sabato 28 febbraio 2009

Bora scura

Io amo il vento, anche se m’innervosisce e mi disturba il sonno.
Quando vivevo ancora a Trieste e lo sentivo annunciarsi con il suo inconfondibile mugghio, diventavo allegra e vitale. Ora, mi basta uno stormir di fronde e lei, la Bora signora delle steppe, contagiandomi con la sua follia, s’impadronisce dei miei ricordi.
“ Te ga visto quel mato?”
“ Dove? “
“ Vicin la porta, no ‘l va né dentro, né fora…”
“ Dighe qualcossa”
“ Ciò mulo, te son nato in barca?”
Nella mia città, forse per questo motivo, l’estraneo non è il signore (che sta passando, fumando, chiacchierando) , ma “el mato”, e il mare che s’infrange schiumando sulle panchine di Barcola o sul Molo Audace invade anche il linguaggio.
Il mio è un dialetto che si colora di azzurro, di mare, ad ogni istante e - quando dopo numerosi tentativi di aprire l’ombrello senza farlo rivoltare, in giornate in cui vento e pioggia si azzuffano, riusciamo a ripararci dalla pioggia - ci sarà spesso qualcuno nei paraggi che dirà sorridendo “Dai e dai, la barca va sui pai”.
Da bambina lo temevo, odiavo il suo soffio gelato che scivolava sulla pelle, carezza rubata che m’infastidiva. Odiavo contendergli il berretto che a volte, a tradimento, mi strappava di dosso facendolo, tra le risate dei compagni, volare in cielo o tra le onde. Fino a quel giorno…
Il mare rabbrividiva in onde stizzite, sotto la sferzata del vento, quella mattina d’aprile; le rocce bianche del Carso già si macchiavano di verde. Il mio ragazzo voleva portarmi in barca. Sopra le nostre teste nuvole in corsa sempre più veloci… e il vento che aumentava ululando in raffiche furibonde. Improponibile l’uscita in barca. Lui insisteva dichiarandosi marinaio provetto
Il mio bikini, rosso come un segnale di pericolo, nascosto nella cartella. Mi convinse.
Ricordo quel cielo violetto, poi nero; le prime gocce di pioggia che già diventavano scroscio, torrente. Acqua, da tutte le parti; il vento un turbinio che rese la barca ingovernabile.
Ci salvò, rimorchiandoci a riva la Guardia costiera.
I nostri genitori, convocati alla Capitaneria di Porto, entrarono con una faccia da far paura.
Avevamo pure fatto “fogone”, non andando a scuola. Per mesi non mi fecero uscire e quella primavera fu particolarmente ventosa. Chiusa in casa a riflettere cominciai a dialogare con il vento, a coglierne le avvisaglie e a ritirare subito la biancheria dallo stenditoio, a valutarne la forza, ad addormentarmi nonostante il suo urlo senza tregua. Divenne parte del mio mondo, compagno rumoroso in quelle giornate interminabili e solitarie. Ancora oggi, la nostalgia della sua voce mi assale a tradimento e mi riporta in un istante alla mia sofferta giovinezza. Alle velocità del vento!

giovedì 26 febbraio 2009

Chiacchieriamo?

