulla propria pelle, sofferto, quotidiano...
Per il momento siamo davanti al "vecchio" che resiste (con tentativi di rinnovamento fatti dall'interno), il al "nuovo" che gioca ancora con le parole. E le promesse.
L'antipolitica diventa, nei numeri, la nuova politica. Vedremo di che "pasta" sarà fatta!




martedì 23 ottobre 2012

Lettera a una dottoressa



Eh no, mia cara dottoressa, non si fa così. Lei sarà pure brava, conoscerà alla perfezione i miei problemi fisici, di parkinsoniani ne avrà viisti molti (come mi ha ricordato con malcelata irritazione una sera all'ospedale), ma, a furia di stare chiusa nel suo studio a occuparsi di corpi e organi, forse si è dimenticata che noi malati possediamo un'anima, continuiamo ad averla con tutto ciò che ne consegue: sentimenti, emozioni e via dicendo. Intuisco che queste "interferenze" emotive la infastidiscano, scombinino le sue ipotesi, rendano incerti e non sempre attendibili i  suoi studi ma, dottoressa, le ripeto e le assicuro che noi, i suoi pazienti, siamo esseri umani. Sofferenti, tremolanti, traballanti, spesso un po' confusi, ma ancora e sempre esseri umani.
Lo sa (no, non credo abbia considerato questo aspetto) quanto mi è costato abbandonare la stampella e affrontare, una mattina d'agosto caldissima e gialla di sole, il marciapiedi sconnesso, la paura di cadere, il silenzio e il vuoto di quella strada, dove ogni mio passo traballante, ogni giramento di testa avrebbero potuto giustificare una caduta e lo "sfracassamento" di queste mie quattro ossa che l'osteoporosi ha reso fragili come il cristallo? No, non lo sa, forse non se n'è nemmeno accorta che non ho più la stampella, forse non le interessa... Lei sa che durerà poco, che la malattia non concede tregue significative, che alla prossima visita arriverò  arrancando, di nuovo arpionata a un appoggio come un pappagallo al suo trespolo. Ma io, dottoressa, passo dopo passo, mattina dopo mattina, ritrovavo non solo il  piacere di camminare, recuperavo i  brandelli della mia dignità e ne facevo ventagli di pizzo, e sorridevo al primo immusonito passante che, seguito dal suo cane, si affacciava all'orizzonte, e poi ridevo, da sola come una pazza, perché, mattina dopo mattina, le mie gambe ritrovavano forza e il mio animo coraggio... Sono stata brava, molto brava, non crede? Dirmelo, quel "brava!" ,accompagnandolo con un sorriso (anche una pacca  sulla spalla sarebbe stata ben accetta) le sarebbe costato tanto? Sì, evidentemente. Infatti mi ha baccchettato sulle dita, per un esame non fatto, per la mia reiterata abitudine a fare "di testa mia"... Mi ha ricordato che sono a rischio di ictus, che alle tante medicine che prendo dovrei aggiungerne altre; le ho ricordato che le statine mi bloccano i muscoli e che me ne frego dell'ictus (questo non l'ho detto, ma lei lo ha capito); ho ribadito la mia scelta  e, sorridendo, le ho rammentato gli operai dell'Ilva: loro ed io possiamo scegliere soltanto di che morte morire oggi, non di morire a tempo debito, di vecchiaia. Non ha apprezzato: il senso del'umorismo non le appartiene. Ha continuato, ormai sul gelido andante, mentre il sole, un incredibile sole ottobrino caldo come una carezza inaspettata entrava dalla finestra aperta..., ha continuato a scrivere.. Poi, mi ha consegnato quel foglietto, lo sguardo che lasciava trapelare quel: "Tanto lei fa quello che le pare... "mentre io, dopo averle risposto affermativamente nel nostro dialogo muto, guadagnavo la porta per filarmela a tutta velocità (si fa per dire), sottraendomi al soffio mortifero e gelido del suo metodo di cura.
"Au revoir" dottoressa o, forse, "adieu"...

domenica 21 ottobre 2012

Vecchiaia in libertà

Anziano non mi piace, è burocratico: il problema degli anziani, la loro solitudine, gli acciacchi, la crescita della popolazione anziana... no, no, preferisco di molto la parola vecchio. E allora l'isolamento dell'anziano diventa  la solitudine del vecchio, frutto di una sua scelta, non  decisione degli altri a suo danno, ma selezione, uso oculato del poco tempo che rimane a disposizione  per vivere meglio, scegliendo con chi trascorrerlo. Non più dovere ma piacere di comunicare. 
Se gli anziani sono un peso, i vecchi potrebbero essere una ricchezza. Sono sinceri, non hanno più la voglia né la capacità di reggere il peso delle bugie, l'attenzione che richiedono, gli aggiustamenti continui che impongono alla realtà perché, fasulla, risulti credibile. I vecchi possono concedersi il lusso di essere sinceri perché non hanno più nulla da perdere; finito il tempo dei progetti, dei cambiamenti - l'ultimo, quello definitivo, la morte, avverrà, come la nascita, indipendentemente dalla loro volontà - possono assaporare il presente, scaldare al sole la loro vecchia pelle di tartarughe, osservare senza ansia ciò che avviene, incamerare ancora un po' di saggezza e di esperienza (è la seconda che si porta dietro la prima) curiosare per scoprirsi sorpresi, ancora e sempre... Un amico mi diceva che si è vivi fino a quando si desidera perché il desiderio non è un progetto, è una curiosità da soddisfare svincolata da scadenze obbligate. Non furoreggia come un fuoco estivo, non esplode come una bomba, non urla... il desiderio, nei vecchi, sussurra e scalda, si ammanta di rughe ma anche di comprensione e tolleranza riportando alla memoria i ricordi, depurati dal rimpianto.
Il vecchio, pur ingabbiato dagli acciacchi, scopre una libertà di essere che non aveva mai conosciuto prima perché, come accade per i bambini, non viene più osservato con attenzione e,se esce dagli schemi, al massimo si prenderà del rimbambito. La vita non si scopre mai del tutto, in rari momenti s'intravede, ma soltanto da vecchi si accetta di viverla anche senza capirla, soltanto da vecchi si soffre meno (oppure si è tanto avvezzi alla sofferenza da non sentirla quasi più) e si perde buona parte della propria arroganza, cominciando a sorridere di quella altrui.

