martedì 24 dicembre 2013

UN NATALE SERENO A MARTINA, ALESSANDRO E JACOPO!

lunedì 23 dicembre 2013

All you need is love? Balle!

Caro Michele, mi permetto di darti del tu come compagna (suona strana oggi questa bellissima parola che evoca ricordi tanto gloriosi quanto dolorosi) che alla speranza di un mondo migliore ha associato la scelta dolce/amara di essere madre. Nel tuo libro Gli sdraiati tu liquidi l'infanzia di tuo figlio assimilando il tuo rapporto con lui, in quegli anni, al rapporto che lega il padrone di un cucciolo al suo cane. Amare un cucciolo, per di più adorante, non richiede particolari qualità. Lui , tuo figlio, è cresciuto nella tua casa, tra pappe e cacche, come si conviene a ogni bambino, e tu, fuori da quella casa, nel vasto mondo, hai lavorato al cambiamento, come si conviene a un uomo del tuo stampo, a un borghese di sinistra. La definizione non è mia, è tua.
Pure io ho lavorato, sono un'insegnante, e, come te, ho sognato e sperato, ma anche cercato, di cambiare il mondo.
All'università avevo studiato più Keynes che Marx, ma aveva provveduto mio padre, comunista e sindacalista, a colmare le lacune. Un papà progressista, ma non con le figlie. Strappargli il permesso per andare a ballare richiedeva una lotta all'ultimo sangue. Come ogni padrone che si rispetti, imponeva le sue condizioni. Era severissimo. La mia infanzia non è stata la tua, per me il cambiamento impellente, improrogabile doveva partire dalla famiglia, doveva riguardare il rapporto tra maschio e femmina. Sono una ribelle, ma prima di essere una lavoratrice ribelle, sono stata figlia, donna, madre, moglie... ribelle.
Letti i libri delle femministe americane, ignorati i consigli (pieni di buon senso) di mia madre, mi sposai, mi laureai, un figlio di nove mesi sulle ginocchia mentre battevo a macchina la tesi di laurea, trovai lavoro e... smisi di dormire. Passavo le notti in bianco, cantando nenie all'alieno che tenevo tra le braccia: un cucciolo tenerissimo, intelligentissimo... ma ringhioso. Anarchico, precoce, mi vampirizzava. Io, cresciuta tra regole e orari, educazione austro-ungarica, non mettevo paletti, non delimitavo i suoi spazi facendolo sentire sperso, spaventato: avrebbe voluto un giardinetto, non una sconfinata prateria. Il padre non se ne occupava, pappe e cacche non lo riguardavano. Quando, raramente, era a casa, anche se il bambino strillava durante la notte, lui riusciva a dormire, e poi io con le mie nenie lo facevo scivolare nel sonno. L'alieno per quattro anni dormì solamente di giorno: brevi sonnellini spezzati da risvegli urlanti. Il padre girava il mondo per lavoro. Lo stipendio consistente era il suo, il mio andava in baby sitter...  Mi avrebbe preferita a casa, a fare a moglie di rappresentanza. Il mio stipendio -  diceva - serviva soltanto a collocare il nostro reddito in uno scaglione più alto, facendoci pagare più imposte.
Tutta questo per farti notare, caro Michele, che un bambino non è  un cucciolo,  che va seguito, ascoltato, osservato da entrambi i genitori  e dal primo momento in cui apre gli occhi. Si deve o si dovrebbe creare un rapporto continuativo, fatto di attenzione, affetto e rispetto. Dove ho sbagliato io? Imponendo a mio figlio una libertà non dosata secondo i suoi crescenti bisogni di autonomia, ma a misura del "mio" famelico bisogno di libertà. La natura dà due genitori, la società, per tutta una serie di motivi, spesso, troppo spesso, li riduce a uno soltanto. Quattro occhi vedono più di due, il confronto tra genitori può ridurre il numero degli errori. Almeno credo.
Tu, Michele, una mattina, improvvisamente, hai scoperto che il cucciolo era diventato alto come te, dotato di parola... un adulto insomma, al quale fare, finalmente e saggiamente, da Padre. E il padre chi è? E' il dispensatore delle regole, quello che insegnerà al figlio a stare  al mondo, quel mondo che lui, il padre, conosce bene, anche se non è riuscito a renderlo migliore. Anzi, a dire la verità, è sì riuscito a cambiarlo, ma in peggio. O non è riuscito a evitare che altri lo peggiorassero.
L' infanzia di tuo figlio non sembra aver lasciato ricordi in te.
Dalla culla all'adolescenza il passo non è breve... Non dai notizie sullo scolaro delle elementari, sul ragazzino delle medie, sui compleanni, il primo giorno all'asilo, gli amichetti per casa, le favole lette insieme, le domeniche al cinema, il primo giorno con i pattini, gli scii, la bicicletta senza le rotelle... 
Ad un tratto, come un coniglio bianco dal cilindro di un prestigiatore, scaturisce un adolescente che mangia come un uomo, ingombra come un adulto, puzza come un adulto, ma non ragiona come un adulto, perché non sa cosa voglia dire essere  "grande".  Lui è solo alto e spallato, pesa come  te, ma non ha la tua esperienza, non ha esperienza, tout court. Se la dovrà fare, tra errori e patemi. Come te, come tutti.
E' questo il momento in cui scopri l'alieno, e vedere girare per casa un marziano non è facile. Capisco... Io, l'alieno l'avevo già conosciuto, avevo trovato il modo di comunicare, ero abituata alle sue metamorfosi ( alle loro metamorfosi perché di figli, in rapida successione ne avevo avuti altri due, facendo fuggire il marito da una casa che sapeva troppo di Nutella e borotalco per approdare a lidi più tranquilli e gratificanti), ai cambiamenti. In fondo non era quello che avevamo voluto? Cambiare tutto, e subito?
Ma non basta che le cose cambino, è importante la qualità del cambiamento.
"E' l'evoluzione della specie" dice il tuo ragazzo. E' il progresso tecnologico, è la politica marcia, è la scomparsa dei valori, è la globalizzazione, è la crisi mondiale, è il berlusconismo, è la brutta copia dell'America con la festa del Ringraziamento in cui i figli tornano a casa solamente per scannarsi con i genitori e ignorare il tacchino. E' questo mondo che non è più a nostra misura che ci è scoppiato sotto il culo, quasi a nostra insaputa - diciamo noi (vecchi). Però, confessa, vorresti anche aggiungere che lui, tuo figlio, ha accanto uno come te: progressista (pure tu?), intelligente, ironico, colto, giornalista, scrittore. Uno che ha la voglia e la capacità di accompagnarlo nella crescita, di indicargli la strada.
Ma quello (il figlio), non parla, non ascolta, nemmeno litiga con te: ti ignora e basta! Non ti ritene autorevole, anzi ti obbliga a essere autoritario! Uno come te che ha sempre privilegiato il dialogo, il confronto!  
Gli alieni non saremo per caso noi, Michele, noi che non li abbiamo respinti ma li abbiamo ingannati, o abbiamo permesso che altri li ingannassero?
Per te Michele, sarà guerra tra giovani e vecchi... E' evidente che i vecchi saranno sconfitti; basterà sospendere la somministrazione dei farmaci che li tengono in vita, lasciandoli morire di malattia e delusione. Quanta sofferenza costano i cambiamenti, quante correzioni di rotta prima di capire....
E pensare che il nostro inno era "All you need is love"...