Perché un blog? Perché c'è voglia di scrivere, ad esempio. E scrivere è un modo di comunicare e, rispetto a una scrittura solipsistica com’è quella del diario, il blog stimola, favorisce la comunicazione.
E non sarebbe sufficiente aprire la porta d’ingresso, suonare il campanello dei vicini…No, non è così semplice.
Si potrebbe suonare alle dieci di sera e bellamente dichiarare: “Mi sento un po’ solo, ce la facciamo una chiacchierata?”
Dall’altra parte chi, bruscamente risvegliato dal torpore ottuso da televisione postprandiale e arrivato ciabattando davanti alla porta d’ingresso, vi vedesse attraverso l’occhiolino, è probabile che si limiterebbe a borbottare: “ Ma cosa vuole quello st…zo del Bosini a quest’ora? Magari ha dei problemi – no! Mi sembra vispo – chissà cosa diavolo …? Io non apro”. Se poi suonassimo un campanello a caso in un altro condominio chi si sognerebbe di aprire? Inoltre le relazioni sociali sono codificate da regole abbastanza precise: non potrei presentarmi in visita in camicia da notte o tuta con cavallo all’altezza delle ginocchia di tre misure più grandi del dovuto. E una donna potrebbe suonare alle undici di sera a casa di un ‘single’, senza rischiare un attacco all’arma bianca?
Il blog è comunicazione con alcune regole sostanziali, ma pochissime formali: il blog sta codificando un modo nuovo di comunicare. Nuovissimo. Che si sta evolvendo di giorno in giorno, attraversi continui e diversi apporti. Ormai c’è un linguaggio, un know how che una parte della popolazione ha e una parte non ha. Ed è partito dai giovani, i tanto bistrattati giovani perché la mia generazione (di sessantenni) la comunicazione l’aveva resa stereotipata, convenzionale, limitata e, poi, quasi annullata, inaridita, atrofizzata. Perchè il blog non è chiacchiera e basta: è anche conoscenza, confronto, approfondimento, solidarieta e senso di appartenenza, cultura. Certo! il blog è cultura o, meglio, può esserlo. L’uomo è e resta animale sociale e nella parte giovane della società il bisogno di comunicare ha trovato altre strade, altre modalità: una di queste è il blog del quale mi sono limitata a esaminare un solo aspetto,ma che reputo fondamentale; la possibilità di essere strumento privilegiato di una comunicazione diversa, alternativa e, ancora fino a quando ce lo concederanno, fondamentalmente libera. E' chiaro che anche il blog, o più genericamente l'utilizzo di mezzi di comunicazione più evoluti che la tecnologia ci consente, richieda intelligenza e capacità critica, ma qui il discorso andrebbe approfondito secondo una visuale diversa, che dovrebbe prendere in considerazione, anche e non solo, l'approccio alla tecnologia informatica nel settore dell'istruzione. Per inciso verrà tagliata, tout court, la terza I come obiettivo didattico formativo da conseguire, e questo la dice lunga sulle responsabilità che la mia generazione ha su questo schifo di mondo che abbiamo consegnato ai nostri figli.

mercoledì 25 febbraio 2009

Amore cieco

Davanti a lei lo scaffale dei libri.
Il brutto anatroccolo!
Non aveva bisogno di specchi per vedersi: lenti da miope su un naso da Pinocchio sorpreso a mentire.
“ Andersen? “
Altro sguardo miope dietro alle lenti.
“Diluvia” lui mormorò, la parola gorgogliava nella sua gola. Come rosolio.
“ La diversità è durissima!” disse lei flebilmente.
L’onda ramata dei capelli dava al suo viso un riverbero di fuoco.
“ Ma affascinante… come un cigno”
Gli occhiali in tasca uscirono a tentoni, nella notte gonfia di pioggia.

martedì 24 febbraio 2009

Giovani

Marco Freccero rimanda, sul suo blog, a Francesco Alberoni che, dalle colonne del "Corriere della Sera " invita i giovani a spegnere YouTube e chat per una moratoria.
La prima cosa che mi viene in mente é: ci muoviamo nell’ambito delle Scienze sociali dove si parte con la formulazione di campioni che dovrebbero essere rappresentativi di una certa realtà. Ma stiamo già usando il condizionale.
Qualcuno butta giù: “I giovani non… oppure i giovani si… “
I giovani? Che età hanno e, soprattutto chi sono: una massa omogenea oppure un gruppo estremamente variegato?
Sono i ragazzi dei grandi centri urbani che vivono in periferia, quelli che risiedono nel centro storico, i ragazzi di provincia: del Sud o del Nord del Paese? Dell’Emilia “rossa” o del Veneto leghista?
Laureati, diplomati, usciti dalla scuola dell’obbligo, analfabeti di ritorno o analfabeti tout court? Figli di divorziati, di separati, di disoccupati, con madri lavoratrici o casalinghe? Padri: operai, professionisti, oppure imprenditori? Famiglie ricche, povere, poverissime, middle class. E i figli degli extra comunitari li inseriamo?
Sono giovani che già lavorano o giovani disoccupati; studenti: in corso o fuori corso.
Quali insegnanti hanno avuto: demotivati, incapaci, frustrati, in attesa di pensionamento o giovani e preparati docenti ancora pieni di sacro furore? E i loro genitori leggono o per casa hanno visto solo “ Chi” e “ la Gazzetta dello Sport” ?
E quando parlano dicono la verità o stanno mentendo spudoratamente? Leggono oppure no?
Se non si è letto fino ai quarant’anni non si legge più. E come la mettiamo con i carcerati che entrano ignorantissimi ed escono laureati?
I giovani sono: uomini, donne, gay, italiani o stranieri?
A questo punto penso ai miei figli: sono tre. Diversissimi.
Provocatoriamente mi chiedo quale valore possano avere le generalizzazioni e mi viene in mente una sola risposta: sono rassicuranti.

lunedì 23 febbraio 2009

Scrivi anche tu?

