lunedì 6 luglio 2009

Il tempo passava

Il caldo fondeva il cervello in quell'estate che si annunciava torrida.
Seduta davanti a un tavolino, i gas di scarico che si diffondevano nell'aria a zaffate aspre e regolari, in quella Milano che nessuno si sarebbe più sognato di bere, pensava.
" Cosa le porto?"
" Qualcosa di fresco.."
" Alcolico o analcolico?"
" Una coca..."
Aggiunse" Non ghiacciata."
Poi rise con quella risata di gola, gorgogliante. Qualcuno si voltò a guardarla e lei gli fece un gestaccio con la mano. Poteva farle male: più di quella lettera che aveva ritirato al Centro Tumori?
Il tempo passava: l'aria non sapeva più di croissant, sui tavolini arrivavano insalate e panini farciti, mentre il traffico s'ingolfava e i clacson facevano a gara a chi ululava più forte.
Il tempo passava.
Caffè in tutte le varianti possibili, per essere efficienti.
'Milano non è città per perdenti' ...pensò.
Il cameriere cominciava a osservarla.
Ordinò un caffè. Con panna.
Il tempo, ritmato dalle campane di qualche chiesa che gareggiava con il rumore del traffico, scampanava a ogni volger di ora. ' Din, don, campanon, tre civette sul canton che facevano l'amore con la figlia del dottore...
Le sei.
Le sette.
Il caffè si svuotava nella sera che, spintonando il giorno, prevaleva.
Nel condomino di fronte si accendeva di luce il riquadro di una finestra.
Strade deserte e gracchiare di televisori.
Il cameriere puliva i tavolini con uno straccio umido e guardandola appoggiava l'indice della mano sull'orologio che aveva al polso, sollevando un sopracciglio.
Poi abbassava a metà la serranda del bar. Rumorosamente.
Il tempo passava o era già passato?
Lei non lo temeva più.
Il cameriere la ricordava, seduta sempre nell'ultimo tavolo in fondo.
Prendeva il caffè, sempre con la panna.

Romanzo a puntate (I Dellapicca)

La carrozza si fermò davanti all'imboccatura della strada che, infilandosi tra le case, portava al ghetto, nell'intreccio dei vicoli che la sera colmava di silenzio e ombre minacciose.
" Aspettami qui!" intimò Sigismondo al cocchiere, scendendo in fretta con quella neonata urlante tra le braccia, per addentrandosi, quasi di corsa, lungo la via in fondo alla quale, svoltato l'angolo, sorgeva l'abitazione che cercava. Si guardava intorno sospettoso, rintronato da quel pianto disperato che gli martellava dentro e che si lasciava dietro un' eco che risuonava cupa, di vicolo in vicolo, quasi a urlare di fame e disperazione fosse l'intero ghetto. Finalmente riconobbe il portoncino. Bussò e, a voce alta per farsi udire, disse il suo nome.
Sentì il rumore del chiavistello e, dopo pochi secondi, si trovò nell'ingresso.
" E' tardi! Cosa volete?"
" Devo parlare assolutamente con il signor Gospez" rispose Sigismondo.
" Non potreste tornare domani?" e la voce della donna denotava una certa irritazione.
" No! " rispose perentorio Sigismondo mentre dal corridoio, alle spalle della donna, si udiva un rumore di passi e una voce che diceva:" Lo conosco, fallo entrare Genoveffa."
Sigismondo s'infilò in quel budello buio e, seguendo l'ombra massiccia che lo precedeva, entò nello studio.
L'uomo passò dall'altra parte della scrivania e poi si accomodò sulla sedia: le mani in grembo a sottolineare l' attesa. Muto.
Sigismondo si sedette a sua volta con la neonata, urlante tra le braccia che rivelava una goffaggine in lui insolita, non in linea con il personaggio.
L'uomo che lo fronteggiava non diceva una parola, limitandosi a osservarlo.
Il veneziano sospirò, inspirò una boccata d'aria e poi, a voce bassa, come se ogni parola pronunciata lo sfinisse dentro, disse: "Mia moglie ha partorito due gemelle, poche ore fa..."e sollevò il fagotto, scostando la coperta per esporree alla luce della lampada a olio
la neonata. Il vecchio le lanciò una rapida occhiata e, mentre un sorriso gli increspava le labbra, disse:" Complimenti, è una bellissima bambina."
" Peccato che non sia mia figlia..." borbottò Sigismondo.
" Non siete il primo" e continuò " non sareste l'ultimo a allevare un figlio non vostro. La paternità, a differenza della maternità, si acquisisce con la frequentazione, pian piano. Non provereste sentimenti diversi se fosse vostra figlia, quindi presumo che il problema riguardi l'impossibilità di nascondere il tradimento a chi vi conosce e, forse, la persona che..."
" E' inutile giriate intorno al problema: sapete, come tutti in città, che il mio socio, meglio sarebbe dire il mio servo, è, non solo un negro di grande prestanza fisica, ma anche l'unico ammesso nella mia casa, alla mia mensa... Che il demonio se lo porti, che gli abissi marini si rinchiudano su di lui "
" Con la nave e la mercanzia dietro?" concluse il vecchio e l'ironia questa volta non era nemmeno velata.
" Voi dovete trovarlo e riportarlo qui" ordinò Sigismondo.
" Non posso promettervi nulla e poi" e qui esitò, la mano grinzosa che saliva a accarezzare il mento in un'espressione pensosa, "vi costerà molto. Dovremo scucire molte bocche offrendo denaro. Il Moro è astuto, adorato dai suoi uomini. La bambina potrebbe essere un'esca alla quale far abboccare il nostro uomo."
" Io non la voglio nella mia casa, devo salvarmi la faccia, voi mi capite, ma non so come disfarmene, a chi consegnarla assicurandomi il silenzio di questa persona. Voi potreste...?
" Mi chiedete molto" rispose il vecchio.
I due uomini si valutavano, guardinghi, nello studio che rimbombava dell'urlo disperato della neonata, che si stava facendo roco dallo sforzo e dalla debolezza, quasi a reclamare un diritto alla vita che per quella creatura non era certo scontato e che si nutriva dell'avidità del vecchio e del desiderio di vendetta del Veneziano. Una stretta di mano, che sanciva l'accordo, la salvò e, finalmente, dopo meno di un'ora, una donna se l'attaccava al seno, spiandone stupita il viso che il chiarore della lampada sul tavolo illuminava.
Era Yael, una donna del ghetto, che il giorno prima aveva partorito una bambina morta. La donna, sospirando di sollievo, sentì diminuire la pressione violenta del latte sui seni gocciolanti, mentre accarezzava la bambina e, un po' ridendo e un po' piangendo, se la stringeva tra le braccia.