lunedì 8 agosto 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°30)

"E' più pericoloso del Bepi, questo qua , perché sembra uno di noi: stesso dialetto, stessi modi... un bicchiere di vino buono e poche parole quando si mangia insieme. Si fa chiamare Gualtiero, non Debosi che è il suo cognome, ma è un fascista, è 'nero' dentro, nero come l'inferno. Con me fa il furbo e si dimostra 'alla mano', dicendo in giro, con quella sua aria bonaria, rassicurante, che viene dalla campagna, anche lui, che ci conosciamo... E poi scivola via con il discorso; non approfondisce: sa che non gli converrebbe... " borbottò Primo tra i denti. Giuseppe, accanto a lui, gli rispose: "Ci vediamo dalla Giorgina, alla fine del turno... Così ne parliamo, e non lasciarti scappare una parola di troppo con gli altri. Qui non ci si può fidare di niente e nessuno"
Il compagno annuì, pensieroso, dopo aver lanciato un ultimo sguardo al sorvegliante che si stava allontanando.
Il rumore nello stanzone era assordante e i due operai erano riusciti a scambiare tra loro quelle poche parole soltanto approfittando di una fase della lavorazione che li obbligava a compiere il lavoro, anche se per pochi minuti, fianco a fianco.
Intanto Gualtiero era tornato nel suo ufficio. La Rosina alzò la testa dal fascicolo che stava esaminando e lo fissò interrogativa. Gualtiero, irritato, si lasciò cadere pesantemente sulla seggiola dietro alla scrivania passandosi una mano sulla faccia sudata. "Ci brucerà i polmoni questo  fumo, vacca ladra!", poi, con fare imperioso "Passami il fascicolo di Primo Modotti" le disse.
Lei si alzò, la gonna stretta, tesa sui fianchi rotondi, che lasciava indovinare le cosce piene, bianche come il latte. Aveva, la Rosina, la pelle chiarissima, quasi diafana, tipica delle donne dai capelli rossi. Non era particolarmente bella, ma era giovanissima e soda, come una mela appena staccata dal ramo. E quella spruzzata di lentiggini sul viso la vivacizzava, dando ai suoi occhi un calore di miele. Gualtiero la seguiva con lo sguardo ogni volta che si muoveva nella stanza e, quando gli passava accanto, ne fiutava l'odore, socchiudendo gli occhi e immaginandola in sottoveste, quella sottoveste di cui intravedeva il pizzo quando, prendendo appunti, lei appoggiava il quaderno sulle gambe accavallate.
Aprì il fascicolo: sapeva parecchio di Primo... Era da tempo che lo seguiva; conosceva le sue abitudini, chi frequentava all'interno dello stabilimento...  Sapeva tutto, o quasi, della sua ragazza, della famiglia da cui proveniva. All'uscita dal lavoro, spesso, si fermava all'osteria della Giorgina a prendere un bicchiere di vino e, si sa, il vino scioglie la lingua!
Gualtiero ridacchiò soddisfatto pensando che era sempre stato abile a collocare le trappole in campagna mentre, scartabellando tra i fascicoli, faceva una lista dei frequentatori abituali, e non, dell'osteria della Giorgina e segnava, siglandoli, i nomi di coloro che conoscevano Primo.
"Posso andare?" chiese timidamente la segretaria, distogliendo Gualtiero dai suoi pensieri e riportandolo alla realtà.
Lo stabilimento, ormai vuoto, era silenzioso; poche le luci accese a indicare ancora qualcuno al lavoro.
Fatto un cenno d'assenso, senza nemmeno alzare gli occhi, sentì sbattere la porta dell'ufficio; soddisfatto si concentrò su quanto stava facendo, mentre nella sua testa prendeva forma la trappola che, secondo lui, avrebbe potuto incastrare Primo.
(continua... )
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