mercoledì 25 novembre 2015

Donne e violenza

In questa giornata tersa come il cristallo, quante donne si sono alzate dopo una notte insonne, passata  accanto al compagno, tormentate dalla paura, infiacchite dalla sensazione di non valere nulla, di meritarseli quegli schiaffi  di cui portano ancora i segni  sul volto? 
Tante, troppe.
Come aiutarle, quando è già difficile capirle. Legate le une alle altre da quel balbettio comune:  “Non è cattivo, a modo suo mi vuole bene … Forse, è colpa mia”, sembrano sperse in un mondo arcano, un mondo che nessuno dovrà conoscere perché lui, il mostro, cambierà, deve cambiare. Loro, le donne maltrattate, offese, minacciate diventeranno più attente, capteranno prima i segnali della burrasca in arrivo, sopporteranno, insegneranno ai bambini a non far rumore, a non fiatare perché “il babbo è stanco”, ha lavorato, è nervoso. Lui. Lei, la madre no, la madre, spesso casalinga, non lavora, come se il carico di lavoro domestico non essendo remunerato, non avesse diritto di cittadinanza. Oppure lei, la donna, lavora: se lo è trovato il  lavoro, quando ha deciso di andarsene, di lasciarlo quell’uomo violento, di sottrarsi al clima di paura che aleggiava sempre sulla casa, al balbettio  confuso dei bambini che le chiedevano se il babbo fosse “cattivo”. Ha conosciuto un uomo, un collega, ma si è accorta che il marito le sta dietro come un segugio.
Se lo trova davanti all’improvviso, come se l’avesse partorito il buio. La minaccia, ha visto le sue mani strette a pugno, danzarle davanti agli occhi e ha avuto paura. Di nuovo, come sempre.  Quante sono le donne che pur avendo trovato la forza per andarsene, continuano a vivere nella paura? 
Tante, troppe.
Quante vengono uccise in una mattanza che sembra non avere fine? 
Tante, troppe.