martedì 27 ottobre 2009

Romanzo a puntate I Dellapicca

Il Moro era caduto in un sopore mortifero e Maria spesso si avvicinava alla sua bocca per sentirne il respiro, tremando. Sigismondo si era offerto di farle compagnia in quella prima notte che si preannunciava lunga e insidiosa per il ferito, ma la moglie guardandolo negli occhi con l'attenzione che scaturisce automatica nei momenti di angoscia aveva colto nel suo sguardo soltanto pietismo di facciata, ben lontano dal dolore che lei stava provando e, con un gesto di stanchezza, l'aveva invitato a non insistere. E, infatti, Sigismondo, quasi sollevato, era andato a letto e appena messa la testa sul cuscino si era addormentato, ignorando che quella notte i suoi sogni si sarebbero popolati di incubi.
La moglie, nella stanza del ferito, era stata assalita dal peso dei ricordi: il Moro, la prima volta in cui l'aveva visto, nel pieno della sua prestanza fisica si era materializzato davanti ai suoi occhi, inscindibile da Sigismondo che, seduto a un tavolo nella locanda dei suoi genitori, cercava di darsi un contegno, lo sguardo fisso sulla porta nella speranza di vedervi inquadrata la figura del servo che, appena entrato con la sua sola presenza, aveva fatto capire di che pasta fosse fatto, benché Sigismondo l'avesse trattato con notevole alterigia. Quel rapporto di sudditanza era rapidamente cambiato tra i due uomini, soprattutto a causa sua, perchè era lei all'origine di quella sfida che li aveva resi nemici. Giovanissima e ignorante, crescuta tra i tavoli di una locanda - ascoltando anche i consigli di sua madre e con la lusinga di diventare la contessa Dellapicca - per vanità, per pura vanità, aveva sposato il conte Sigismondo. Al pranzo seguito alle nozze, il Moro si era chiuso nel mutismo e, dopo poco più di un'ora, se n'era andato scusandosi, quando il padrone con un sorrisetto si era alzato da tavola salendo al piano superiore per chiudersi nella stanza da letto. Aveva avuto subito la sensazione netta di aver fatto un errore, di avere sposato la persona sbagliata. Il gigantesco nero l'aveva protetta e... amata fin dal primo momento in cui l'aveva vista. Poi, nel tempo, aveva potuto apprezzare l'intensità di quell'amore, tradito dalle occhiate dell'uomo che la seguivano con troppa insistenza, posandosi sui suoi fianchi, mentre i suoi occhi si accendevano, quasi a evocare il calore della sua terra e la malia di una passione che piano piano l'aveva contagiata. Ed era cominciato quel gioco di sguardi, lo sfiorarsi in un crescendo di desiderio, lei tra le braccia del marito che pensava a lui... fino a quella notte, quella notte in cui ubriaca di parole e desiderio l'aveva seguito: il canto delle sirene nelle orecchie, negli occhi stelle, manciate, grappoli di stelle e spicchi di luna. In quella notte di passione, fusi senza soluzione di continuità come cielo e terra all'orizzonte, erano piombati in un gorgo azzurro che al mattino l'aveva restituita a se stessa e al mondo con occhi, sorrisi e mani sapienti di donna... che mai più avrebbero dimenticato.
Ma c'era stata la paura del parto, l'angoscia di non sapere di chi fossero i figli che si portava in grembo, la lontananza dal Moro e tutta la sofferenza che ne era seguita, che le avevano fatto accantonare in un angolo buio della mente il ricordo di quella notte di passione che, ora, prepotente le tornava alla memoria, mentre quasi in attesa degli eventi fissava le scintille che, come lucciole in un prato, rompevano l'oscurità che era piombata sulla stanza.