lunedì 14 marzo 2011

Ha un senso ciò che sta accadendo?

La globalizzazione trasformerà - ha già trasformato il mondo? - in un villaggio globale, dicevo misurando l'aula in lungo e in largo, seguita dagli sguardi interrogativi dei miei alunni. Le idee corrono lungo le autostrade del nulla, ritmate dal bip, bip dei computer, le immagini sui monitor si rincorrono di paese in paese. In tempo reale, aggiungevo, aprendo la spazio al'insondabilità del tempo virtuale.
La tecnologia, non più a spizzichi, ma a bocconi, ingoiava spazio e tempo, velocizzando tutti i processi; l'economia industriale, quella del fare, cedeva il posto all'economia di carta, quella che moltiplicava i profitti spostando sfilze di numeri - la moneta immateriale - da una istituzione finanziaria a un'altra. Cadevano, come birilli, i confini tra gli stati: merci e persone si spostavano su mezzi sempre più veloci e serviva energia, sempre più energia, in un mondo dove le riserve petrolifere stavano rapidamente riducendosi. Per il petrolio si dichiarava guerra ai paesi produttori, giustificandola con menzogne e promesse di democrazia, ritenuta esportabile come un barile di birra! L'Occidente costruiva centrali nucleari, e l'Italia veniva considerata con una certa sufficienza per non avere ancora risolto il problema energetico in modo serio. Qualcuno, scegliendo il verde come colore emblematico, il verde dei campi, dell'erba, dei boschi, scuoteva la testa e portava avanti le sue battaglie, ostinatamente convinto che la natura andasse rispettata, non solo saccheggiata e che l'omino convinto di poterla controllare si sarebbe ben presto trovato a fare i conti con un gigante impazzito.
Quanti minuti sono bastati alla Natura per mettere in ginocchio la terza economia del mondo?
Una manciata.
Uno scossone, un'onda anomala, una serie di guasti ai sistemi di raffreddamento delle centrali nucleari e - oplà - il mondo, non più soltanto il Giappone, osserva e... aspetta. Atterrito.
Tutto ciò che avviene ha un senso, una logica consequenziale. L'uomo tenta di controllare la realtà che lo circonda e spesso -  limitatamente ad alcuni aspetti e tempi - riesce a farlo. E' bravo, spesso bravissimo, ma non è onnipotente, e lo sa (perché altrimenti si sarebbe inventato un Dio a lui superiore, anche se fatto a sua immagine e somiglianza, caricandolo di tale onore e onere?)
Forse il senso di questa tragedia è quello di farci riflettere. Seriamente, molto seriamente: sullo sviluppo che non sempre è progresso, sul potere (nostro e della natura che ci circonda), sulle sicurezze (reali e presunte). E sui valori, sì, i vecchi, mai superati, valori. Ridando loro una dignità che forse in questi anni hanno perduto, tallonati e superati dai beni, dalla roba , dagli oggetti, sempre più perfezionati e numerosi.
Proprio al Giappone, unico paese ad aver provato l'inferno della morte radioattiva, è toccato il compito di interrogarsi, in prima persona, sulle conseguenze delle proprie scelte. Il Giappone ha scelto l'energia nucleare, ben sapendo di essere un paese ad altissimo rischio sismico. E se l'epicentro del sisma fosse stato sotto una delle tante centrali costruite nel paese?
Avere perso i propri figli e ipotecato - forse - il futuro dei bambini sopravvissuti, che vediamo tra le braccia dei soccorritori, è il prezzo che i giapponesi avevano messo in conto nel rapporto costi/benefici al momento dell'opzione nucleare? I volti, dove nemmeno l'educazione orientale al controllo riesce a contenere la disperazione di chi ha perso tutto il proprio mondo, sono pallidi, smarriti.
Questa tragedia non è frutto solo del caso, non è imputabile soltanto al destino. E' - al pari della guerra economica che ha devastato il legittimo progetto di futuro (diventato illusione per una intera generazione i giovani) dei nostri figli, la conseguenza di una serie di scelte, in parte fatte, in parte subite, che dobbiamo analizzare e ripensare... Seriamente, ripeto, molto seriamente.