martedì 9 ottobre 2012

Anime in gabbia


Non hanno sbarre né bugliolo né chiavistelli, soltanto letti impilati uno sull'altro a mangiarsi lo spazio esiguo da condividere con altri, eppure da queste prigioni non si fugge. Altro che Alcatraz e progetti di libertà fantasticati, studiati e realizzati con l'happy end di prammatica.
Ci si deve rassegnare a marcire in galera, innocenti. Altro che tre gradi di giudizio, non c'è merito o competenza che tenga; una volta condannati si rimane lì, appesi a sbarre inesistenti a sbirciare la vita degli altri vedendo scorrere le stagioni: la prima rondine che riga di nero il cielo, l'ultima pioggia d'autunno che ha già sapore di tramontana, l'acquazzone d'agosto che spegne l'estate...
A volte ci s’illude di scappare, si allunga un piede, ci si ferma esitanti, in attesa. Un alto passo, un po' più sicuro. Un altro ancora e nessuno ci blocca.
E che ci faremmo fuori?
Ciò che ingabbia protegge o viceversa?
Forgiate dalla paura, sbarre spuntano come funghi.
Crescono come pane lievitato al caldo.
Si dovrebbe rinascere con un altro carattere per fuggire da questo carcere di massima sicurezza.

Non c'è grimaldello che possa liberare dalla sua prigione un'anima in gabbia.

lunedì 8 ottobre 2012

Non credi Miki?

Mi sveglio con una sensazione di curiosità. Fuori, nella strada ancora buia, nera, cominciano a scivolare le macchine. Una dietro l'altra. Sollevo la tapparella e  fari gialli fendono l'oscurità. La mia casa è fredda, l'autunno annuncia pioggia... Dalla cucina mi arriva il miagolio della Miki e, un secondo dopo, la sento  che protesta impaziente strofinandosi  sulle mie gambe ballerine. "Eh no, bella, devi avere pazienza: la sottoscritta non ha più orari da rispettare, è padrona, finalmente padrona di quell'ultimo scampolo di tempo che la vita le ha concesso... Le levatacce alle prime luci dell'alba, i compiti da correggere imbambolata dal sonno, le colazioni da preparare per quei tre ragazzini ancora addormentati (ma che tra pochi minuti cominceranno a litigare tra loro, a protestare), con le lancette dell'orologio in corsa, e il tempo che vola, e l'ansia di fare tutto, sapendo già che sarà impossibile... No, tutto questo è soltanto un ricordo, non mi appartiene più. 
Posso stiracchiarmi lentamente, mangiare con calma, affondare il naso nel pelo soffice della Miki, tornare al letto ancora caldo e dormire un po', oppure farmi la doccia e uscire a comperare il giornale e una focaccina tiepida, mentre il giorno rischiara il cielo, e io l'osservo questo cielo chiaro di ottobre che mi regala un altro giorno, forse difficile, forse divertente, forse doloroso... Magari sorprendente? ma, comunque, mio. Tempo che mi appartiene, che è lì in attesa, ai miei ordini come un servitore solerte pronto a ubbidire".
Il dolore alla schiena che mi ha inchiodata a letto si è attenuato, se mi muovo con cautela mi dà tregua. E muovermi con cautela è ormai una mia acquisita abilità, infatti la mia velocità di crociera è bassa. Sulla strada della vita scivolo, non corro... Ma non provo rimpianto per quelle corse, per tutta quella fretta che mi faceva spesso solo sfiorare la vita, una carezza distratta e via... Per andare dove? Si arriva tutti allo stesso punto, chi percorrendo viottoli di campagna, chi veloci autostrade. "Non credi Miki?" La gatta mi spalanca addosso occhi attoniti coloro topazio e mi osserva muta... Ha capito, ha capito...

martedì 18 settembre 2012

Verità

La verità, tanto invocata, urlata, pretesa, in realtà non la vuole nessuno. E' cibo per stomaci forti. Di ferro.
La verità ti guarda in faccia, non ti molla, ti segue passo dopo passo, che dico, t'insegue. E' spietata.
Vuoi mettere la sinuosa dolcezza di una bugia che ti spalanca davanti la speranza  preparando il terreno all'illusione?
Quale donna è sicura di preferire a un "ti amo" (falso) un "non ti amo più" (vero)?
La bugia ha mille varianti e si alimenta di fantasia, la verità è piatta, immodificabile. Eppure, eppure... come la Terra Promessa, la cerchiamo. Eppure nulla ci ferisce come la scoperta di una bugia o, più frequentemente, di un castello di bugie, perché le bugie sono come le ciliegie: una tira l'altra.
I politici più amati? I più bugiardi, quelli che promettono lavoro, equità, giustizia... un mondo che non c'è.
La verità, aprendo la strada alla consapevolezza, è dolorosa...
Volere la verità, cercarla, significa soffrire.


mercoledì 22 agosto 2012

Camminare


Ho ripreso a camminare: so che è quasi un miracolo. Mi sveglio presto, prestissimo... frutta e pane nella borsa, acqua, medicine, e... via! Non ho una meta precisa, cammino e penso. E guardo.
Un cenno al proprietario del cane che mi sfiora - ormai sono giorni che ci incrociamo - un saluto al giornalaio, mio ex alunno, tra i primi a sollevare la serranda. La stanchezza comincia a farsi sentire, ma io sono decisa a ignorarla. Potrei sedermi su una panchina, un muretto, un gradino, e leggere il giornale, ma io voglio camminare, voglio camminare...
Ricordo mio figlio: a undici mesi decise che era arrivato il momento di camminare, ricordo il sorriso che mi rivolse, incredulo quando, abbandonata la poltrona a cui si era appoggiato, mosse il primo passo traballando incerto come un equilibrista sulla corda...
"Ha bisogno di aiuto, signora?"
"Ma se vado come un treno... " rispondo.
"Ah, scusi... " borbotta lo sconosciuto che mi si è parato davanti e, ora, mi guarda, interrogativo.
Devo sembrargli pazza oltre che handicappata e, invece, sono soltanto felice.