Si erano conosciute navigando, no, non in una crociera come due turiste di mezza età alla ricerca di compagnia, ma scivolando lungo le autostrade del nulla della blogsfera, lastricate di parole. Un sito in comune, dove ognuno poteva ritagliarsi uno spazio da riempire di immagini, parole e video, e un profilo, dove le parole saltavano alla gola, scoppiettando come pop corn.
Era stata la capacità di usare le parole con consumata sapienza che aveva incuriosito Giovanna leggendo quel profilo? No, non soltanto.
Avevano cominciato a scriversi.
Una donna del Sud, nata e cresciuta tra spiagge bruciate dal sole e cinte d’assedio dal mare e una donna del Nord, anima e pelle avvolte dalla nebbia degli interminabili inverni che la bora spazzava liberando cocenti, brevi estati.
Avevano avuto vite diverse, famiglie diversissime, una era diventata madre, l’altra no.
Una era estroversa - il sorriso grande che mangiava il viso illuminando quegli occhi chiari che tradivano pensieri e emozioni - traboccante di vitalità, a cui dava la stura la parlata piena, dal leggerissimo accento meridionale, dalla tonalità roca di donna forte, abituata a cantare come una rondine ubriaca di sole in una sera di maggio.
L’altra era diversa. Aveva un’aria anemica, era chiara di pelle, capelli sottili come quelli dei bambini, palpebre rosate che il sole feriva, obbligandola a strizzare gli occhi mentre si riparava il viso con la mano. Rimandava un’immagine di fragilità che gli occhi, quando mettevano a fuoco qualcuno, contraddicevano perché lo sguardo era fermo, diretto, vagamente indagatore. Non rideva, sorrideva, uno stiramento di labbra appena accennato, parlava a voce bassa. Doveva essere stata bella, ma senza saperlo e, quindi, senza acquisire quella sicurezza che una donna con queste caratteristiche abitualmente possiede.
Ad unirle in una splendida amicizia, la sensibilità scoperta, profonda come corda di violino capace di vibrare al primo tocco, e cascate di parole per alimentare la comune passione: la scrittura.

domenica 22 febbraio 2009

La notte ci piace perché, come il ricordo, sopprime i particolari oziosi. (Borges)

Scrittura

Ho finito ieri il mio secondo libro. Si è staccato, forse sarebbe meglio dire che me lo sono strappato di dosso, come un maglione bagnato di pioggia. Cosa ci mettiamo, in un libro, di noi che lo scriviamo? Le nostre emozioni e una storia che è, o era la nostra storia, ma che ora non lo è più.
Perché il potere della scrittura, uno dei tanti, è anche quello di cambiarla la storia, piegarla a un destino diverso. Si arriva a un bivio e invece di svoltare a destra, si prende la strada a sinistra, oppure ci si ferma. Era inverno?, e noi cambiamo il colore del cielo, e spruzziamo di margherite il bordo del fosso. E ci sediamo a riflettere, mettendo in bocca al personaggio scaturito dalla nostra penna, un monologo, una riflessione articolata, consequenziale, lucida che mai la nostra impulsività personale ci avrebbe consentito. E lo seguiamo, questo personaggio che è un nostro doppio dai contorni ancora non definiti, con la sollecitudine e lo stupore di una madre. Come madri vorremmo vederlo crescere e andarsene, indipendente e autonomo, come madri veniamo lacerate dal distacco.
Ora è lì, imprigionato in quel pacco di fogli che, stranamente, non vagano più per tutta la casa, ma sono ben impilati uno sopra l’altro,e occupano così poco spazio... e pensare che sono costati tanto lavoro, tanta fatica.
Costruire un romanzo non è facile, anche se, paradossalmente lo abbiamo già tutto scritto dentro. Dentro dove? Nel cervello, nella pelle, nell’anima. Nelle decine di osservazioni appuntate in giro per la casa: sul libro delle ricette, sulla prescrizione medica, ma anche nelle rabbie, nella leggerezza di certi momenti, nello struggimento dei rimpianti, nei ricordi che ci sorprendono o ci hanno sorpreso a tradimento Lui, il romanzo, con la sua storia, è fatto di noi, delle nostre parole, idee, speranze, tic, sogni, paure e illusioni e da noi è completamente diverso.
Come un figlio.
E come un figlio che se ne fosse andato, a conquistare il suo posto nel mondo, questa mia storia parallela che ha riempito di sé tanta parte delle mie giornate, oggi, mi manca.

sabato 21 febbraio 2009

L'ISOLA SIGNORA

Mi è arrivato il libro "L'isola signora" di Marilena Monti e di getto, dopo un paio di racconti, le emozioni che mi comunca le devo condividere con i lettori del mio blog.

