sabato 29 novembre 2008

In bocca al lupo, Obama!

Che Presidente sarà Barack Obama? Intorno a lui si sono coagulate speranze eccessive, destinate a trasformarsi rapidamente in speranze deluse e quindi illusioni?
Razionalmente mi chiedo cosa possa fare un uomo, un uomo solo, anche se affiancato da uno staff, più o meno valido, in un momento storico così difficile? Anche Hitler era un uomo solo, ma ciò che gli permise di sconvolgere il mondo fu che si fece interprete della rabbia, dell'orgoglio offeso e del desiderio di rivincita di tutto un popolo...
Ora alla Casa Bianca arrivano curricula da tutti gli States. Gli americani vogliono lavorare con e per Obama. Se lui rappresentasse l'uomo giusto al momento giusto, se incarnasse il bisogno della parte migliore del Paese di voltare pagina, di uscire dalla palude irachena, di ripristinare regole comportamentali nei mercati saccheggiati dai pirati finanziari?
L'America nera di pelle sarà con lui? Non lo tradirà? E lui non tradirà i fratelli?
E L'America nera di cuore: i petrolieri, i fabbricanti di armi, i politici corrotti, i banchieri corruttibili...Riuscirà a tener loro testa?
In bocca al lupo, Obama!Un uomo solo può fare disastri, ma anche miracoli, se ha un popolo dietro.

giovedì 27 novembre 2008

Mamme in cattedra

Nel mio precedente post ho accennato alla femminilizzazione della scuola, riferendomi alla classe docente. Negli ultimi anni del mio insegnamento i miei, e non soltanto i miei , consigli di classe erano formati quasi esclusivamente da donne e, fino qui niente di male, anzi qualcuno potrebbe anche dire niente di meglio...
Le donne hanno, spesso, maggior spirito di sacrificio, almeno così si dice. E si vede.
Chissà come mai?
Le donne sono più accoglienti, più comprensive. Da cosa dipenderà?
Le donne sono più sentimentali, oppure no?

Poche insegnanti sono iscritte al sindacato. Ne ricordo pochissime che aderissero agli scioperi, scioperi sacrosanti a tutela di una qualità dell'insegnamento che si andava pericolosamente deteriorando. Quante volte ho sentito la frase:" Mio marito è contrario".
Il poco considerato lavoro del docente è, in realtà, molto importante.
La scuola dovrebbe, affiancandosi alla famiglia, educare.
I ragazzi ci guardano, a volte passano più ore con alcuni insegnanti che con i familiari.
Ci osservano e ricordano tutto, anche i più distratti!

Si educa con la pazienza ma anche con il rigore. Si educa al rispetto delle regole. Che devono essere eguali per tutti.
" Ma sono ragazzi! Non si sono resi conto, lasciamo perdere"
Frasi sentite decine di volte fino alla più emblematica e problematica "Per me sono come i miei figli!"
Il nodo della maternità che si ripresenta a ritmare, a modificare l'operato di noi donne.
" Sai la collega d'italiano non ha figli, non capisce!"
" Si vede che lei ha figli, professoressa ".

Ma le regole, la preparazione e la competenza professionale non dovrebbero prescindere dalla nostra condizione di madri?
In cattedra siamo madri o insegnanti?
Secondo me dovremmo essere insegnanti perchè di madri ne basta, e a volte anche ne avanza, una.
Se poi la nostra esperienza di persone si è arricchita dell'esperienza materna, ben venga.
Ma la scuola non è una succursale della famiglia, è l'alternativa alla famiglia, o dovrebbe esserlo. Quindi la scuola rappresenta il primo contatto con quello che sarà il mondo, dove ci si dovrà comportare in un altro modo, dove ci saranno anche gli altri, dove gli spazi di libertà dovranno o dovrebbero essere eguali per tutti, dove non saranno figli e figlie, ma uomini e donne.