domenica 12 agosto 2012

Donne e democrazia

Non avrei mai immaginato che una democrazia potesse continuare ad apparire tale, conservando ben più di una parvenza di legalità normativa e, contemporaneamente, sbriciolarsi.
Morire di fame o morire di cancro... Questa è l'alternativa offerta agli operai dell'Ilva? Pagare il "pizzo" alla mafia o essere ammazzati? Restare in Italia, disoccupati a vita, oppure fare la valigia ed emigrare? Altra alternativa concessa ai cittadini, quelli più giovani e "dotati", mentre a quelli "datati" si offre la catena (di montaggio)... a vita. Come, neanche più, ai cani.
La democrazia, quella sintesi di libertà, eguaglianza e giustizia che questa parola riassume, già corrosa e indebolita, rischia veramente di diventare un contenitore vuoto, un alibi per delinquere, un concetto senza spessore, privo di significato. 
L'unica risposta non è l'antipolitica, ma la politica quella seria, serissima, e l'esercizio del voto, dopo aver ripristinato una corretta rappresentatività politica.
I miei figli parlano di diritti, ingiustizie, problemi, ma poco, pochissimo, di politica. A causa mia? Non lo so, ma mi sembra un atteggiamento sbagliato, comprensibile ma sbagliato. Ignorare la politica significa lasciarla decidere agli altri, demandare senza scegliere né controllare, tanto "i politici sono tutti ladri".
Soprattutto voi, ragazze, che giustamente protestate perché siete ancora (e pesantemente) discriminate sul luogo di lavoro (ed è soltanto la punta dell'iceberg), non dimenticate che il voto concesso alle donne è  conquista  - se vogliamo - recente: le vostre nonne andarono a votare per la prima volta nel 1946! Non gettate alle ortiche una conquista così importante: senza politica non può esserci democrazia e senza democrazia la libertà... ve la scordate. Per sempre!

venerdì 3 agosto 2012

Quella casa...

Non so perché, nel dormiveglia del mattino, la memoria non mi ha portato il pensiero, ripetitivo e angosciante, dello spread che sale erodendo sicurezze ritenute acquisite, e nemmeno la rabbia, mista a impotenza, per la vergognosa situazione politica del  Paese, ma mi ha regalato - perché è stato un regalo - il ricordo di "quella" casa... affacciata sui tetti, la grande terrazza macchiata dal rosso dei gerani, le rondini ubriache di sole che sfrecciavano nere nel cielo estivo, "lui" che spellava i peperoni e cucinava gli spaghetti, in silenzio per non disturbarmi, rispettoso di quella che sapeva essere la mia isola felice: la lettura. Aveva capito che anche quella casa, sospesa tra cielo e terra, era un' isola (l'isola che non c'è), anche se io ne coglievo tutta la precarietà, ma senza angoscia, rassegnata all'idea di perderla, vederla svanire in qualunque momento come una illusione ottica o un'allucinazione. Troppo diversi eravamo, noi due, e troppo, entrambi, gelosi della nostra libertà.
Troppa "famiglia" tra noi: la sua, che mal tollerava una divorziata con tre figli, la mia che non  aveva digerito ancora, né mai lo avrebbe fatto, la separazione e che lo considerava, lo considerò sempre un estraneo: troppo allegro, troppo pazzo per prendersi cura di me e di quei ragazzini forsennatamente ostili  a chiunque si avvicinasse alla loro madre. Cosa temevano, che amandolo, amassi meno loro? Perché la felicità fa paura? Ho sempre saputo che avrebbero vinto. Loro.
Abbiamo avuto un solo spazio "nostro", anche se per poche ore rubate a vite frenetiche: quella casa. Piena di libri, di musica, di parole, rabbiose e tenere, risate e pianti, giuramenti non mantenuti, notti passate ad aspettare il mattino, abbracciati, il primo caffè condiviso, prima di riprendere la corsa in quella Milano caotica e rumorosa che entrambi amavamo e odiavamo. Quella casa in cui il cielo era così vicino da dare l'illusione di poterlo toccare, anche se soltanto con un dito.

martedì 31 luglio 2012

I favolosi anni Sessanta

Erano amici di famiglia: lui, il marito, impiegato di banca, la moglie casalinga, i due figli, un maschio e una femmina, studenti... Giacomo era iscritto al Conservatorio. Suonava il piano. Molto bene. La loro casa era sempre piena di gente, nella nostra non entrava nessuno. Da loro le discussioni duravano ore, pacatamente appassionate... a casa mia silenzi o urla. Giacomo girava spavaldo con l'Unità in tasca, e quando suonava il pianoforte assumeva un'aria seria, i riccioli scuri che gli ricadevano sulla fronte, disordinati, ribelli.  Era bellissimo. Io lo ascoltavo intimidita, impacciata, come ascoltavo i loro ospiti. In silenzio. "E' un compagno", dicevano, aggiungendo un piatto a tavola  e io deglutivo piatti istriani e timidezza... Mia sorella ed io, educazione austro-ungarica, sedevamo ingessate nei nostri vestiti  con la sottogonna a balze, " cenerentola" ai piedi. Silenziose. Io non sapevo ballare, ma era soltanto una delle tante cose che non sapevo fare.
In quella casa respiravo politica e cultura, ma soprattutto libertà.
Poi, ci fu uno sciopero. Il padre di Giacomo fu l'unico impiegato della banca dove lavorava ad aderirvi, non presentandosi al lavoro. Venne trasferito "per direttissima"  nella filiale più disagiata della banca: in un paesino dove le capre erano più numerose degli abitanti, quattro case, una piazza, qualche asino
... e uno sportello bancario. In Sardegna, tra i monti, dove del mare non arrivava nemmeno il profumo.
Partì  dopo due giorni. Sua moglie e i ragazzi lo accompagnarono alla stazione, noi lo salutammo a casa.
Rimase, in quel paese che nemmeno le carte geografiche riportavano, per tre anni.
"El xe ga meso contro i paroni... Con che testa gavendo famiglia... ", borbottò mia nonna, scrollando il capo.
Eravamo all'inizio degli anni Sessanta, i "favolosi" anni Sessanta...

