giovedì 6 maggio 2010

La casa delle bambole - racconto a puntate - (n°18)

Passarono alcuni giorni ritmati dallo sbalordimento che sempre provoca nei sopravvissuti la morte di un familiare e dalle formalità del funerale; poi si fece strada il dolore che m'invase senza concedere tregua. Fui costretta ad affrontare l'assenza, quel "mai più" che ti rimbomba nel cervello e nell'anima, immodificabile,  non soltanto schiantandoti, ma aggiungendo al tuo dolore di bipede implume e spaventato la presa di coscienza della tua pochezza, provvisorietà e impotenza. Mia figlia, arrivata il giorno dopo la morte della nonna, mi stava accanto con la forza dei suoi vent'anni, con la sensibilità e l'affetto che la caratterizzavano, guardandomi, quando pensava che non la vedessi, con quello sguardo un po' preoccupato e imbronciato che tanto mi ricordava suo padre. Mi affluivano alla memoria, sollecitati anche da quello che riaffiorava del mio  passato nella casa di mia madre, i ricordi, mentre riponevo nei cassetti, facendo ordine, tutto ciò che avevo trovato sparpagliato per casa. Avevo sporto denuncia di fronte a un maresciallo di Pubblica Sicurezza, che con aria piuttosto seccata mi aveva confermata nei miei sospetti: era molto probabile si fosse trattato di un ladruncolo, magari un tossico. Mancavano infatti alcuni gioielli, non di grande valore, e il servizio di posate d'argento. Cambiammo la serratura e, prese da ben altre cose, mia figlia e io dimenticammo quell'incidente.
Dopo un paio di giorni tornammo a casa: Letizia, mia figlia, a Bologna e io in quella cittadina termale, dove risiedevo ormai da alcuni anni. Non avevo pensato molto a Gloria e, soprattutto, non avevo parlato di lei con mia figlia. Mi rendevo conto di avere inconsciamente cercato, mettendo ordine nella casa dove avevo passato l'infanzia e l'adolescenza, qualche traccia di un passato che aveva assunto contorni incerti e che mi appariva sempre più misterioso. Ricordavo le ultime parole di mia madre. A chi credere? Il rovello del dubbio mi ossessionava, alternandosi al dolore, mentre guidava lungo l'autostrada e la sera calava, allungando ombre cupe sui campi che costeggiavano la tangenziale. Accompagnata  Letizia a Bologna, ora desideravo soltanto arrivare a casa, farmi una camomilla e andarmene a letto. Non avevo avuto figli da mio marito e Letizia era nata dalla mia relazione con il musicista. Il musicista veneziano che avevo conosciuto appunto in quella città nella quale mi ero trasferita  appena sposata. Forse perché legata alla mia giovinezza e a quella storia d'amore difficile ma intensa, Venezia era la città che più amavo, anche se da molti anni non avevo più osato affrontarla temendo che non sarei stata in grado di reggere il peso dei ricordi. Perché a volte può essere più difficile ricordare  i momenti  belli che quelli  dolorosi: il confronto con l'opaca realtà che è il nostro presente ne risulterebbe ulteriormente appesantito, e ancora più insopportabile potrebbe sembrarci la nostra solitudine.
                                        Ma appena imboccata la strada di casa, era ormai sera inoltrata e in giro non c'era nessuno, non so per quale strano e incontrollabile impulso, sterzai bruscamente immettendomi sulla stradina a tornanti che portava alla casa di Gloria. Non l'avevo sentita, contrariamente alle nostre abitudini, non c'eravamo cercate. Be', la faccenda era perlomeno strana. Un cane sbucò da un cancello e mi tagliò la strada, obbligandomi a rallentare. Avvertivo un'ansia immotivata, quasi temessi ... Che cosa? Cercai di calmarmi
dicendo a me stessa, per rassicurarmi, che ero semplicemente stanca e stressata.
La casa mi si parò davanti all'improvviso, emergendo dall'oscurità che un pallido spicchio di  luna attenuava appena. Come mai Gloria aveva spento il lampioncino che illuminava l'ingresso?
Frenai, accostando al cancello, e scesi. La sommità della collina era avvolta in un silenzio greve che mi parve stupidamente minaccioso. Mi girai di scatto temendo di avere qualcuno alle spalle. Nessuno.
"Gloria , Gloriaa, Sono io, Giovanna. Apri!" gridai.
MI rispose soltanto il vento e fu allora, in quel preciso momento, che lo sguardo mi cadde su quel baluginio chiaro che si stagliava sul cancello. Mi avvicinai, rendendomi conto che si trattava di un cartello, ma non riuscivo a leggere... Corsi alla macchina e presi la pila. Due minuti dopo leggevo ad alta voce, quasi balbettando, un'annuncio immobiliare che metteva in vendita la casa.
Alzando la pila davanti a me, illuminai il portoncino d'ingresso, notando che era sbarrato e che non c'erano il tavolino in ferro battuto e le seggiole. Erano scomparsi anche i vasi di limoni.
Tutto aveva un'aria desolatamente vuota e, se fosse improvvisamente scomparsa anche la casa, quasi fossero state casa e padrona un parto della mia fantasia, non me ne sarei stupita.
Rimasi lì incredula, l'avviso tra le mani, mentre il vento aumentava d'intensità portando fino a me il profumo del bosco che incombeva, scuro e minaccioso, alle mie spalle. (continua...)