Con padri (in famiglia), impegnatissimi nel lavoro, e insegnanti (a scuola), troppo spesso chiocce, sono venuti a mancare punti di riferimento troppo importanti, soprattutto per gli adolescenti maschi.
Quando valutando la preparazione, mai l'alunno, gli appioppiamo un quattro, sarà normale che la madre anche lo consoli. A noi docenti, invece, dovrebbe spettare il compito di superare o perlomeno affrontare altre problematiche: di apprendimento, disinteresse o altre difficoltà che potrebbero giustificare l'impreparazione del ragazzo.

Altro spinoso problema legato alla femminilizzazione del corpo docente: la mancanza del senso di appartenenza a una categoria specifica, l'orgoglio del proprio lavoro, la coscienza della sua rilevanza all'interno della società. Coscienza da cui dovrebbe scaturire la 'pretesa',più che legittima, di migliorioramenti salariali.
Quante volte ho sentito quel "mi accontento"o "la cosa importante è poter conciliare lavoro e famiglia, tanto mio marito ha uno stipendio abbastanza buono". Le donne si "accontentano", e vivono la professone come una missione. Eh sì perchè la donna è, o dovrebbe essere, anche caritatevole. Dovrebbe darsi senza chiedere nulla, o poco, in cambio. Abituata al lavoro domestico non retribuito non ha ancora acquisito una coscienza lavorativa e professionale.

Spesso ho sentito borbottii nei corridoi, ma che qualche insegnante presentasse una protesta scritta o venisse presa la decisione di delegare qualcuna per far presente un'istanza della categoria...Quando mai?

Preciso che ho conosciuto insegnanti validissime: preparate, appassionate nello svolgere il loro lavoro, consapevoli dell'importanza sociale del loro operato e... battagliere! Ma, purtroppo poche, ancora troppo poche per dare una connotazione diversa e valida all'intera categoria.
Di chi le responsabilità?


Onestamente, pur se giustificate dal vissuto femminile e legate a condizionamenti difficili da modificare, alcune responsabilità sono anche personali.

martedì 25 novembre 2008

Parlami d'amore, Mariù


In un mio intervento sul post pensieri scorretti e inopportuni di Loredana Lipperini, concludo dicendo che è assolutamente necessario che il dibattito sulla questione femminile, riprenda e riprenda con forza.
Ogni giorno una donna viene uccisa o massacrata di botte, quando non viene ridotta in miseria da ex mariti che non pagano gli alimenti. La violenza sulle donne non è soltanto quella esplosiva che viene, per rassicurare e rassicurarci, ingabbiata nella follia del 'raptus', è anche quella strisciante, fatta di commenti idioti che ingabbiano le donne in oggetti di desiderio, in bamboline belle da guardare, in donnette incapaci di raziocinio, in isteriche sull'orlo di una crisi di nervi.
Ma il rischio maggiore è che, quasi per osmosi, questo stereotipo femminile, con il quale siamo obbligate costantemente a misurarci, s'insinui subdolamente anche nel cervello e nel corpo della donna. Come una pubblicità invasiva, pervasiva di ogni spazio. Martellante!. Che donna occhieggia dai rotocalchi e dagli schermi televisivi? Che donna inseguono gli sguardi maschili? Di cosa parlano le donne quando sono tra loro? Di politica, arte, filosofia, musica e letteratura?
Origliate donne, origliate...
Parlano di cellulite e di diete, di liposuzione e... di uomini? Magari! Parlano di amori non corrisposti, di amori-camere a gas, di amore - bisogno.
Parlano, insomma, di pene d'amore, di lacci e lacciuoli amorosi.
C'è qualcosa in tutto questo che non mi quadra.
Vogliamo cominciare - o ricominciare - a parlarne? Seriamente?