lunedì 23 luglio 2012

Una donna davvero speciale

"Una donna molto speciale" di Nick Cassavetes è incentrato su una figura femminile: una donna, come tante, che ha dato "tutto" alla famiglia  e un mattino si ritrova sola: il marito morto, il figlio lontano impegnato a far carriera e soldi, la figlia, nevroticamente infelice, che se n'è andata di casa sbattendo la porta e incolpandola. Di cosa? Del suo malessere, dei suoi fallimenti, di tutto e di più. Lei, la protagonista, donna forte e intelligente raddrizza le spalle e va avanti. Un mattino, una sua vicina, reduce da una lite coniugale di cui porta i segni sul volto, le molla il figlio, come un pacco un po' ingombrante, sull'ingresso di casa. In modo brusco, senza mezzi termini, sembra pretendere aiuto. La solitudine urlata, esibita dell'una si scontra con quella, borghesemente dissimulata, dell'altra. Entrambe manifestano bisogni, incalzanti come solo i bisogni sanno essere. Sarà quel bambino triste, angosciato, impaurito, diventando il loro punto di contatto, a rompere, con la sua presenza, il cerchio della solitudine. Tra la mamma, che si esercita alla libertà, e la "zia", che lo ricopre di tenerezza vigile e affettuosa, riacquisterà sicurezza "sloggiando" la solitudine opprimente della protagonista.
Tra la bislacca, svampita, giovane madre e la controllata, irreprensibile e borghese vicina della porta accanto, fiorisce l'amicizia. E' un incontro di solitudini ma anche di donne, di madri, che vivifica entrambe... la ragazzina arrogante e sballata che acquisterà coscienza dei suoi diritti, del suo essere persona; la protagonista del film che osserverà con l'affetto di sempre, ma anche con un nuovo e lucido disincanto, i suoi figli, contrapponendo ai loro bisogni i suoi desideri che, ancora fragili ma decisi, sono spuntati e pretendono spazio.
La ragazzina concederà al marito una nuova opportunità e "la zia" si ritroverà di nuovo sola. Questa volta,  però, sarà in grado di cogliere di questa solitudine un aspetto totalmente nuovo: la libertà di scelta che sottintende. Non si adeguerà, infatti, ai bisogni degli altri ( i figli), ma darà spazio ai suoi desideri. Venderà la casa  (in cui la figlia vorrebbe tornare a vivere), diventerà la nonna, tutta coccole, del nipotino che il figlio sta per darle, ma non andrà a vivere con lui e la nuora. "Partirà" per un suo viaggio, alla scoperta di se stessa e dei suoi desideri. Finalmente.
A me resterà  dentro quello sguardo - indipendente, curioso, sereno - con cui la protagonista saluta la figlia alla stazione... prima di voltarle le spalle e allontanarsi, il passo deciso, le gambe ancora bellissime, verso quello scampolo di futuro che ha deciso di esplorare: viva quel che viva, costi quel che costi.

venerdì 20 luglio 2012

Quest'anno non sono riuscita a parlare di Falcone e Borsellino.

Quest'anno non sono riuscita a parlare di Falcone e Borsellino. Mi sarebbe sembrato di aggiungere tradimento a tradimento. Per questo mondo sono morti? Per lasciare campo libero a una mafia ancora più potente, generalizzata, assimilata e quasi digerita da una società... E qui mi fermo: incerta. Che società è quella in cui viviamo, che mondo rappresenta questa realtà che ci circonda? Falcone è stato ucciso quando ha ficcato il naso in quelle cattedrali del (nuovo) potere che sono le banche; Borsellino  ha pagato con la vita la scoperta che per i potenti era, ed è, più conveniente allearsi che combattersi. Le conseguenze di questa alleanza sono sotto gli occhi di tutti. Comandano i banchieri, dilaga il furto, è il momento dei ladri e dei furbi. Gli ideali vengono sbandierati solo nel corso degli incontri ufficiali o delle commemorazioni di coloro che,"servitori dello Stato", vennero trattati come servi. E, ora che non fanno più paura, anche se è stato necessario ricorrere al tritolo per eliminarli, si possono collocare ghirlande di fiori e tesserne le lodi, colmando  di parole altisonanti quel silenzio, colpevole, che accompagnò i loro ultimi giorni di vita. 
Non ho bisogno di commemorazioni per ricordarli.

giovedì 19 luglio 2012

Fiorire a inverno iniziato...

"Un po' stranita la fanciulla - che poi a darle un'occhiata, anche solo di sfuggita, fanciulla non lo era più, e da tempo - guardò l'uomo che con quel bacio l'aveva risvegliata. E le bastò lasciar scivolare lo sguardo sulle ragnatele che danzavano al vento, sui mobili polverosi, sull'abito così diverso dal suo che lo sconosciuto indossava, per capire che il suo sonno era stato lungo, lunghissimo e profondo.
'Ho sognato dolcezze infinite, leggere come farfalle in volo, e fiumi di passione che mi sommergevano, come lava lungo i fianchi di un vulcano... ' disse la fanciulla. 'Ho la testa piena di fole e le devo, le voglio raccontare!', continuò, balzando giù dal letto.
'Scrivile', le disse l'uomo.
'Non so farlo', balbettò la fanciulla.
'Bugiarda e... pavida sei, ma io ti porto in dono un frutto acerbo, indigesto, avvelenato... Il mio bacio è miele e fiele... '
La fanciulle sentì la paura scivolarle lungo la gola, attanagliarle lo stomaco, strizzarle il ventre, mentre l'uomo continuava a parlare. 'Lo cercherai  (il coraggio), tra le pietre e i sassi, nelle grotte della terra e negli abissi del mare, nel pianto delle donne lacerate dai figli, nella rabbia di chi si ribella all'ingiustizia... '
'E lo troverò?' chiese sgomenta la fanciulla.
'Sì, quel frutto che già ti avvelena anima e corpo ti obbligherà a trovarlo. Sarai te stessa. Finalmente! E libererai le fole e le parole per raccontarle.'"
E la fanciulla ci riuscì, ma fu come per una gatta partorire all'inizio dell'autunno o, per un albero, fiorire a inverno iniziato... 
Troppo tardi, troppo tardi.