E' ghiaccio che circonda la collina, mi assedia e mi protegge. Rintanata nel gelo, soffio su vetri assiderati aria che sa di mandorle. Amare. Intorno a me balenano i coltelli che han reciso l’infanzia, muri si alzan di nebbia a imprigionar gli sguardi. Scivolo lungo l’ombra del giardino, dove anche il muretto crolla, anzi rovina. E’ degli sterpi il regno, dei sassi, delle pietre e della brina. Poi mi ingoio i racconti, in fretta con quell’ingordigia da folletto che tutto vuole conoscere, che teme il pensiero che piano sprofonda, trivella e affonda e arriva chissà dove. I tuoi racconti fondono i pensieri, reclamano risate, sono rosolio e vino, e gli aranceti al tramonto tutti in fiore, e notti di velluto in cieli estivi. Leggo le tue parole, di cristallo e di luce, e dentro qualche cosa mi si incrina: è un dolore lontano, un freddo antico che ogni inverno indurisce.
Per un istante sconfitti i cieli bigi della mia terra, la nebbia si disperde…

venerdì 20 febbraio 2009

Carnevale

Nelle vie d'Italia impazza il carnevale: ghigna sinistro e avanza...un po' irreale.
Prima i pagliacci poi, dietro, i buffoni: son tanti in un Paese di sbruffoni. Dopo i buffoni, a ritmo di carioca, ancheggian spumeggianti ballerine: le brasiliane son le più eccitanti, ai loro fianchi arrancan cardinali, purpurei o viola, tolgon la parola. Chi? I preti? No, le ballerine, le brasiliane, quelle più carine.
Tra loro un papa, che ha perso la tiara e, per dispetto, in testa si è ficcato un bell' elmetto...Gli dona e agli occhi suoi s'intona: ma quell'elmetto, non dimenticate, in testa a un papa stona. Eppure a lui stranamente s'intona. Chi arriva adesso? Il Re del carnevale? Irrompe col suo fascino bestiale, campeggia sopra ai carri, in alto vola, ride, sghignazza, su tutto sorvola, con grande levità a tutti toglie un po' di libertà, propone una riforma qua e là.'Na cantatina chi con me la fa? sembra dire cotesto personaggio, il cui nome vi invito a indovinare e qui davvero il gioco si fa duro perché costui sul bel paese impera e sembra dire che ogni scherzo vale, per lui, ma sempre e non soltanto a carnevale.

giovedì 19 febbraio 2009

Maschere

"A carnevale mettiamo una maschera diversa da quella che abitualmente indossiamo e chi ci sta intorno finge di non riconoscerci. Il mondo si regge sulla finzione e il carnevale la festeggia, esaltandone l’aspetto giocoso, ridanciano…” lei concluse, didattica e noiosa come soltanto un’ insegnante sa essere. Guardò l’orologio che portava al polso: ancora pochi minuti e il suono della campanella avrebbe liberato oppressi e oppressori.
Faceva ancora freddo e il cielo che s’intravedeva dalla finestra dell’aula prometteva neve.
“Prof. domani interroga?”
“No, faremo un ripasso del programma svolto nell'ultimo mese” rispose.
“Allora potremo festeggiare il carnevale?”
Annuì, composta e misurata come sempre. Il suono stridulo dalla campanella fece scattare i ragazzi verso la porta dell’aula che, nel giro di pochi secondi, si vuotò. Un berretto dimenticato, una merendina sbocconcellata sotto un banco, la lavagna polverosa e il silenzio, davano ora alla stanza quell’aria di abbandono che l’aveva sempre immalinconita.
Prese la borsa, il registro e, senza voltarsi indietro, uscì dall'aula.
Non sarebbe più tornata in quella classe, in quella scuola: aveva chiesto e ottenuto il pensionamento anticipato per malattia.
Anche lei, come tutti, aveva finto: una serenità, una sicurezza che era stata bel lungi dal possedere. E loro, gli alunni: che reazione avrebbero avuto non vedendola? Sorrise, ironica, immaginando l’urlo di gioia che sarebbe esploso nella classe all’annuncio della sua assenza. Erano ancora giovani e sinceri. Avrebbero imparato a mentire con gli anni, qualcuno però era già sulla buona strada, non potè fare a meno di pensare ricordando nonni che morivano tre volte in un anno, per evitare compiti o interrogazioni. E rivide lo sguardo astuto del Govini, che le rispondeva guardingo, falso come Giuda: “ E’ la quarta volta che mi muore un nonno, prof.? Beh, sa…le famiglie allargate.”
Era arrivata davanti al portone d’ingresso della scuola.
La bidella, che stava spazzando in fretta lamentandosi come quotidianamente faceva per la maleducazione degli alunni che la obbligava a raccattare da terra matite, biro, carte di caramelle e chewing gum spiaccicati, la salutò: “A domani, prof”.
“A domani” rispose, sorridendo educata, il portone che si chiudeva alle sue spalle con un tonfo sordo a sprangare trent’anni della sua vita.