giovedì 20 novembre 2008

La sicurezza sui treni? Costa e in tv non fa audience

L'altra sera, alle 21.10 sugli schermi de LA7, Ilaria D'Amico, a Exit, furoreggia come sempre, mostrando il profilo grintoso al quale molti, ma per fortuna non tutti i presentatori-conduttori dei programmi di denuncia, si sono ormai adeguati.
Lentezza, sporcizia e ritardi sono le principali lamentele dei passeggeri dei treni?
E' sicura, signorina Ilaria, che nel vostro blog, correlato al programma, non si fosse parlato d'altro? Certamente i passeggeri continuano a viaggiare in ritardo e, come se non bastasse, su treni, spesso, lerci. Ma, anche se in ritardo e non proprio lindi, quei passeggeri, delle cui proteste si è fatta, giustamente!, paladina, a casa ci sono arrivati.
Veronica, invece, a casa non è più tornata.
La stazione era piccola, la pavimentazione scivolosa, chi avrebbe dovuto annunciare quel treno in arrivo dov'era? Era andato a prendersi un caffè? Dormiva, leggeva un giornale o chiacchierava? Veronica, forse, stava ancora ridendo per quella scivolata quando quel maledetto treno si è materializzato, troppo veloce anche per l'agilità e la forza di una diciassettenne.
La morte, in prima serata, si mima, come la fame per i protagonisti dei reality. Non si può sbattere in faccia ai telespettatori, si sa.
Abbiamo già tanti problemi, non possiamo aggiungere anche questo timore, ai tanti che già li tormentano, ai genitori dei ragazzini che fanno i pendolari e che usano il treno perchè è un mezzo considerato sicuro.
Che pubblicità sarebbe per Trenitalia? Finchè si scherza va bene, ma non dimentichiamoci che è sull'alta velocità che volteggiano milioni di euro che possono scatenare appetiti voraci...
Su questo increscioso incidente è prreferibile stendere un velo. Di silenzio, innanzi tutto.
Ma lei, signorina Ilaria, è sicura si sia trattato soltanto di 'un'imprevedibile e tragica fatalità'?