mercoledì 18 luglio 2012

Il servizio "buono"

Questa mattina, complice un attacco in forze di tarli ai miei vecchi mobili che ha reso necessario un intervento di disinfestazione, mi sono ritrovata a passare tra le mani piatti e bicchieri (quelli sopravvissuti) del servizio "buono", quello che si usa soltanto nelle occasioni speciali: il Natale, un matrimonio, la laurea di un figlio.
Guardo quei fiordalisi azzurri che si rincorrono sul bordo dei piatti pronti a ghermire rose selvatiche... Quanti anni sono passati da quel Natale, l'ultimo nel quale li usai, l'ultimo passato tutti insieme? Milano, ancora ricca e spendacciona, scintillava come una gemma, l'aria era elettrica, la gente si scambiava gli auguri, le commesse impacchettavano regali  e allacciavano fiocchi. La "tredicesima" si spendeva in regali (anche), non si utilizzava per pagare l'Ici (attuale Imu), che ancora non esisteva. Mio marito e io eravamo due separati "civili", tanto civili da passare  le feste con i "nostri" figli. C'era ancora mia madre. Io avevo un compagno con il quale litigavo ferocemente. "Non faccio parte della famiglia... " mi diceva, e se ne stava a casa sua, rifiutando il mio invito a partecipare al "cenone". I figli volevano il padre, mia madre diceva: "Bisogna pensare al bene dei ragazzi"... Al "bene mio" non ci pensava nessuno. Me ne rendevo conto? Certamente, altrimenti a cosa mi sarebbe servito passare le notti a leggere tutti quei libri di autrici femministe? Ma capire è condizione necessaria, non sufficiente, per cambiare... E io capivo, ma non cambiavo.
Cambiare è difficile, è una rivoluzione personale, non un minuetto. Si cambia soltanto quando il dolore legato a una certa situazione si fa intollerabile. Si cambia per non morire... e, a volte, si rinasce.
Ora, mia madre se n'è andata (come il compagno) lasciandomi orfana delle sue telefonate domenicali e di quell'affetto che dimostrava a modo suo, magari mettendomi una banana nella borsetta, quando ripartivo da Udine per Milano. "Se ti venisse fame... " diceva, e io, sbuffando, la toglievo dalla borsa (la banana), prima di andarmene senza voltarmi, sapendo che lei era lì, alla finestra del soggiorno, delusa, come me, dal nostro ennesimo incontro/scontro.
Perché da una madre si pretende l'impossibile? - penso, riponendo le tazzine, ma è una delle tante domande alle quali non sono in grado di dare una risposta.

martedì 3 luglio 2012

Tecnologia e fantasia

                   Fa caldo, un caldo afoso, umido, che toglie le forze e fa sudare. Le prime ore del mattino sono le più fresche, quelle che amo di più, anche se non ho mai sofferto nemmeno nella stagione invernale di quel risveglio "difficile" che caratterizza molte persone. Anche oggi, pur non avendo motivi per affrontare la giornata con il sorriso, me lo concedo... Da quando poi ho scoperto il pc, mentre ingoio il caffè, pigio un tasto e mi sento come a teatro: sul palcoscenico va in scena il mondo. Persone che non ho mai visto, che probabilmente nemmeno riconoscerei se dovessi incontrarle per la strada, mi salutano. Sono abbracci di parole, confronti di idee, momenti di emozioni comunicate. E' bello, è confortante, è divertente... E' istruttivo, è un "sapere" che viene accresciuto dall'apporto di tanti/tutti e condiviso. Ognuno porta le proprie esperienze, emozioni  e conoscenze... Scatta, prima o poi, una sintonia: là fuori, nel web, scopri un fratello, una sorella d'anima (anche se non di sangue); approfondisci concetti, ottieni informazioni, chiarisci - mentre altri prendono forma - dubbi.
                  E' una modalità diversa di comunicazione: mancano la gestualità, gli odori, il suono della voce, tutta la materialità che il corpo esprime, ma anche la "pesantezza", l'ingombro che caratterizzano quel corpo, soprattutto in una società che, come la nostra, privilegia l'immagine. Belli o brutti, giovani o vecchi, malati o sani, eleganti o sciattoni comunichiamo tutti con quella modalità uniformatrice e potente che è la parola, che diventa espressione del cervello e dell'anima.
                Questo mondo virtuale che ci accoglie è fatto di anime, cervelli, parole... e fotografie: che spetta però a noi scegliere, selezionare e che spesso ci fanno apparire, nella loro fissità immobile, lontani e polverosi come le fotografie dei morti sulle lapidi. E' un mondo che può alimentare, nei casi peggiori, la finzione e l'inganno, ma può anche scegliere di muoversi lungo il crinale sottile dell'immaginazione, dell'ambiguità, del gioco scenico, quasi un Carnevale veneziano esteso al mondo per privilegiare la fantasia e consentire il gioco sapiente del teatro.
                   E' tecnologia alla quale, però, possiamo conferire la leggerezza impalpabile della fantasia.

domenica 1 luglio 2012

Voglia di vivere...

Ci sono momenti in cui la voglia di vivere si fa così prepotente, così impellente da darmi l'illusione che potrei ancora farcela. A fare cosa? A fare un progetto e realizzarlo, mentre "tutti" in giro, i prudenti benpensanti che non mancano mai, mi dicono : "Pensa, rifletti, valuta... " e io sono ancora lì, ma la mente è lontana e la valigia è già piena da scoppiare e la vita mi scorre nelle vene come vino, aspro e forte. E' il cambiamento il motore della vita? Non per tutti e non sempre, ma per me lo è stato. E dietro al cambiamento cosa c'è se non la curiosità, la voglia di capire e capirti... Due misteri che si fondono: quello smisurato della vita, quello striminzito di una vita, ma fatti della stessa sostanza, come l'acqua del mare e una sua goccia...

sabato 30 giugno 2012

"We can" disse Obama...

