sabato 7 aprile 2012

C'era una volta, non tanto tempo fa...

C'era una volta un tempo (in)felice in cui nei Paesi cosiddetti ricchi (tra i quali il nostro) ma detentori di valuta "povera", nelle fasi di crisi economica si attuava una "svalutazione competitiva". Invece di ridurre il costo d'impresa, trovando una migliore combinazione produttiva, si svalutava il cambio. Favorendo le esportazioni , la Bilancia commerciale tornava in attivo, riprendevano a correre i consumi, il Paese - se ricco di bellezze artistiche e paesaggistiche come il nostro - veniva invaso dai turisti che portavano valuta pregiata: marchi, dollari, sterline, franchi  svizzeri... E si usciva dalla crisi.

Be', la lira non ci faceva una gran bella figura, l'inflazione aumentava di anno in anno, i salari e gli stipendi pure, (adeguandosi, anche se soltanto in parte, attraverso il meccanismo della scala mobile), i cosiddetti "fondamentali" quindi peggioravano, ma il Paese viveva bene. Relativamente bene, incoscientemente bene, ignorando (o fingendo d'ignorare) quanto quel tenore di vita fosse alto e quanto oneroso fosse lo Stato assistenziale (Welfare State lo chiamavano ed era il fiore all'occhiello dell'Europa, ma a suon di deficit annuali avrebbe dato vita a quei Debiti pubblici presi oggi di mira dagli speculatori finanziari).

Se le crisi erano ancora congiunturali, l'inflazione, però, era a due cifre, e l'Ue ancora e solo una speranza, un progetto condiviso idealmente in un mondo che diventava sempre più "piccolo", anche in virtù di una tecnologia sempre più avanzata. Poi la globalizzazione diventò realtà, come il sogno europeo che si realizzò, purtroppo, soltanto a livello monetario.

E la realtà diventò incubo, maturato in anni, ma esploso in pochi mesi. Con quale risultato? Crisi di nuovo, ma strutturale (o di  sistema) e globale, mentre ai colossi del capitalismo occidentale, che cominciavano a mostrare traballanti piedi d'argilla, si affiancavano le nuove economie (Cina, India, Paesi dell'America Latina) che esportavano i loro prodotti, resi competitivi soprattutto dal ricorso a mano d'opera pagata pochissimo e priva di ogni forma di tutela sindacale. E così iniziò la delocalizzazione delle imprese: dai Paesi  ricchi a quelli poveri... mentre una massa di disperati,senza alcuna specializzazione professionale, continuava a cercare scampo dalla miseria dei Paesi ancora non industrializzati, offrendo, nei Paesi ricchi, mano d'opera "in nero" alle imprese e variegando il mondo del lavoro in maniera non solo illegale, ma di ambigua comprensione.

L'economia occidentale in crisi, globale, espressa essenzialmente in euro e dollari, assunse un'ulteriore particolarità: diventò di "carta". A una produzione reale (di beni) si affiancò una produzione di "valori" incorporati in documenti cartacei (all'inizio), in scritture contabili (ora), che rappresentavano beni sottostanti e aspettative sugli stessi.

Con tutta la mia stima per il mondo dell'inconscio, così come Freud, anche invadendo il terreno dei sogni fatti assurgere a specchio di profondità esistenti ma invisibili, aveva materializzato accanto a una realtà corporea, una possibile realtà psichica e ne aveva ipotizzato, codificandoli, i percorsi, così un esercito di matematico/finanziari (?) dette il via agli strumenti derivati: valori contabili le cui oscillazioni derivavano (e derivano perché continuano a essere emessi, senza nessuna, o quasi, regolamentazione) da aspettative su beni sottostanti  reali: materie prime e merci o debiti e crediti.
Solo che un'analisi a pagamento (salatissimo!) non te la impone nessuno e a volte funziona, mentre i prodotti derivati ci sono stati imposti e si sono rivelati una iattura. Inoltre, come le scorie radioattive, sembrano... indistruttibili.

Questa è una delle poche certezze che abbiamo: sono stati i "derivati" a far scoppiare la crisi. Negli Usa, nel 2008. La responsabilità economica è delle banche o, più in generale, delle grandi istituzioni finanziarie. La responsabilità politica ricade sui governi che hanno acconsentito (?) a smantellare la normativa che tutelava credito e risparmio, trasformando in un Far West finanziario i mercati.
Il denaro ha corrotto la politica, indebolendola, l'economia di carta ha preso il sopravvento su quella reale.

L'economia reale è stata costretta, con l'introduzione dell'euro che impediva le svalutazioni competitive, a fare i conti con l'innovazione e la riduzione dei costi, l'economia di carta, generatrice di guadagni enormi e velocissimi, quando il primo detentore americano di un mutuo non è stato in grado di pagare il debito contratto, ha invertito la marcia, iniziando una caduta, diventata tonfo, che ha portato le banche sull'orlo del fallimento. Ma il sistema bancario, tramite il mercato interbancario che serve a finanziare le banche, è un'impalpabile ragnatela  che connette tutte le banche tra loro, e il fallimento di un solo ente creditizio di grandi proporzioni avrebbe provocato un effetto-domino. Tutte giù, come birilli... e, dietro le imprese, i risparmiatori... Gli Stati?

Quindi i governi dei vari Paesi hanno salvato le banche. Sono stati costretti a salvarle! A carico del Debito pubblico. Economia reale in affanno (scarsamente competitiva rispetto alle "economie emergenti"), credito (alle imprese e alle famiglie) "congelato", debiti pubblici troppo elevati rispetto al PIL... La Finanza è partita all'attacco e la parola "spread" è entrata a far parte del nostro vocabolario. E' partita la carica dei banchieri, dei tecnici, degli economisti. A imporre comportamenti "virtuosi". Loro!

Be', se non fosse tragico, sarebbe paradossale  e quasi divertente.