domenica 16 novembre 2008

La que sabé

Mi chiedo quale impatto avrà l'attuale gravissima crisi economica, non in generale, ma sulle donne e, soprattutto, sulle giovani donne.
Cresciute a pane e femminismo, molte - anche se non tutte - da madri lavoratrici, sessualmente liberate dalla pillola, dall'aborto legale, tutelate dalla legge davanti a mariti mascalzoni, libere di convivere con i compagni o di scegliersi una compagna...fruitrici, quindi, anche se apparentemente inconsapevoli, delle sicurezze originate dalle lotte delle loro madri.
Apparentemente.
Ricordo, io che sono già nonna, la mia vita "dalla parte delle bambine": i fiocchi, la vanità indotta, le bambole e i giochi- nel ruolo di mammine - la pazienza e la ritrosia insegnate, la rabbia, l'orgoglio e l'intraprendenza osteggiate, mal viste. Ricordi comuni a molte donne della mia generazione.
Eppure...
Eppure il femminismo, lungi dall'essere una rivoluzione copernicana (non volevamo comandare al posto degli uomini, volevamo rapporti paritetici) e pur conseguendo obiettivi importanti con leggi innovative, ha cambiato tutto per non cambiare nulla, o quasi nulla.
Voi, figlie che avete studiato, vi siete laureate, superando addirittura numericamente i laureati maschi, e, vantando master nei vostri curricula, avete intrapreso carriere inserendovi in professioni,ai miei tempi, inimmaginabili al femminile, siete diverse.
Eppure...
La sottoscritta si laureò in economia e commercio a Trieste, la città che vantava il primato delle donne più libere di tutto il Mediterraneo. Rapporto tra iscritti maschi e iscritte femmine? Uno a dieci, quello che oggi è proprio di facoltà come Ingegneria. Il primo e più brillante laureato del mio gruppo fu una donna. Ogni tanto leggo il nome di alcuni dei miei compagni di università sui giornali e scopro che sono ai vertici di banche, assicurazioni e imprese. Uno è diventato rettore. Magnifico! il rettore, nonché la situazione.
Noi, le laureate del gruppo, abbiamo fatto tanti figli, credo(?) tanti sogni e quelle che non hanno riposto la laurea in un cassetto accanto alle camicie ben impilate dei mariti optando per l'insegnamento, hanno contribuito a quella femminilizzazione della scuola - già abbandonata dai maschi protesi alla ricerca di professioni meglio remunerate e più gratificanti - che non pochi danni ha prodotto. Ma questo è un altro argomento spinoso che non voglio approfondire in questo momento.
E allora?
Allora ho seguito con grande interesse (e affetto!) figlie, amiche delle figlie, conoscenti, parenti, insomma il variegato mondo femminile, giovane che mi circonda, scoprendo che l'avanzamento di carriera lo fa il maschio. Non sempre, quasi sempre. (E' buona norma rispettare una quota rosa). E, a proposito di colori: se arriva un bambino il futuro si colora di nero. Sì, perché mentre voi, le nostre ragazze, vi cullavate sugli allori di presunte sicurezze acquisite, altre leggi venivano varate e, sotto sigle da filastrocca come co.co.co e simili amenità, si reintroduceva il licenziamento (camuffandolo come mancato rinnovo di contratto). Anzi l'astuzia è stata tale da inventarsi una legge che mettesse fuori legge le assunzioni!
Vuoi un figlio? Stai a casa, ché il calore e l'affetto di una madre sono insostituibili.
E' vero ma, soprattutto, in un momento come questo, tralasciando la cronica assenza di supporti validi per le madri lavoratrici, è comodo.
Ragazze di belle speranze, la matematica non è un'opinione: se non c'è lavoro per tutti, chi pensate che dovrà rinunciarvi? La mistica della maternità, gettata fuori dalla finestra, rientrerà dalla porta. E con tutti gli onori. Si alleeranno politica e chiesa e, last but non least, i maschi che nella lotta all'ultimo sangue per avere un lavoro non saranno cavalieri e tutto grideranno fuorché "prima le donne e i bambini".
E allora ragazze di belle speranza: rimboccatevi le maniche! La lotta è appena cominciata e non credo sarà meno cruenta di quella sostenuta dalle vostre madri. Sì, perché dovrete lottare contro voi stesse (i condizionamenti culturali sulla maternità, sulla femminilità, sulla sessualità stanno invadendo di nuovo, come una marea nera, lo spazio intorno a voi) contro i maschi (non tutti, grazie a Dio!, ma molti) contro...Contro tutto? Sì, temo. Vi sia di conforto sapere che siete e siamo forti e che " dopo che tutto è andato o sembra perduto, le donne ridipingono di azzurro le pareti e accendono il fuoco..." perché la donna è "la que sabé" .
Che cosa sa?
Da portatrice di vita, sa che la vita continua.
Deve, comunque, continuare.

venerdì 14 novembre 2008

Che Paese è?

Abitavo ancora a Milano nel 2001. Ricordo l'indignazione che mi fece uscire da casa e raggiungere, in pochi minuti, Piazza Duomo. Arrivava gente da tutte le parti: donne, uomini e ragazzi.
La rabbia e lo sdegno si respiravano, palpabili. Non c'era stato bisogno di indire una manifestazione: tutte le persone che incominciavano a riempire la piazza avevano capito che era successa una cosa gravissima, che non si poteva aspettare, tergiversare. Bisognava schierarsi subito, tanti se non tutti, per difendere una democrazia fragile nei fatti ma ancora forte nelle norme a sua tutela. Avevamo negli occhi le immagini di una violenza inaccettabile e talmente assurda da sembrare ridicola: i poliziotti avevano preso a manganellate ragazzini reduci da adunate in Piazza san Pietro in onore del Papa, tranquille vecchiette con la messa in piega inzaccherata di sangue erano state inquadrate dalle telecamere, la bocca spalancata forse più dalla meraviglia che dal dolore. E il peggio si stava appena preparando, "la lezione" più dura, quella che avrebbe dovuto far passare definitivamente la voglia di protestare, era stata già decisa. La caserma di Bolzaneto e la scuola Diaz erano ancora una scuola e una caserma. Come tante.
Chi ha pagato per ciò che è successo in quella scuola e in quella caserma?
Dopo 7 anni ci dobbiamo accontentare di quanto segue?
" Assolti i vertici della Polizia e condannati gli uomini del Reparto Mobile sperimentale antisommossa che, per effetto della prescrizione, non sconteranno la pena? "

