martedì 19 aprile 2011

Prevenire è meglio che curare

Il denaro era importante anche negli anni Cinquanta (ai bambini s'insegnava a rispettarlo), quindi la mia generazione crebbe sviluppando quella lodevole propensione al risparmio che consentì grazie al lavoro, agli aiuti americani del Piano Marshall e all'ingegno della nostra gente, quella formidabile ripresa economica che fu definita 'miracolo italiano'. Si risparmiava facilmente poiché, nell'immediato Dopoguerra, c'era ben poco da comprare: la vita riprendeva, spavalda, ma  le fabbriche erano, in buona parte, distrutte, trovare casa era un vero e proprio incubo, il sistema ferroviario funzionava a singhiozzo. A scuola, appesi alle pareti accanto ai manifesti con i funghi velenosi e quelli mangerecci, altri manifesti mettevano in guardia contro il pericolo delle mine antiuomo e delle bombe che infestavano prati e campi, emergendo appena una ruspa o una scavatrice entrava in azione. Mio padre compilava la schedina sperando di vincere al Totocalcio e la sera si seguivano, in religioso silenzio, le trasmissioni radio. Al mattino, mia madre passava lo spazzolone e cantava "Vieni, c'è una strada nel bosco, il suo nome conosco..." mentre io pasticciavo sui  quaderni facendo i compiti. La scuola elementare che frequentavo era stata bombardata, mia sorella entrava al mattino e io al pomeriggio. Andavamo a scuola da sole, nel quartiere ci conoscevamo tutti e c'era una sorta di controllo sociale che proteggeva e tutelava la comunità. Spesso non si chiudeva nemmeno a chiave la porta d'ingresso, e quando succedeva qualcosa, anche una lite tra condomini, la gente si affacciava alla finestra, pronta a intervenire.
Era una vita scomoda e faticosa, più ricca di rapporti umani ma anche di regole, soprattutto per le donne. Rientrate in casa, in tutta fretta, per restituire i posti di lavoro che avevano occupato quando gli uomini erano stati mandati a combattere, ma ormai abituate a cavarsela da sole, avevano assaggiato un'autonomia che le rendeva inquiete e che, a volte inconsciamente, trasmettevano ai figli, ma sopratutto alle figlie, minando, anche se ancora impercettibilmente, quel potere maschile che all'interno della famiglia appariva ora spesso più autoritario che autorevole.
Nelle chiese, che la domenica erano piene, i parroci tuonavano dal pulpito contro i comunisti scomunicati dal Papa. Mentre mio padre aspettava noi bambine sul sagrato della chiesa, leggendo ostentatamente "L'Unità", io pregavo che la maestra, quella "basabanchi de democristiana" - come era solito definirla - non mi indicasse più come "la figlia del comunista" sospettando che che quel demo, davanti a cristiana,  stesse per demonio (data la sua cattiveria da vipera), poiché di democrazia io, allora, non sapevo proprio nulla.
Sono le immagini confuse e traballanti che la televisione trasmette dalla Libia in guerra - la più atroce tra le guerre, quella civile , quella che scava solchi incolmabili tra fratelli - che mi riportano indietro, facendo riemergere antichi ricordi. La guerra non esplode per caso, è preparata a tavolino... e, come afferma Gino Strada da buon medico, è necessario prevenirla. Curarla, una volta che sia stata scatenata, risulta difficile, molto difficile. Si possono soltanto aggiustare ossa, amputare arti, far benedire i moribondi dai cappellani militari e inviare aiuti umanitari, tanto per smaltire le scorte alimentari di prodotti scaduti.

(continua.... )