lunedì 16 febbraio 2009

I sogni son desideri

Ci sono persone che non hanno mai preso una sbornia. Non bevono, non fumano. Non eccedono nel cibo e…nemmeno nelle parole. Temono la perdita di controllo.
Cosa succederebbe se si lasciassero andare, scivolare senza freni inibitori lungo il crinale delle passioni, delle emozioni? Chissà quali segreti hanno mandato in castigo, faccia contro il muro come bambini disobbedienti relegati in un angolo, dimenticandosi di loro? Se illuminassero gli angoli bui del loro cervello, abbattessero la porta dei ricordi, frugassero nel pattume di ciò che hanno nascosto, cosa potrebbero trovare? L’altra faccia della luna, quella in ombra…valli senza sole, in cui si rintanano i lupi per sgozzare gli agnelli. A volte è il sogno, questa terra senza tempo, questo spazio dove tutto è possibile, che manda una sciabolata di luce sui segreti, snidandoli dall’ombra e allora, eccoli riemergere, per un istante: invecchiati, bavosi, laidi, le mani adunche allungate nel tentativo di afferrarci. A chi non è capitato? Tutti sogniamo. Dietro ai segreti si spalanca un palcoscenico, suona una musica che pensavamo dimenticata, urla o sussurri, parole che non vorremmo risentire rimbombano. Il dramma esplode: torniamo bambini, o siamo i vecchi che saremo…Il sogno è diventato un incubo per concedere una possibilità di fuga ai segreti. Terrorizzati riemergiamo dal sonno.
Lo psicologo sussurra ”I sogni son desideri”.

Raccontino

Si erano appena sposati e lei non aveva ancora conosciuto i parenti del marito, suocera in testa. Erano partiti subito dopo la cerimonia diretti a quel paesino, poco più di una spruzzata di case, a qualche chilometro da Chieti, dove lui, il marito, era nato e cresciuto.
Arrivarono di sera; entrarono sospinti verso il salotto buono. Valeria, un po’ intimidita, oltre a stringere molte mani, fu quasi soffocata di baci e complimenti ai quali si sottrasse con la scusa di sistemare i bagagli.
“ Non avete fatto festa per il matrimonio, festeggeremo il carnevale; che vestito ha portato?” le chiese una signora che le volteggiava intorno curiosa, aggiungendo: “La maschera più bella sarà premiata”. Valeria sorrise, scusandosi e sottraendosi con sollievo a quell’atmosfera un po’ soffocante.
Entrò nella camera: sul letto un abito ‘Charleston,’ in velluto di seta nero, una cloche che risultò essere della sua misura e scarpine di vernice. Di lato una maschera, nera e avorio come le scarpe.
Eccitata come una bambina, indossò il vestito e si voltò verso lo specchio dell’armadio.
Guardandosi, ebbe la sensazione di vedere un’estranea. La stanza sembrò animarsi di presenze furtive, vibrarono nell’aria sospiri, mormorii di parole appena sussurrate e una risatina.
Alle sue spalle?
Che sciocca! La stanchezza e l’emozione di quella lunga giornata le stavano giocando un brutto scherzo – pensò, annodando il nastrino di velluto intorno al collo e fermandolo con un bocciolo di rosa color avorio. Troppo stretto, le dette una sensazione di soffocamento. Tentò di allentarlo, ma riuscì soltanto a stringere ulteriormente il nodo. Le sue mani afferrarono la rosa di tulle. Sentì sotto le dita inturgidirsi i petali, una spina le punse la mano. La rosa si apriva, viva. Viva? Spalancò la bocca cercando l’aria. Il nastro, quasi fosse stretto da mani invisibili la stava strangolando. Si gettò contro la finestra annaspando con le mani intorno alla gola e con le ultime forze la spalancò, sbilanciandosi nel movimento.
Il suo corpo piombò nel cortile, senza un grido, mentre il nastro di velluto si scioglieva, roteando libero nell’aria della sera in uno spampanio di petali luccicanti.
Nel salotto tutti commentavano, stupiti, la straordinaria somiglianza di Valeria con la bisnonna del marito, morta suicida precipitando dalla finestra, “oh, mio Dio!, alla vigilia di carnevale alle otto di sera del….”
L’orologio a pendolo emise il primo rintocco. Tacquero le voci, mentre altri sette colpi rimbombavano uno dopo l’altro nel silenzio attonito della casa.

