sabato 29 maggio 2010

La casa delle bambole - racconto a puntate - (n°24)

Il trillo del telefono ci fece ammutolire.
"Sì?"
"Avete trovato qualcosa?"
La voce di Gloria era ferma e fredda, per nulla incoraggiante.
"Sì".
"Cosa?"
Un fremito appena distinguibile nella voce.
"Lo saprai quando mi consegnerai mia figlia".
"Non sei nella condizione di trattare, lo sai!"
Meglio non indispettirla - pensai, rispondendole: "Lo so".
"Devo verificare se l'informazione è quella corretta... Dobbiamo trovarci  a Lugano, domani mattina alle nove; c'è un caffè all'aperto, si chiama 'La donna del lago'..."
"Devo vedere mia figlia... Non ti consegnerò nulla se prima... "
"Sì, stai tranquilla. Sta bene e potrai vederla",  infastidita, tanto per zittirmi.
"Passamela!" intimai, inutilmente imperiosa. Aveva già abbassato la cornetta.
Rimasi immobile, il rumore del telefono monotono e ripetitivo a conferma che dall'altra parte avevano riattaccato, mentre Enrico mi guardava. Interrogativo. Gli riferii quello che Gloria mi aveva appena detto.
"Lugano? E il numero di un conto corrente o di una cassetta di sicurezza che stanno cercando?" borbottò, quasi parlando tra sé e sé. "Ma non riesco a capire il coinvolgimento dei tuoi genitori... "
"Se mia madre fosse viva... " dissi, aggiungendo "anche se mi ha raccontato solo bugie!" mentre il rancore riaffiorava, acido come un rigurgito di bile.
"Proviamo a riepilogare: tua madre e Gloria danno versioni contrastanti del passato che, in prima persona , ti coinvolge. Chi è il tuo vero padre? "
Guardai Enrico, scuotendo la testa, mentre i pensieri si facevano caotici.
"Non lo so. Ma ora mi interessa nostra figlia. Starà male? Avrà paura? Cosa penserà di me, di te... di noi. E si sentirà abbandonata?"
Non ero riuscita nemmeno a sentirla - pensai, chiedendomi se fosse viva. Ancora. Sconvolta, dopo essermi seduta perché le gambe non mi reggevano, dissi a Enrico:
"Se andassimo alla polizia?"
"Ci stanno pedinando e controllando; é troppo pericoloso"
"Ma abbiamo in mano soltanto quella stupida filastrocca... Se non fosse ciò che cercano? Domani come ci comporteremo: come sarà materialmente possibile scambiare questa informazione con... con Letizia?"
Enrico taceva, sembrava ruminasse qualcosa tra sé e sé, poi, lentamente, disse:
" Vedrai che andrà tutto bene... Che convenienza avrebbero  - cerca di ragionare freddamente, anche se capisco quanto sia difficile - a trasformare un rapimento in un omicidio?"
Poi, dopo una breve esitazione mi chiese: "Cosa faremo quando tutto questo sarà risolto?"
Io lo guardai: la camicia stazzonata, i jeans stinti, le lunghe dita nervose che sottolineavano le sue parole e gli occhi, quei suoi occhi ai quali mi ero arpionata - come uno scalatore su una parete a strapiombo ai chiodi  - trovandovi conforto e aiuto, ma non solo. Nel suo sguardo che mi riconosceva, accettandomi, mi ero vista  acquisendo, se non ancora un'identità, la consapevolezza di averne una per lui o di essere accettata anche con i miei confusi, variabili, confini. Scoprivo il calore di un'appartenenza in un momento in cui, non più figlia ma solo madre, affrontavo il rischio di una lacerazione anche su quel fronte. Riprovavo la passione, il desiderio, il conforto di un'altra pelle.
Abbandoni dimenticati.
In quel momento squillò il telefono. (continua... )