Essere curati, assistiti a livello ospedaliero, è  negli Stati Uniti, finalmente, un diritto per tutti: ricchi e poveri. Sancito da una legge. Obama c'è riuscito: l'aveva promesso in campagna elettorale  e ha mantenuto la promessa.
Forse bisogna portarselo dentro, annidato nei cromosomi, il ricordo dell'ingiustizia sofferta. Anche se non è stata direttamente tua quell'ingiustizia, deve esserti stata ricordata, narrata, devi averla letta negli sguardi muti, sghembi,  di chi non sapeva raccontare con le parole e allora ha affidato a te più abile, più giovane e combattivo, dotato di eloquenza e sapienza, il peso del suo dolore, della sua rabbia, ma anche il volano della sua speranza.
"We can" disse Obama, sorridendo, e il mondo si fermò, per un attimo, a guardarlo...
Prima di votare un Beppe Grillo, riflettiamo. Ci sono uomini che fanno la Storia, ma non partono dalle barzellette...

mercoledì 27 giugno 2012

Pomeriggio a Milano

Una Milano accaldata, sudata, mi accoglie. E' distratta, ha troppe cose (serie) da fare. Non si ode una risata, noto che nessuno gira con il bastone. Come me. Mi cedono il passo e il posto sulla metropolitana, con un pizzico di fastidio, una considerazione che affiora nello sguardo "Chi non è efficiente... a casa, davanti alla tv, non per strada a intralciare " . Non si sente un pianto di bambino, anche le parole scarseggiano, sovrastate dal rumore. C'è, latente, una sensazione di attesa. Milano aspetta, come il resto del Paese.
I negozi sono vuoti, le commesse viste dalla vetrina, sembrano pesci rossi in un acquario. Lacerante sovrasta il rumore la sirena di un'autoambulanza.  Il caldo ha fatto un'altra vittima -  penso. Lo studio del mio dentista è un'oasi di aria condizionata, musica in sordina e disponibilità affettuosa. L'igienista dentale mi prende sottobraccio e non mi chiede nulla, ma Il sorriso è più ampio del solito: ha bellissimi denti, bianchi e forti.
Alla stazione centrale, Luciana ( mia sorella) e io ci godiamo la folla eterogenea  come fossimo a teatro. 
"E quella?" E' lì, impacciata, rigida sui tacchi troppo alti, in attesa.
"Aspetta un uomo" rispondo sicura. (Sono io la fantasiosa, la Lusi è razionale e attenta ai particolari...).
"Avrebbe indossato un vestito più sexy" dice.
"Troppo esplicito" commento.
La ragazza dà un'occhiata all'orologio. Ansiosa.
"Eccolo!"
Lei si muove per andargli incontro. Lui affretta il passo. Si scontrano e, come due fiumi a formare un lago, si fondono. Poi si allontanano, in silenzio, i corpi che si sfiorano...
La Lusi mi solleva dal sedile. "Muoviamoci, lo sai che sei lenta come la quaresima... " mugugna.
Ricordi e rimpianti luccicano nei miei occhi. 

domenica 24 giugno 2012

Abbandoni

Non di ferro
non di plastica, 
ma
di carne
sono fatta
e
...
di paura.

Di bisogni
impellenti
e desideri
negati,
per un secondo appena
sussurrati

Sono fatta di giorni,
passati,
di stagioni
di stanchezza impregnate

Sono fatta di ricordi
che,
confusi,
già sbiadiscono

Sono fatta di legami,
assassinati nell'ombra
a tradimento,
e
...
di abbandoni

sabato 23 giugno 2012

Mercato, amore mio

                                 I mercati? Cosa sono lo sappiamo, come funzionano un po' meno. A cosa devono l'attuale potenza? Su questo punto siamo in difficoltà. Erano, prima di tutto, luogo fisico d'incontro tra compratori e venditori di merci di vario tipo: merci che in quei luoghi si potevano esaminare, " toccare", annusare e, alla fine, dopo una più o meno lunga trattativa, acquistare, accordandosi sul prezzo, punto d'incontro tra domanda e offerta. Vi operavano i mercanti che non godevano di buona fama ("Via i mercanti dal tempio" è frase di biblica memoria). Erano loro, i mercanti, a portare la merce nelle piazze, a raccoglierla nei magazzini, conservandola nel tempo e nello spazio, scovandola in giro per il mondo, pagandola alla fonte meno, molto meno, del prezzo richiesto al consumatore finale... Eravamo in quella che oggi siamo soliti definire economia reale. Merce contro denaro in una serie infinita di scambi miranti a soddisfare il bisogno di beni, da quello elementare del cibo a quello ( di pochi privilegiati)  delle opere d'arte (bisogno, evolutosi in desiderio, di bellezza). Bisogni e desideri da soddisfare, ma anche da "suggerire". Compratori e venditori di mele, uova  e sogni... Il tutto mediato dal denaro che da bisogno si fa sogno, diventa la merce più ambita, la merce più desiderata, tanto da creare un mercato a lui dedicato , regolato da norme precise e complesse. Si chiamerà Borsa e si evolverà nel tempo, diventando strumento sempre più complesso al servizio di un desiderio che è parte fondante della caratterialità umana. Il Potere. 
                            Tornando alla mia domanda iniziale sul funzionamento dei mercati, qualunque "tecnico" sarà in grado, in maniera più o meno approfondita, di soddisfare la curiosità relativa alle loro problematiche d'uso, anche se complesse, anzi si parerà dietro questa complessità per non andare oltre. A dire cosa? A dire che i mercati sono la forma ultima e più evoluta che il Potere ha assunto. Per questo motivo è così difficile regolarli, contenerli, stabilire dei limiti. Infatti sono transnazionali, appaiono e scompaiono come le acque carsiche, se li cerchi non li trovi perché abitano spazi virtuali, vendono e comprano "carta" che rappresenta debiti, crediti, aspettative, speranze... Apparentemente invisibili, sono sempre presenti. Condizionano la vita di tutti noi, ci riducono in schiavitù, comandano senza averci chiesto il permesso di farlo.
                         Però, è necessario allungare lo sguardo, andare oltre ciò che appare, perché, come in una guerra di coppia combattuta all'ultimo sangue, l'oggetto del contendere non sono, come potrebbe sembrare, le regole ma, soprattutto, chi avrà il potere di stabilirle. Poi, una volta impugnato lo scettro del comando, il Potere emergente, quello finanziario, potrà anche decidere di essere magnanimo, elargendo non diritti, ma carità.
                    Dopo aver condizionato la politica, comprandola, ha sottomesso i cittadini con l'angoscia dell'euro, del debito pubblico, della cacciata dall'euro paradiso... per sviare la loro attenzione. Euro, marchi, lire, conchiglie, oro, sale o foglie di tabacco, fino a quando sono "moneta di scambio", non possono, da soli, distruggere l'economia di un Paese, né, a maggior ragione, il paese stesso. C'è un avvicendamento in atto al Potere che si serve dei mercati, ma con essi non s'identifica: non sempre, soltanto quando lo reputa necessario. Come si è servito  dello spread per scatenare la paura. Come si serve delle Agenzie di rating che, non dimentichiamolo, sono società private di emanazione bancario/finanziaria.  
                              "E' il mercato, bellezza" diceva qualcuno ma, in realtà, la voracità, il desiderio di guadagno non sono caratteristiche intrinseche del mercato, appartengono a coloro che del mercato si servono. Come strumento atto a conseguire il Potere.

