lunedì 19 maggio 2008

Amati figli, odiati barbari

Cari figli. Carissimi figli…ehm! Strapagatissimi figli. Lo sapevate che, in cambio della vostra serenità, ho rinunciato… A cosa ho rinunciato? Mia madre mi ha sempre detto che ho fatto tutto ciò che ho voluto. No, a questo punto diventa necessario procedere con ordine. Qualcuno imbroglia, qualcuno la racconta a suo uso e consumo.
Se vado a ritroso come un gambero, vedo bambini in pianto davanti a un giocattolo rotto, a un piatto di minestra di verdura senza sale, a una madre che, in fretta, come una ladra, s’infila nel corridoio e scappa, scappa con il loro pianto nelle orecchie, con il loro naso smoccolato che urla disperazione.
No, non vado a un appuntamento galante, sono grigia e anonima, giacca maschile, libri di tecnica sotto al braccio. Sono stanca perché ho preparato le lezioni, persa tra le brume del mattino, un caffè amaro che brucia lo stomaco, il passo da gazzella per non svegliarvi. E ora piangete, voi!
Io? Non ho più lacrime.
Dove sono finite le mie lacrime?
Forse le ho ingabbiate dove relego la rabbia? O forse ho capito la loro inutilità, la fragilità che farebbero emergere e che non posso più permettermi?
La fragilità è donna. Chi ha detto questa cagata?
La fragilità è donna, ripeto, infatti io sono fragile e spaventata.
Dio conta le lacrime delle donne, dice la Caballah, ma forse si è dimenticato di contare le mie.
La vostra adolescenza si incastra con la mia menopausa e forma un blocco unico, un groviglio inestricabile che nessun machete potrebbe tagliare. Voi avanzate, giovani barbari arroganti, facendo terra bruciata: la casa è un campo di battaglia, gli scontri più duri si susseguono intorno al tavolo della cucina. Digerire è un’impresa soprattutto quando al sugo si abbinano frecciate, critiche, malinconie adolescenziali che spengono ogni entusiasmo.
Siete egoisti voi giovani.
Vi difendete, dovete difendervi, emanciparvi da noi adulti.
Attaccate.
Aiuto!
Nessuno risponde.
Non so difendermi, voi l'avete già capito.



“ E’ esaurita? Non dorme? “ chiede il medico distrattamente, e la sua mano già riempie il foglio del ricettario, un ombra di fastidio nello sguardo.
Non voglio psicofarmaci, non ho bisogno di medicine, vorrei soltanto essere rispettata e amata. Chiedo troppo?
Sì, chiedo troppo.