giovedì 12 febbraio 2009

Scherzi letterari

Parliamo?
Di che, lo sai oppure no?
Perché saperlo che ti dà:
un goccio d'immortalità?
Muoiono i padri
restano i figli
vuoti profondi
per i conigli.
Senza la mamma o il papà
con chi te la prendi,
con l'aldilà?
Ma se te la prendi con te stesso
tiri il coniglio fuori dal letto
e un coniglio addormentato
è come un asino incazzato.
Più non cammina
anzi si ferma
e se lo pesti,
non porta pazienza.
Dentro il coniglio nel pentolone
resta la pena
resta il magone,
Aspetta e spera
é primavera.
Forse oggi muore una capinera
ma se lei muore di nostalgia
anche tu crepi di malinconia.
Per questa vita
così faticosa
cos insolente
così merdosa
no, non valeva
ora lo sai, tanta fatica
per tanti guai
no, non valeva
ora lo sai
morir d'amore
sotto ai cocai
morir d'amore
davanti al mare
mentre già impazza il carnevale
e quel coniglio resuscitato
dentro il tuo vuoto
è già tornato.
L'asino vola verso i cocai
e tu rimani in mezzo ai guai
ad aspettare la tua sorte
più indisponente di una consorte.
A rovistare nel rudo
lo sai
solo di cacca ti sporcherai.

mercoledì 11 febbraio 2009

Blogger di tutto il mondo...

Amo la Rete, nonostante i suoi limiti, i pericoli, le ripetitività, il tempo che mi fa perdere in questo modo nuovo, e non so ancora fino a che punto valido, di rapportarmi al mondo. La sento respirare, spesso protestare, spessissimo ridere, sì perché la Rete è ironica. Ama ridere di sé, dei suoi tic, delle sue manie che la spingono a parlare di tutto con tutti. E' informata, attenta a ciò che succede, pronta a confrontarsi. Magari anche litigando, ma la Rete parla, perché è, prima di tutto, un potentissimo mezzo di comunicazione. Le idee di ognuno, le riflessioni, i commenti sono a disposizione di tutti. E io credo che gli esseri umani abbiano bisogna di parlare: a coloro che sono rinchiusi in una cella di isolamento sembra manchino più le parole del pane. I convenevoli sono generalmente banditi anche se la Rete ha i suoi steccati, i suoi big, la sua altezzosità e il suo riserbo. La mia impressione, valida fino lì perché sono da poco in Rete, è che qui, più che fuori nel mondo non virtuale, le doti possano venire a galla. Ognuno in Rete, scorrazzando a velocità supersonica, ascolta musica, legge, scrive, si interessa a ciò che più gli piace, scoprendo lati di se stesso che la materialità e le regole del mondo "altro" non gli avrebbero consentito, perlomeno non così rapidamente, di individuare. Sono contraria alla censura in Rete perché il pericolo fa parte della vita e affrontarlo sviluppa la capacità critica, fa lavorare il cervello, fa pensare.
Quando scrivo un post sul mio blog ho la sensazione di lanciare un messaggio in bottiglia, in quel mare - meglio oceano - che la Rete è. Un giorno, a chi non succede, l'inverno che accorciava le giornate, la nebbia che scendeva a ingoiare uomini e cose, la tristezza mi era salita dentro, fangosa, non più motivata del solito, ma più subdola, insinuante, appiccicaticcia. Ero al computer e ho scritto "Sono triste..." poi sono rimasta lì, in attesa, lo sguardo che scivolava sul mare di nebbia che aveva assediato la mia casa e la mia anima. Dopo alcuni minuti si mosse qualcosa.
Cliccai sui commenti. Da qualche parte qualcuno aveva scritto: "Perché?"
In quel momento ho percepito il calore della Rete, la sua forza. In Rete si può, non dico si deve né si è, ma ripeto, si può essere se stessi. Là fuori, dove tutto è apparentemente concreto e reale, le maschere, le finzioni e il "dover essere" si sprecano. Dimenticavo: la persona che mi scrisse quel "Perché" è, oggi, una delle mie migliori amiche.

lunedì 9 febbraio 2009

Pacchetto sicurezza

Rimando alla lettura dell'articolo riguardante i reati di opinionee alla notizia, rassicurante, di una richiesta di emendamento allegata al "pacchetto sicurezza" che tanto, e più che giustificato allarme, aveva suscitato sui giornali e nel web. Anche se mi chiedo, quando come in questo caso venga fatto riferimento alla Costituzione, perché nessuno precisi se la materia del dibattere resterà di competenza del Paese membro o rientrerà tra quelle che il Trattato di Lisbona ha stabilito essere di competenza esclusiva dell'Unione.
Non sarebbe il caso di aggiungere questo particolare, che non mi sembra irrilevante?

