sabato 10 aprile 2010

La casa delle bambole - racconto a puntate - (n°10)

Dopo aver dato un'occhiata al cielo che andava scurendosi di nuvole di tempesta rientrammo in casa, seguite, quasi rincorse, dal picchiettio delle prime gocce di pioggia sul fogliame del giardino.
"Allora?" chiesi.
Silenzio. Rotto dalla mia ripetuta domanda:
"Non ti aiuterebbe parlarne? Dirmi tutto partendo dall'inizio?"
"Tutto cosa?" mi chiese, e mi guardò, beffarda; poi continuò dicendo:
"Cos'è che devo raccontarti: tutto il dolore che i campi di sterminio lasciano per sempre nei sopravvissuti? Oppure ti incuriosisce conoscere i particolari delle torture alle quali i prigionieri venivano sottoposti, sempre che tu non senta il bisogno di essere sommersa, affogata nel fiume di lacrime versato dai parenti..."
La interruppi, impacciata, borbottando:
"Non ti consentono di vivere normalmente... "
"Normalmente? Ma ti rendi conto di ciò che stai dicendo?" e di nuovo m'impedì di proseguire.
"Volevo soltanto esprimere la mia opinione"
Disse:
"Sentiamo, sentiamola questa tua opinione, costruita su di me bevendo un tè in mia compagnia o raccogliendo fiori nei campi, dall'alto delle tue solide sicurezze, alle quali nessuno si sognerebbe di attentare", e la sua voce dal tono amaro, facendomi sentire in colpa, m'indusse a continuare con patetiche ovvietà.
"Non pensi che ciò che ti è successo sia diventato un alibi? Per giustificarti in ogni momento, di fronte a qualunque prolema. Tu sei viva, la vita ti ha riservato questa fortuna incredibile che buona parte della tua gente non ha avuto. Perché non godere di questo dono?"
"Perché? Perché uccidendo la mia famiglia mi hanno rubato l'infanzia. Io non sono mai più stata una bambina, io non conosco abbandoni, sono incapace di emozioni, l'unico sentimento che mi fa sentire viva è l'odio. Vivo per potermi vendicare!"
"La vendetta non ti restiturà l'infanzia che ti hanno rubato Gloria".
"Tu non sai, tu non sai nulla; quel ladro cercava qualcosa che non ha trovato, ma..." e tacque, valutandomi, soppesandomi con quello sguardo che mi dava sempre un'acuta sensazione di disagio.
"Non sono ingenua come pensi; ho capito quasi subito che non poteva essere un drogato. Ha trovato ciò che cercava?"
Non osai chiederle che cosa cercasse perché Gloria, cambiando tono, quasi implorante mi disse: "Devo vedere tua madre, parlarle. Puoi accompagnarmi? Non ho intenzione di aspettare domani, ma tu dovresti telefonarle per comunicare il mio arrivo".
Sentivo aumentare di minuto in minuto la mia curiosità, ma non capivo perché per Gloria fosse necessari incontrare mia madre.
"Ora vado a telefonarle, se non avesse più la fede e non ricordasse quello che portava inciso... Be', stai rischiando proprio di fare un viaggio inutile".
Si voltò e fissandomi nuovamente beffarda e aggressiva, con quell'espressione da gatta che gioca con un topo, disse: "Sei sempre stata intelligente, ma molto ingenua, in questo non ci assomigliamo"
"Cosa intendi dire?" mormorai, sentendo un brivido corrermi lungo la schiena mentre mi tornava alla mente il verso della civetta e fissandola pensavo: "Questa volta l'ingenua sei tu cara Gloria, perchè un segreto, sì, proprio un segreto su questo anello che ti sta tanto a cuore me lo tengo stretto, stretto, pure io. Eh già, io conosco sia la data che il nome incisi sulla fede, ma, per il momento non ho la minima intenzione di comunicarteli."
Pochi minuti dopo telefonavo a mia madre.
"Pronto mamma, sì sto bene... Anche tu? Lasciami parlare... " e le ricordai quel pacco portato da mio padre al ritorno dalla prigionia, la fede che portava incisi un nome e una data, spiegandole che avevo conosciuto una persona che cercava le tracce dei suoi parenti uccisi ad Auschwitz, ma... Lei m'interruppe, il tono della voce mutato, stridulo mentre mi diceva:
"Quando morì tuo padre vuotammo il cassetto della scrivania e a me non risulta ci fosse questo anello. Ti stai sbagliando, mi dispiace. Non intendo parlare con questa donna".
Gloria, che seguiva la telefonata con evidente apprensione, vedendo che io scuotevo la testa dicendo: "Va bene, mamma. Pazienza!" e già ero sul punto di abbassare la cornetta, me la strappò dalle mani e sibilò quelle due parole: "Sono Gloria!"
Mia madre aveva evidentemente interrotto la comunicazione, perché anche Gloria, con un gesto di rabbia, scaraventò il telefono sul ripiano della scrivania. (continua...)