giovedì 13 novembre 2008

Erano altri tempi e ... altri uomini.

Ero una bambina e la guerra era finita da poco. L'aria sapeva di castagne abbrustolite e di neve, incerta sul da farsi. Ancora, in prossimità del Natale, arrivavano gli zampognari e noi bambini venivamo mandati a dar loro un po' di soldi, frutta secca o strudel di mele...
Mio padre, sindacalista alla Telve, esortava i suoi operai a non mollare. Lo sentivo arrivare tardi, alla sera, strofinando i piedi sullo zerbino dell'ingresso. Poi, stridula, si levava la voce di mia madre. Discutevano, accalorandosi. Coglievo qualche parola, ogni tanto: le bambine... un Natale senza regali...te la faranno pagare cara, hai famiglia, tu!...
Il giorno di Natale arrivò mia nonna. Entrò con aria risoluta, le braccia piene di pacchetti.
Disse che il Bambin Gesù si era fermato a casa sua. Mia sorella e io fingemmo di crederle.
Stavamo scartando i regali quando arrivò mio padre. Si avvicinò, raccolse carta e bambole e le ficcò in una sporta che consegnò alla suocera dicendo: "Non hanno regali i figli dei miei operai, non li avranno nemmeno mie figlie. Vinceremo soltanto se saremo uniti..."
Mia nonna lo fulminò con un'occhiata di ghiaccio, mia madre trattenne il fiato e noi bambine scoppiammo a piangere.
Lo sciopero durò oltre un mese, mio padre venne trasferito per punizione in un'altra città e, ricordo, non ebbe mai più un avanzamento di carriera, ma la soddisfazione di siglare un ottimo contratto per il settore dei postelegrafonici, quella non gli mancò.
Questo episodio della mia infanzia mi è tornato alla memoria, ieri, sentendo le parole di Epifani. E' gravissimo quello che è successo, è politicamente gravissimo! Mi riesce, inoltre, difficile sorvolare sulla mancanza di solidarietà dei rappresentanti degli altri sindacati. Ben dovrebbero sapere che si può vincere solo uniti e che indebolire il sindacato può soltanto avvantaggiare il governo, in un momento storico in cui il mondo del lavoro è diventato uno degli ultimi gironi dell'inferno.
Scorretti e, come se non bastasse, ottusi!
E' proprio vero che "on n'est pas trahì que par le siens!"

