domenica 17 gennaio 2010

Racconto a puntate (La vita cambia)

Avevano lasciato entrare un ragazzo con un carrello: acqua e pizze. Era un poliziotto, la faccia meridionale come l'accento e i riccioli scuri dietro a quel grembiule da garzone nuovo e immacolato, ancora impregnato di appretto, che non poteva ingannare nessuno. Aveva cercato di prendere tempo aprendo i cartoni delle pizze, ma i due rapinatori l'avevano spintonato fuori, urlando parolacce, più per rassicurare se stessi che per spaventarlo. Ludovica aveva addentato la pizza deglutendone a stento un boccone, poi si era limitata a buttare giù un sorso d'acqua. Manuela al suo fianco ingoiava lacrime e pizza Margherita in bocconi lenti come i suoi singhiozzi. Parlare era impossibie: il più violento doveva essere affetto da mania di persecuzione, appena sentiva una parola impazziva come se tutti sparlassero di lui. E questa consegna del silenzio, obbligava a pensare...
"Non devo fissarmi sui bambini, non devo" si ripeteva Ludovica, meccanicamente ruminando quella frase tra i denti come se pregasse.
Le lancette dell'orologio affisso al muro scivolavano lente e il silenzio era rotto solo da quelle telefonate di mancati accordi che facevano imbestialire i rapinatori liberando la loro paura che rimbalzava sui volti terrorizzati degli ostaggi. Il cassiere, un ragazzo che avrà avuto la loro età, aveva tentato un approccio, scatenando la rabbia di quello dei due che aveva sparato, e c'era mancato poco che non ammazzassero anche lui. Ora se ne stava semisdraiato sul pavimento, ruminando paura e rabbia, il sangue incrostato sul labbro gonfio e spaccato.
Le prime ombre della sera incupivano l'aria,velando d'ombra il volto di Ludovica. La sua vita le passava davanti agli occhi ridotta a una carrellata di immagini: lei bambina al suo primo giorno di scuola, il primo bacio, lo scambio di accuse con la madre in quella sera d'estate in cui era rientrata tardi... I riccioli sfatti che le danzavano intorno al viso, nascondendo occhi di ragazza diventata donna. Che madre era? Chi? Lei o sua madre? Doveva capire, trovare il bandolo della matassa, risalire alla causa di tanta infelicità. Ma ora era tardi. Non è mai troppo tardi per capire... per affrontre i propri demoni, ringhiosi, invecchiati in un angolo del cervello, dmenticati come bambini lasciati in castigo dietro alla lavagna. L'angoscia le montava dentro, le urlava la sua condizione di abbandono, era un dolore antico che le mordeva l'anima, in quella landa desolata, nera come le notti d'estate... Ma qui ci sono stelle. Scoppiano come fuochi d'artificio. Urlano. Le stelle? (continua...)

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