domenica 17 gennaio 2010

La passione del narrare

Leggo su internet consigli per scrittori inesperti che, se nulla possono togliere alla mia passione per la scrittura, mi fanno riflettere sulla "vocazione" dello scrittore, sulle modalità con cui si manifesta, sulla difficoltà che incontra chi voglia tentare di ingabbiare entro parametri rigidi l'impalpabile leggerezza di una passione, com'è, appunto, quella del narrare...

Ho trovato anche un blog in cui si afferma che la scrittura nulla avrebbe a che fare con la lettura.
Io ho sempre pensato che ogni scrittore si portasse addosso come caratteristica genetica il vizio della lettura, una smodata dipendenza dalla carta stampata, e non soltanto perché hanno in comune, lettura e scrittura, la parola (mi si potrebbe obiettare che è potente mezzo di comunicazione anche verbale) ma perché la parola scritta è diversa... Come? Come una donna nuda o vestita, che sempre donna è, ma se vogliamo entrare nel complesso gioco della seduzione e della schermaglia amorosa la dobbiamo coprire, non per proteggerla dal freddo, ma per sollecitare l'immaginario che dell'abito si servirà, come lo scrittore della parola, quale mezzo, accesso alla fantasia e all'imprevedibilità dell'erotismo rispetto alla prevedibilità della sessualità.

Chi scrive ama le storie, i racconti, le fole che ha sentito dalla voce di sua madre o che ha letto. E i cartoni animati, la tv o il cinema, moderni dispensatori di illusioni fiabesche? Be', li ha visti, ma lui, il potenziale scrittore, non se la beve così come gli viene raccontata. E' persona alla quale la storia, come la vita d'altronde, non basta. Deve cambiarla, inventare un finale diverso, immaginare un personaggio che, creato su due piedi, entri in gioco sparigliando il tutto, altrimenti che storia/vita sarebbe? Il lettore e potenziale scrittore può essere dominato soltanto dalla bravura dello scrittore e, comunque preferisce immergersi nella storia, piuttosto che esserne sommerso poiché le modalità, i tempi e le pause della lettura, le decide lui, contrariamente a quanto avviene sul piccolo o grande schermo. Per questo motivo privilegia e ha privilegiato il libro, perché gli permette d'interagire con lo scrittore, criticare, rimuginare....

Per quanto attiene alla tecnica narrativa è importante, ma segue, come la polvere sulla scia di un refolo di vento, la scoperta della passione narrativa.

Ciò che vero non è deve però essere verosimile e, quindi, rispettoso dei nessi logici che legano eventi e personaggi nel loro interagire. Siamo d'accordo, ma le rotte sul mare sono o potrebbero essere infinite ed è questo bisogno di spazi illimitati che spinge uno scrittore a prendere il mare, a navigare come Colombo alla cieca, a rischiare un naufragio per soddisfare la sua insopprimibile curiosità. A mio avviso, imparerà a navigare sulle ali della fantasia, e questa sarà il suo vento in poppa anche se, come con il vento le vele, dovrà essere contenuta e domata. Che vuol dire tenuta al guinzaglio non alla catena, perché se si può apprendere la tecnica narrativa, quel mix di infantile potenza/prepotenza, scatenata immaginazione, arrogante presunzione e insopprimibile curiosità che alimenta il narrare non può essere ingabbiato, soltanto filtrato depurandolo di ciò che lo ha reso nostro per restituirlo al mondo come sentimento universale. Poi seguirà la fase tecnica con i suoi tempi, la fatica, la lettura e rilettura, la sintesi che si ottiene tagliando...

Lo scrittore non è fatto soltanto di controllo e competenze. E la passione? Viene data per scontata? Ma il miracolo e/o mistero è proprio la passione narrativa con la sua incontenibile esplosione di genialità, il resto è acquisizione di regole, necessarie anche se faticose e queste sì uniformi e standardizzate.
Che stanno lì in attesa di... un colpo di genio che le azzeri?
Scherzo, ma non del tutto.
Voi cosa ne pensate?

Racconto a puntate (La vita cambia)

Avevano lasciato entrare un ragazzo con un carrello: acqua e pizze. Era un poliziotto, la faccia meridionale come l'accento e i riccioli scuri dietro a quel grembiule da garzone nuovo e immacolato, ancora impregnato di appretto, che non poteva ingannare nessuno. Aveva cercato di prendere tempo aprendo i cartoni delle pizze, ma i due rapinatori l'avevano spintonato fuori, urlando parolacce, più per rassicurare se stessi che per spaventarlo. Ludovica aveva addentato la pizza deglutendone a stento un boccone, poi si era limitata a buttare giù un sorso d'acqua. Manuela al suo fianco ingoiava lacrime e pizza Margherita in bocconi lenti come i suoi singhiozzi. Parlare era impossibie: il più violento doveva essere affetto da mania di persecuzione, appena sentiva una parola impazziva come se tutti sparlassero di lui. E questa consegna del silenzio, obbligava a pensare...
"Non devo fissarmi sui bambini, non devo" si ripeteva Ludovica, meccanicamente ruminando quella frase tra i denti come se pregasse.
Le lancette dell'orologio affisso al muro scivolavano lente e il silenzio era rotto solo da quelle telefonate di mancati accordi che facevano imbestialire i rapinatori liberando la loro paura che rimbalzava sui volti terrorizzati degli ostaggi. Il cassiere, un ragazzo che avrà avuto la loro età, aveva tentato un approccio, scatenando la rabbia di quello dei due che aveva sparato, e c'era mancato poco che non ammazzassero anche lui. Ora se ne stava semisdraiato sul pavimento, ruminando paura e rabbia, il sangue incrostato sul labbro gonfio e spaccato.
Le prime ombre della sera incupivano l'aria,velando d'ombra il volto di Ludovica. La sua vita le passava davanti agli occhi ridotta a una carrellata di immagini: lei bambina al suo primo giorno di scuola, il primo bacio, lo scambio di accuse con la madre in quella sera d'estate in cui era rientrata tardi... I riccioli sfatti che le danzavano intorno al viso, nascondendo occhi di ragazza diventata donna. Che madre era? Chi? Lei o sua madre? Doveva capire, trovare il bandolo della matassa, risalire alla causa di tanta infelicità. Ma ora era tardi. Non è mai troppo tardi per capire... per affrontre i propri demoni, ringhiosi, invecchiati in un angolo del cervello, dmenticati come bambini lasciati in castigo dietro alla lavagna. L'angoscia le montava dentro, le urlava la sua condizione di abbandono, era un dolore antico che le mordeva l'anima, in quella landa desolata, nera come le notti d'estate... Ma qui ci sono stelle. Scoppiano come fuochi d'artificio. Urlano. Le stelle? (continua...)