Inferno e paradiso nella scuola

Ieri sera, a casa di un'amica, ho visto 'Presadiretta' su Rai 3 e mi sono cadute le braccia. Il conduttore del programma entrava, intrufolandosi con la sua telecamera, in edifici fatiscenti adibiti a scuole, facendo sfilare sullo schermo scene... di ordinaria follia. Il degrado scolastico di una parte del Paese,in cui la scuola è ormai soltanto parcheggio di ragazzini destinati ad ingrossare l'esercito di braccia a cui attingerà la parte malavitosa della società, balzava agli occhi in tutto il suo squallore.
Le interviste, in diretta, individuavano un corpo docente formato quasi esclusivamente da precari, vagante da una scuola all'altra, teso soltanto a portarsi a casa uno stipendio a fine mese. Poi, indiscreta , la telecamera scopriva anche quella realtà alternativa alla scuola pubblica che è la scuola privata, gestita con criteri mafiosi, in grado di fornire diplomi e anche lauree, a pagamento, ad alunni che né frequenteranno né impareranno nulla. La scuola privata è un pianeta variegato, ma s'ispira a un criterio unico: massimo rendimento, in termini economici non certo di apprendimento. Quindi compressione dei costi: uno, lo stipendio degli insegnanti a costo zero. Coloro che accettano una cattedra a queste condizioni hanno un unico obiettivo: neanche portare a casa uno stipendio da fame, soltanto ottenere un punteggio che migliori la propria posizione in graduatoria. Si può pretendere che insegnino? Anche?
La cinepresa rincorreva ragazzini che si azzuffavano, stravaccati sui banchi davanti a cattedre occupate da insegnanti che cercavano, alzando la voce istericamente, soltanto di tenere in classe i loro alunni.
Dietro a questa realtà una burocrazia scolastica, arpionata a graduatorie e regolarità puramente formali che, intervistata, allargava le braccia, dichiarandosi totalmente sconfitta, mentre il conduttore del programma sciorinava numeri da brivido sul livello di scolarizzazione del Paese. Poi, per dare il colpo di grazia allo spettatore, il confronto con il modello formativo svedese: scuole dotate di strutture informatiche, mense, laboratori. Insegnanti che seguono i ragazzi per un intero ciclo di studi, programmi all'avanguardia, dispersione scolastica quasi nulla, finanziamenti costanti e congrui al settore dell'istruzione.
In questa situazione l'unico provvedimento che, a livello governativo,in Italia è stato adottato ha avuto come obiettivo la riduzione dei costi del personale scolastico, dei finanziamenti all'edilizia scolastica e alla ricerca.
E allora, con tristezza, capisco quale sia il terreno di coltura che ha permesso a una classe politica rozza e incompetente non soltanto di vincere le elezioni, ma anche di straparlare, ingiuriare e mentire senza scatenare il biasimo unanime dell'elettorato.

venerdì 6 febbraio 2009

Che tristezza

"Guai a chi fa la spia, non è figlio di Maria" si diceva da ragazzi. Or lo Stato qui s'impone: devi fare lo spione. Raccontare se un malato, poverino, è per caso un clandestino. Tu lo curi poi, però, lo denunci a chi non so. Lo schediamo, impacchettiamo e a casa lo mandiamo.
Quanti figli di Maria troveremo per la via? Se ti ammali, ora lo sai, per morire sono guai: qui imperversa il papa nostro e lo Stato già s'inchina a un'ennesima rapina. Prima all'estero si andava per salvarsi dalla fame, poi si andò per imparare - la ricerca qui languiva - e i cervelli trascurava. Poi partiron le coscienze che in Italia, ora lo sai, se denunci quelli tosti poi ti trovano fra i morti, suicidati o fatti fuori per aver detto "Signori, questa cosa non si fa!"
Or dovremo espatriare per, con dignità, crepare. Ma ecco, un dubbio ancor m'assale " non sarà così parlando che vi induco a trasgredire dello Stato ancor le norme..." Non vorrei di apologia, manco quasi so che sia, far le spese. Se censurano le idee quale libertà rimane? Né crepare, né parlare, men che meno allor pensare, in tivù solo guardare il Berlusca soddisfatto che imperversa a tutte l'ore. Che tristezza nel mio cuore!