giovedì 21 giugno 2012

Il dolore serve?

"Non è più lei... neanche il ricordo" e quegli sguardi sgomenti ti sfiorano dilagando su sorrisi finti, compassionevoli. Pensano che tu non colga quegli sguardi, non senta quei commenti. Non è così. Le emozioni o, quel che è peggio, la loro assenza, le avverti più e meglio di prima, di  quando eri sana, scattante nel corpo e nel cervello. Le afferri di pelle, le aspiri, le annusi anche se la tua voce monocorde non le enfatizza, anche se la tua mimica facciale, ormai inesistente, non le sottolinea. La malattia ti sta rinserrando in una prigione sempre più stretta, ma quello spazio esiguo non racchiude solo la persona che oggi sei diventata, racchiude anche quella che sei stata. La vita, all'interno di due certezze - nascita e morte - è cambiamento. Costante, continuo: è sobbalzo, è sorpresa, dubbio, incertezza mentre i giorni si susseguono, si rincorrono ritmando il tuo tempo che passa, scorre e, come un fiume, ti porta verso il mare...
L'aspetto più doloroso della mia malattia è stato non poterne parlare in famiglia, per anni. Non si poteva nemmeno accennare al fatto  che fossi malata, quasi si trattasse di una vergogna o, il che è stato peggio, di una colpa. Nessuno chiedeva come stessi, come mi  sentissi... Ho dovuto - come cantava Gaber - "far finta di essere sana" ed è stato durissimo. E ingiusto. E mi ha fatto riflettere. Non soltanto sulla vecchiaia, la malattia e la morte, anche sulla società in cui viviamo... Una società di "eternamente giovani,sani, efficienti", che ha orrore delle rughe, del dolore, della malattia che, come la morte, nasconde, occulta, ignora, usando bisturi che spianano la pelle e l'anima.
                    Nelle favole - che più non raccontiamo ai bambini - i protagonisti alla fine "vivono felici e contenti" e mai "muoiono" lasciandosi alle spalle assenze da colmare o comunque da affrontare. Io non ho portato i miei figli al funerale di mio padre, nonno affettuosissimo, perché non "soffrissero". Ricordo che mi chiudevo a chiave nel bagno a piangere... perché non mi vedessero, e quando mi separai da mio marito - oh, allora la cosa si fece addirittura ridicola - mi inventai un'ipotetica sistemazione della cantina, per avere un luogo nel quale rifugiarmi dove dare sfogo al dolore. Così presero forma e sostanza il "non detto" e il mio "obbligo" a fingermi coraggiosa, razionale a oltranza, capace di affrontare ogni problema con il sorriso sulle labbra. Ma non per me, per loro, per i miei figli. Li ho protetti, come una leonessa, con le unghie e i denti, da... dal dolore? Così ho creduto... ma il dolore fa parte della vita, deve essere vissuto, non rimosso, affrontato e gestito. Il dolore rende adulti. Responsabilizza. Se condiviso è più facile da reggere. Se condiviso.   

domenica 17 giugno 2012

Onesto, onestino, onestuccio...


All'interno del Parlamento si scannano. Vecchietti che parevano così distaccati, distinti, pardon, distanti (quando si trattava di aumentare le tasse e tagliare i servizi ai cittadini)  hanno il sangue agli occhi ... Eh, già, l'oggetto del contendere  è la corruzione, qualcosa  che li riguarda da vicino, qualcosa che per molti di loro (non tutti) è carne della loro carne, è struttura portante della personalità, è un modo di essere, prima che di fare, che si è evoluto raggiungendo livelli di complessità tali da richiedere l'inserimento nella normativa anti-corruzione di nuove modalità di reato come la concussione per induzione.
E' il tentativo che uno Stato di diritto fa di imporre per legge un limite al Potere quando mostra il suo volto peggiore, quando non deve nemmeno chiedere per ottenere, quando "induce", non "costringe" a dare o fare. Anche con una semplice telefonata o un aggrottare di sopracciglio. 
Punita in maniera inferiore consentirà la riduzione dei tempi di prescrizione e punirà anche il privato indotto alla dazione o alla promessa. Sappiamo "chi" si è salvato spesso (troppo spesso) grazie alla decorrenza dei termini di prescrizione, e non possiamo non prevedere che molti imprenditori pagheranno in silenzio nel timore di essere incriminati.
Luci e ombre di una legge difficile da scrivere e da far approvare... e mi sono limitata ad esaminarne un articolo, ma il motivo del mio turbamento è un altro. Povero quel Paese che ha bisogno di stilare norme che definiscano l'onestà, tracciandone i confini, differenziandola in classi di appartenenza: onesto, onestino, onestuccio... Povero, e non di denaro, di valori!