mercoledì 12 novembre 2008

La fragilità del possesso

Che strano: smettiamo di lottare per ottenere ciò che desideriamo e, oplà, ci casca in grembo.
Perché? Può accadere per le cose o le persone, tanto che un vecchio adagio recita "in amor vince chi fugge". Forse ci appassionano l'impegno della lotta, l'elaborazione della tattica e lo studio della strategia, facendoci sentire vivi? Oppure il desiderio di possedere ciò che ci sfugge e l'avidità dell'avere ci rendono meno riflessivi, facendo percepire a chi ci sta accanto la nostra vulnerabilità? Non lo so ma, spesso, per quanto mi riguarda, ho notato che smettere di "remare contro", lasciandosi andare alla corrente, consente una consequenzialità degli eventi che la nostra logica intrusiva altera. E si arriva così a intuire la superiorità del distacco perchè, comunque, nulla o quasi ci appartiene e, men che meno le persone, rese ai nostri occhi interessanti proprio dalla loro autonomia e individualità che ci concedono quello scambio che solo ci può arricchire. Stringere tra le dita una farfalla non darà mai la sensazione di vederla volare.., eppure quanto soffocante può essere un rapporto d'amore, quanto asfissiante una casa stracolma di oggetti, quanto stressante una giornata piena d'impegni.
Chi non ha più nulla da perdere, perchè ha già perduto tutto, è molto pericoloso perchè non ha più catene. E' libero: di fare, di dire e di pensare. Quindi, per assurdo, i più forti sono coloro che non hanno più nulla. Questo è uno dei motivi che mi indurrebbero a non sottovalutare la protesta givanile, se fossi uno dei politici che ci governano.
Viviamo in una società basata sulla proprietà, sull'accumulo di beni ed esperienze, una società che ha inventato un'economia fatta di carta straccia che ha dato un'illusione di ricchezza, di opulenza immaginata e immaginaria che, nel giro di pochi mesi, si è dileguata come neve al sole.
Forse questa crisi ci aprirà gli occhi sull'inutilità e la fragilità del possesso.
Forse.

martedì 11 novembre 2008

La scrittura è una malia...

Eccomi di nuovo a fare i conti con la scrittura. E' da qualche giorno che l'ho abbandonata, lasciata lì derelitta e sola in un angolo. Come un figlio, amato troppo e quindi male, la osservo di sfuggita, di soppiatto, ne prendo le misure. Né con lei, né senza di lei...
Mi accorgo che è una dipendenza, un modo di essere, una scelta di vita. Incapace di sottrarmi alla malia delle parole, a quel richiamo di sirene omeriche che cantano accompagnate dal suono delle onde o della risacca, io ne faccio catene che m'imprigionano o ali che mi fanno volare.
Con le parole scivolo in altre vite, mi calo in personaggi sconosciuti, ne mimo i sentimenti, sfuggo agli schemi di una vita sola e una sola vita che, a volte, mi sembra modellata da altre mani, animata da altri ideali, ingabbiata in regole che mi sono estranee.
Senza parole sarei un gatto che modula suoni fissandomi con occhi di tigre, grandi e immoti come laghi senza brezza, sarei un cane, espressivo ma muto, sarei un uccello, canterino ma ripetitivo...
Con le parole sono una donna che riflette, una ragazza che ride, una vecchia stanca che impreca,
una madre immemore e una moglie astiosa. Sono mare e marea, vento e tempesta, acqua e fuoco nelle sere di novembre che annunciano l'inverno, qui tra le brume della pianura padana, dove gli elfi e le streghe danzano nelle notti di luna piena...

venerdì 7 novembre 2008

E' successo!

E' successo!
Obama è il Presidente degli Stati Uniti d'America.
Rifletto: soltanto quando si tocca il fondo, si fanno errori gravissimi e la sensazione di essere perduti si fa certezza, all'orizzonte si profila la via d'uscita, la porta aperta della cella dalla quale il topino o i topini (di Laborit) riusciranno a fuggire.
Si chiama coraggio della disperazione. Credo che ognuno di noi ci sia passato, almeno una volta nella vita.
Ora tutto il mondo lo guarda, attendendolo al varco delle decisioni, difficilissime, che dovrà prendere. Ce la farà Obama?
La mia impressione, ossservandolo durante i comizi, scrutandolo nelle immagini che, ora, a getto continuo, la televisione di lui ci fornisce, è di avere di fronte un uomo estremamente determinato, appassionato ma abituato a lottare per vincere, a elaborare strategie e cesellare tattiche. Alto, sciolto nel passo ma attento, ferito dalla vita quel tanto che basta a dare un'esperienza del dolore, ma senza deprimere o fiaccare.
Non sembrava stupito per la vittoria ottenuta, quasi l'avesse prevista.
Non aveva un'aria arrogante da self-made man, non era era esaltato dalla vittoria...
Sembrava piuttosto avere già archiviato il successo ottenuto, quasi il suo sguardo si puntassesu altri obiettivi, ben più difficili da conseguire. Sulle labbra il sorriso di sempre.
Speriamo che nessuno spenga il suo sorriso.
Tanti auguri, Obama!