giovedì 5 febbraio 2009

Racconto (si fa per dire)

"Hai visto la Susy?"
"Sì, devo averla incrociata su Facebook, pochi minuti fa".
"Ma sei sicura?"
"Secondo te la Susy è una che si può scambiare per un'altra?"
Mi guarda dubbiosa e alza il sopracciglio, facendo il broncio.
" Io vengo da Myspace, la Susy imperversa anche là", mi dice e l'invidia è più viola della lacca delle sue unghie.
"Ma questo bus non arriva"sbuffa la Lory.
"Ehi popolo, volete un passaggio?" urla quel deficiente di Max, sporgendosi dall'Ape.
Lo ignoriamo.
"Io ve l'ho detto! C'è sciopero".
La Lory e io ci fiondiamo sul retro dell'Ape, tra cassette di frutta e due sacchi di noccioline.
Si affianca a noi - oh cristo santo - la Lory, a pelle di leone su una moto che sembra un'astronave, curvilinea e slanciata come lei. E quello che guida: altro che il Max.
Ci afflosciamo come le foglie d'insalata della cassetta che ha sulle ginocchia la Lory.
L'invidia ha il sapore dei gas di scarico, nella notte che ci ingoia in un boccone.
Il Max canta stonato e -la malora! - sbaglia pure le parole.

Simbiosi

La nebbia, rapida come un sipario teatrale e altrettanto impenetrabile, cala sull'incrocio di strade che scorgo dalla finestra del mio studio. Ingoia case e uomini, fagocita quei pochi segni di vita che l'inverno in questa cittadina termale ancora registra.
La gatta spalanca occhi gialli e tondi come fari. Antinebbia incorporati nello sguardo.
Miagola: è una richiesta di cibo. Le allungo un pezzo di torta di mele: dividiamo quasi tutto da un paio d'anni, anche il vizio di mangiare per noia e quella inquietudine che spinge me a scrivere, lei, gelosa, a passeggiare sulla tastiera del computer, allungando una serie infinite di o, e, a e b che poi scruta con palese soddisfazione. Nuovo modo di marcare il territorio per lei, di scrivere un corto a 'manozampa' per me.

domenica 1 febbraio 2009

Raccont(inissimo)

Un pupo, Giovanni, a sinistra nell’onda del braccio, a destra Giuseppe.
Gemelli.
Entrò nella casa che aveva i suoi fiori, i suoi libri.
Cos’era quel rotolo strano intorno alla vita?
Quel fiotto che gocciola e spruzza dai seni impazziti?
La voce che ninna e che nanna.
Si guarda allo specchio, atterrita.
Chi è?
Chi è la mostruosa creatura che avanza ondeggiando e ninnando?
Non è più una donna, è un insetto?
No, è una mamma.

Ambiguità materna.

Raccont(ino)

L'aveva amato tanto benché lui fosse un uomo grigio, un uomo stanco. Lo mandò a fare le cure termali: inalazioni, bagni, massaggi per i suoi mali, per quella sindrome di affaticato, di eterno stanco di uomo frustrato.
Mentre già l'ombra sulla panchina allunga il salice dietro l'albergo, a testa china...gioca a Sudoku.
L'ombra si anima, la sera avanza, ma questa sera per lui già danza.
"Ama il Sudoku? Non lo sa fare? Prego si accomodi, si può imparare".
Scuote la testa, lei, mentre l'ombra gioca con l'ambra della sua pelle.
L'occhio le brilla, chiaro, splendente.
Lui, già ridente, mormora piano: "E' solo un gioco.." e lei continua: "Ma va lontano".
"Ora ceniamo, poi..."
" Riproviamo?"
E' quasi sfatta la messa in piega tra le sue mani, bianche farfalle senza domani s'alzano in volo.
Non è più solo.
Quando ritorna non è più stanco, solo più grigio o quasi bianco. Come la neve che scende lieve, non è più greve.
E io, sua moglie, con fare stanco, quasi un contagio di cielo bigio: "E' un bel miracolo l'acqua termale. Potrei provare, che te ne pare?" Lui non risponde. Ripensa a un salice gonfio di vento, a due occhi chiari, a quel portento di portamento.
Poi, a fatica, già pensieroso: "Se vuoi provare, ti lascio andare, ma non t'illudere: è un'acqua strana. A volte serve, a volte è vana" mormora piano.
E io sorrido. L'ho amato tanto, quest'uomo grigio, quest'uomo stanco, fino a infilargli, dritta nel letto, la più vitale, la più gioviale, la più simpatica e mai banale delle donnine che fan la ronda: alla prima tangenziale, quella rotonda.