lunedì 14 settembre 2009

Romanzo a puntate I Dellapicca

Genoveffa, dopo aver accompagnato Yael dal Rabbi, ritornò da Sigismondo che l'attendeva nel corridoio e, sbuffando, lo invitò a seguirla. Passarono attraverso la cucina, dove la donna prese un po' di pane, delle olive e una caraffa d'acqua, prima di uscire facendogli attraversare in fretta il vicolo, per entrare, attraverso il portoncino che si apriva cigolando, nella casa di fronte a quella del Rabbi. Ancora qualche minuto e Sigismondo poteva finalmente sdraiarsi sul pagliericcio e cadere in un sonno agitato da incubi che lo svegliarono parecchie volte nel corso della nottata.
Passarono così diversi giorni. Il rabbino, che sapeva sempre tutto di tutti, non tardò a scoprire che Maria, la figlia Benedetta e Il Moro si erano imbarcati salendo su una nave che collegava Trieste alle coste istriane, dominio ancora incontrastato della Serenissima. Sigismondo, dal suo nascondiglio, chiedeva notizie a Genoveffa che una volta al giorno gli portava da mangiare. Spiritato, sporco, chiuso in quei pochi metri quadrati che percorreva in lungo e in largo borbottando frasi sconnesse, oppure gettato sul pagliericcio in un dormiveglia apatico, Sigismondo non ricordava quasi più il nobile raffinato che aveva movimentato le notti veneziane, e la sorella del Rabbi lo trattava con evidente fastidio, senza quasi rispondere alle sue domande. Una mattina, occhieggiando da un abbaino sul tetto, notò una strana agitazione nel vicolo. Sembrava che tutto il ghetto vibrasse, tremasse, mentre le finestre si chiudevano, i portoni venivano sprangati e davanti alla casa del Rabbi, come una nuvola di tempesta in un cielo sereno, nereggiava una piccola folla. Erano soprattutto donne, alcune con i figli tra le braccia, nell'aria, quasi cercasse una via di fuga dal ghetto, un mormorio indistinto, fatto di sospiri, preghiere e singhiozzi.
Allarmato Sigismondo cercò tra i volti, che la scarsa luce del vicolo rendeva indistinguibili, quello della donna che aveva intravisto alla luce della lampada nella casa del Rabbi. Non gli parve di vederla.
Ma cosa stava succedendo? Perché Genoveffa tardava? Cosa la stava trattenendo nella grande casa dalle finestre illuminate? Perché tutto il ghetto brillava di candele accese davanti alle immagini sacre?
In quel momento vide uscire Genoveffa dal portoncino. Le donne le si accalcarono intorno. Lei rispondeva facendosi largo tra la folla e consegnando qualcosa che scivolava nelle tasche dei grembiuli, mentre alcune delle persone si allontanavano. Ebbe anche l'impressione che sollevasse gli occhi da terra per guardare nella sua direzione, ma fu soltanto una sensazione.
A quel punto, Sigismondo, furioso come un leone in gabbia, vedendo rientrare la donna e sbarrare il portone, decise di scendere per capire cosa stesse succedendo e per avere un colloquio chiarificatore con il vecchio Gaspez. Gli aveva chiesto di nasconderlo per un po' non di seppellirlo vivo, tenendolo all'oscuro di tutto, e senza comunicargli un bel nulla sui risultati delle sue ricerche. Si chinò e, infilate le dita nel risvolto degli stivali, tastò l'anello che, allargando la cucitura, estrasse dal bordo. Nella fioca luce brillò il diamante
e lo stemma dei Dellapicca prese vita. Era l'ultima legame con il suo passato quell'anello che aveva sottratto pochi anni prima alla cupidigia del rabbino. Forse sarebbe stato ora il suo lasciapassare per avere notizie finalmente della moglie, della figlia e del Moro. Lo tenevano chiuso a chiave come un ladro? Sarebbe sceso attraverso i tetti. In qualche modo ce l'avrebbe fatta - pensò, mentre si arrampicava scivolando fuori dalla stanza e avanzando cautamente sul tetto.
Davanti a lui, oltre alle case si allargava, inalterata promessa di fuga e libertà, il mare.