sabato 1 novembre 2008

Linka tu che linko anch'io. No, linko solo io

Perché iscriversi - che ne so - a un Blogbabel, Migliorblog o Technorati?
Io, al di fuori della mischia per l'età che ho, sono stata spinta dalla curiosità, dalla voglia di capire una tendenza attraverso un mezzo evoluto.
Credo che stilare una classifica di merito non sia facile. Presumo si parta individuando dei parametri. Quali? Stabiliti con quale criterio?
Piacere, a chi ci sta intorno, gratifica. E' innegabile! Ci vestiamo, ci trucchiamo (noi donne), ci atteggiamo, studiamo, leggiamo per sapere, per capire, ma anche per suscitare ammirazione.
Quindi è innegabile che un parametro che tenga conto dell'ammirazione che suscitiamo con il nostro operato sia da individuare. Per un blog la frequenza con cui veniamo letti è un parametro da considerare.
Ma, piace ciò che è bello o è bello ciò che piace?
Con la seconda ipotesi un Berlusconi, votato dalla maggioranza del Paese, risulterebbe essere il migliore tra i leader in lizza...
Ho notato che i post si vanno omologando come linguaggio: stile veloce, incisivo, molta ironia, qualche c....o di rigore e un vaffan.. che non si nega a nessuno. Ricordo che, a scuola, gli insegnanti peggiori privilegiavano gli allievi che li scimmiottavano.
La diversità attrae, ma inquieta: è poco gestibile, non controllabile e l'autonomia di giudizio o d'azione, come le donne troppo belle, desiderate da tutti, non è amata da nessuno.
Quanti sono stati gli artisti che, rompendo con la tradizione, non sono stati compresi? O compresi solo da pochi? Sono le avanguardie che cambiano il mondo. E' lo sparuto gruppetto degli esploratori, che avanza nelle terre "abitate dai leoni", che allarga e modifica i confini degli imperi. Consegnarsi quindi, calzati e vestiti, al giudizio dei più è sempre corretto? E perché tenere dietro a tanti blog di poco conto se i post di cui si discute risultano nove volte su dieci scritti dai primi 100 blog in classifica? Non è che i tanti servano a dare lustro ai pochi? Il terzo su 18 mila non fa lo stesso effetto del terzo su 100.
I blogger di serie b, c...fino alla z costituiscono lo strascico che dà lustro ai blogger di serie a. E un contentino ogni tanto si può sempre dare, anche se risulta di difficile comprensione un punteggio assegnato a post (sempre gi stessi!) ritenuti scarsini per 4 giorni e validi il quinto. Il post non è come il vino: non migliora invecchiando!
Mi è capitato di vedermi nominata per aver citato un blog ritenuto valido.
Linka tu che linko anch'io? No, non funziona così: linko solo io. L'età e la professione mi hanno insegnato molto, anche se, ovviamente, non tutto, ma una costante si è sempre delineata, davanti ai miei occhi: la presenza di molti, al lavoro, per il vantaggio di pochi. Anche in borsa chi sa esce prima che entrino le casalinghe di Voghera, senza le quali però non si avrebbe quella oscillazione del valore dei titoli che consente ai big di rientrare ottenendo alti guadagni. Anche qui la massa modesta fa brillare i pochi che la sanno lunga.
Mi chiedo: perchè fidarsi del giudizio di chi non si considera valido? Forse perchè serve? Perchè è utile, e ciò che è utile è spendibile? In cambio di che cosa? Qualcuno ha l'occhio lungo e la tecnologia tempi veloci. Velocissimi, tanto veloci che il futuro è già qui.
Meglio attrezzarsi?
Quanto tempo ci vorrà perché Internet soppianti giornali e televisione cambiando tutto per non cambiare nulla nella terra dei gattopardi?