martedì 25 maggio 2010

Il folletto

Come sua madre, invecchiando, aveva fatto sua quella frase "Buona salute e cattiva memoria" per alzare difese che la proteggessero dal dolore, per rintanarsi in un angolo, sperando che la vita la dimenticasse, sfiorandola appena nel suo irrompere cieco e violento. Camminava, più che pigramente, lentamente, un po' distratta, persa nei suoi pensieri che non erano granché, ma comunque le occupavano la mente. Intorno a lei  vecchie case, terrazzini miseri, gerani rossi striminziti che lasciavano intravedere tende, dai colori accesi, stirate con cura. Tutto anonimo, ricco soltanto di quella attenzione e precisione che sono gli unici elementi in grado di differenziare il lavoro di una casalinga da quello di un'altra. Il cielo si stava rannuvolando e l'inverno se lo sentiva ancora attaccato ai calcagni come un cane rabbioso,  mentre  affrettava il passo, sbirciando quelle nuvole sempre più scure, diretta al negozio di alimentari che era appena dietro l'angolo. Arrivò un po' ansante davanti all'ingresso lasciandosi alle spalle le prime gocce di poggia; entrò ripulendosi energicamente le suole delle scarpe sullo zerbino, poi alzò la testa e... incrociò il suo sguardo. Non sorpreso: divertito.
Lui non era uomo che la vita potesse sorprendere: era lì, davanti a lei che restava  immobile come un baccalà messo a seccare, i capelli un po' spenti, gli occhiali che le scivolavano sul  naso, quel suo naso che era stato spiritoso, dirtto e puntato all'insù,  e che continuava a dare al suo viso un'espressione vagamente spavalda che ben poco aveva a che fare ormai con lei.
Sorrideva, ma nemmeno le rughe - fitte intorno ai suoi occhi scuri e, quasi un fuoco interiore li illuminasse, accesi come sono spesso gli occhi dei meridionali  -  riuscivano a imprigionare l'ironia, la passionalità,  quella corrente elettrica che sembrava attraversarlo rendendolo affascinante, caldo come una carezza rubata ma non respinta.
" Pensavo a te... " e le si avvicinò.
Bugiardo come sempre e quindi inaccettabile per il rigore e il pudore, quasi vittoriano,  di lei che lui ignorava, scavalcava come avrebbe fatto con un sassolino posto di traverso sulla sua strada.
"Ma cosa ci fai qui? Come mai... ?"
"Passavo da queste parti... Sì per affari e mi sono ricordato..."
"Di me non credo"  lei lo interruppe.
"Se mi inviti a pranzo te lo racconto...  Comperiamo qualcosa di pronto?" lui concluse, mentre già afferrava un carrello  e  partiva verso il banco degli affettati, camminando non come un cinquantenne sorpreso a fare la spesa,  ma  come un corsaro che alla testa dei suoi predoni li guidasse all'assalto di un  galeone, la voglia di battaglia  nello sguardo per ritrovare il gusto dello scontro fisico, per risentire il sangue scorrere nelle vene e rombare come l'acqua quando tra pietre e sassi s'infila nelle viscere della terra, lungo percorsi sconosciuti.
Lei lo seguiva, impacciata, ma la sua forza, quella vitalità traboccante la  stavano contagiando. Già il fermaglio che le ingabbiava i capelli conferendole quell'aria dimessa era scivolato via, e anche il suo passo si era fatto più sicuro. Il capo, eretto, che ritrovava l'orgoglio per quei capelli chiari, soffici come quelli di un bambino, a incorniciare il viso pallido che l'eccitazione rendeva opalescente.  Le donne se lo mangiavano con gli occhi, quasi squittendo al suo passaggio per attirare la sua attenzione e lui saggiava su di loro il suo potere di seduzione, cedendo il passo cavallerescamente, un sorriso per ciascuna, conscio ma quasi appesantito, suo malgrado, da quel fascino che lo contraddistingueva e lo avvolgeva, come un'aureola il capo di un sant'uomo.
Lei avvertì il morso della gelosia, quella sensazione tanta volte provata di non possedere di quell'uomo nulla o quasi, mentre il bisogno di averlo tutto per sé, di legarlo a sé, di sottrarlo a quegli occhi femminili che nascondevano profferte amorose più o meno abilmente dissimulate, l'afferrava alla bocca dello stomaco.
Quando lui si voltò a cercarla non la trovò. In un balzo fu davanti alla porta d'ingresso; si affacciò. Diluviava e l'acqua, ripulendo dalla polvere le case e le strade, gorgogliava fangosa ai suoi piedi. Tutto era grigio, sporco e umido. Per un attimo, provando la sensazione di scorgere una macchia di un grigio più scuro in mezzo a quel diluvio d'acqua, si chiese quale fosse il colore del golfino che lei indossava, ma al suo fianco era spuntata, come un fungo non mangereccio dopo la pioggia in un bosco, l'ombrello rosso spalancato verso il cielo, una donna piccola,  l'aria vivace, che, allusiva, gli stava sussurrando: "Vuole un passaggio? Vedo che non ha l'ombrello... " e lui era troppo impegnato a sfoderare sorrisi, per distinguerla dalla pioggia, passandole davanti,  mentre lei, incuneata nel profilo sporgente di un portone, lo guardava allontanarsi leggero, il passo elastico e sciolto.
Come un folletto dei boschi.
Evanescente e inconsistente.
Come un miraggio per un assetato, ma altrettanto illusorio - pensò affrontando la pioggia che rimbalzava violenta sul selciato confondendosi con il rumore dei suoi passi.