sabato 16 giugno 2012

La memoria dell'anima

Come tutti coloro che hanno commesso molti errori, aveva pochi rimpianti, ma uno, un rimpianto tardivo, si era fatto voluminoso, ingombrante: non avere cercato (o trovato?) testimonianze "dirette" della guerra. Si era accontentata di risposte sbrigative, sguardi obliqui... silenzi. Nei racconti dei parenti solo qualche storiella divertente - sempre la stessa - su  quegli anni, quasi la vita si fosse fermata, come nella favola de "La bella addormentata nel bosco" per quei cinque interminabili anni che si erano ingoiati anche la sua prima infanzia, di cui nessuno aveva più parlato.
"Tuo padre non era proprio in guerra... " e giù un sospiro, mentre a sua madre le parole morivano sulle labbra. "La fame, oh! la fame del tempo di guerra! Se l'avessi provata non ti sogneresti di lasciare il cibo nel piatto!" 
"Anche tu mamma avevi fame?" aveva chiesto..
"No, no, io ho sempre mangiato poco... " aveva risposto, cambiando discorso, sua madre.
A confondere le acque, ulteriormente, c'era una guerra "ufficiale" che veniva raccontata a scuola, ma era solo un arido elenco di date, nomi di battaglie, comportamenti eroici di combattenti - sempre gli stessi - che, incuranti del pericolo, morivano con il sorriso e un gagliardo "Viva l'Italia" sulle labbra. Era una guerra senza sangue, senza urla di dolore, senza bestemmie, senza stupri, furti, errori, vigliaccheria... una guerra senza audio e senza video. 
Il marito della zia aveva rischiato, appena ventenne, di perdere una gamba, in Russia, a Stalingrado, e quella ferita che gli percorreva la coscia dall'inguine al ginocchio, ogni tanto se l'accarezzava, mentre lo sguardo si perdeva, lontano, isolandolo da qualunque contesto. "E' la sordità causata, in guerra, dal fragore delle cannonate. E' la sordità che lo isola... " borbottava la zia, ma lei, confusamente, sentiva di non dover andare oltre, di poterla solo spiare quella terra di nessuno, quella terra in guerra, senza porre domande perché per nessuna ci sarebbe stata una risposta. 
La guerra era un mostro invisibile di cui s'intuiva la ferocia dalle unghiate con cui aveva sbriciolato carne e mattoni... Quanti mutilati (anche tedeschi) sulla spiaggia a Lignano, alla fine degli anni Cinquanta, e quante case sventrate lungo la strada che portava alla sua scuola. E suo padre che sputava per terra quando passava un tedesco, ma poi diceva che la colpa era delle sigarette.
"La peggiore delle guerre: una guerra civile!" Ma come?, la maestra le aveva insegnato che civile significava corretto, ammodo, ma suo padre litigava con i fratelli (gli zii) ogni volta che si vedevano in quella Trieste dove i soldati americani e inglesi passeggiavano sui moli con le "mule" triestine. Perché se la guerra era finita i soldati alleati erano rimasti? E la "Cortina di ferro" cos'era? E, anche se origliava, non capiva molto, solo che suo padre la pensava diversamente dal resto della famiglia e che loro (sua madre, sua sorella e lei) erano "messe male" con uno come lui, al quale la guerra non aveva insegnato proprio nulla. 
Non sapeva, allora, che non si parla proprio di ciò che fa più male, non si parla della sofferenza profonda, quella che scardina i principi del vivere civile; della violenza che ci portiamo dentro e che la guerra non solo esalta, ma legittima e premia... Non si parla. Per pudore, per vergogna? Di ciò che si è fatto o di ciò che non si è fatto?
Poi ci fu un vecchio partigiano, durante una manifestazione... Seduta accanto a lui, sui gradini del Duomo di Milano, lo ascoltò parlare e la guerra, il mostro invisibile, prese forma, si animò, ruggì, urlò, pianse, mostrò le ferite inferte per sempre all'anima. "Paura" lei chiese e lui le rispose: "Tanta!" e lo disse senza vergognarsi, fissandola con quegli occhi stanchi, da gatto, che hanno i vecchi. Poi, passandosi una mano gonfia, incerta, sulla faccia sudata, disse "Ho sparato e ucciso, con queste mani, e" aggiunse "è inutile che me lo chieda, se fosse necessario, lo rifarei... E' per questo, grazie a quell'orrore, che siamo qui, lei e io, in questa piazza, a manifestare, a poter manifestare, per evitare che quell'orrore si ripeta" concluse. E sorrise, travasandole dentro quella "memoria dell'anima" che fino a quel momento le era mancata, mentre intorno a loro, sopra il mare di folla, si gonfiavano di vento le bandiere. Come vele.

martedì 12 giugno 2012

Avrei voluto invecchiare...

Avrei voluto invecchiare, vestendomi di rughe e di saggezza: lo sguardo attento, partecipe, di chi ha visto tanto, ha lottato sempre, ha capito qualcosa, ma la curiosità se la porta ancora addosso, come le chiavi di casa... Avrei voluto viaggiare, prendere il treno, un treno e... andare: scoprire angoli di mondo che nulla hanno in comune se non gli sguardi della gente che vi abita. Avrei voluto ridere con i miei nipoti, vederli crescere, diventare uomini e donne... Avrei voluto un quadrato di terra davanti a casa per piantarci i pomodori, e un caminetto, un bicchiere di vino rosso tra le mani, il calore dell'amicizia che si fonde con quello del fuoco.
Ma il ron ron della gatta è l'unico rumore che turba questa notte che scolora nel giorno. Vivere sarà anche oggi fatica e immaginazione, brevi passi esitanti in questa prigione che la vita, la sfiga, il destino, gli errori, la probabilità statistica, mi hanno cucito addosso?