domenica 15 dicembre 2013

Lettera a una figlia

Era una giornata d'inverno, limpida come solo a Trieste - grazie alle bora - le giornate possono essere terse. Prima di chiudermi la porta alle spalle, avevo abbracciato in fretta tua nonna e baciato i tuoi fratelli. Il medico aveva detto: "Non oltre il 15 dicembre... Sarebbe pericoloso per il feto e la madre (tu e io). Faremo un parto pilotato e tenteremo di evitare un cesareo..." L'ostetrica era stata più esplicita, "Non sarà una passeggiata" aveva detto. E non fu una passeggiata. Nascesti di sera, il cielo ormai nero come l'inchiostro, un persistente singhiozzo che ti tormentava. L'ostetrica, pensierosa, commentò: "Nascono quasi tutti così: sono i bambini del terremoto... ". Il terremoto del Friuli, quello del 6 maggio del settantasei, il giorno in cui il medico mi comunicò che sarei diventata madre per la terza volta. Ricordo tutto della tua  nascita: la paura, la gioia, il dolore. Tuo padre che dormiva sulla poltrona della mia camera, il giornale sportivo allargato sulle ginocchia, le parole infastidite del medico: "Vada a dormire fuori!" (Fu in quel momento che percepii la sua indifferenza, la fine del nostro rapporto?)
Sei nata bella, bellissima, il ritratto della bisnonna di cui porti il nome. Non è stato difficile crescerti... A te, e forse anche a me, il merito di aver infranto la catena dei rapporti difficili tra madre e figlia (poiché per generazioni abbiamo partorito solo figlie femmine). Affetto e rispetto tra noi, al di là degli inevitabili errori di ogni madre e delle scelte, non sempre condivise ma rispettate, di ogni figlia. Con te ho vissuto una maternità serena. La serenità non l'avevo mai conosciuta.
Sono passati in fretta questi anni, sono successe tante cose, abbiamo condiviso il dolce e l'amaro della vita... Tu sei cresciuta e io invecchiata. Tanto è cambiato intorno a noi, ci circonda un mondo difficile: tu hai ancora intatta la tua forza, io sto perdendo (ho già perso?) la mia.
Ricordi quel giorno all'ospedale? Non rammento l'ospedale, come le galere si assomigliano tutti e, ormai, sono frequenti i miei ricoveri e scarsa la mia memoria. Tu arrivasti, una ventata di vitalità e dolcezza, in quella stanza che sapeva di malattia e dolore. Via le scarpe! Ti allungasti sul letto accanto a me, la testa sulla mia spalla... Ti addormentasti tenendomi stretta. Entrarono un medico, un'infermiera... Io mi misi un dito sulla bocca.
Uscirono senza dire una parola.
In punta di piedi.
Tanti auguri, piccola.

Salsomaggiore, 15 dicembre 2013

sabato 16 novembre 2013

Help me


"Oh, che fortuna!, la trovo... "
Silenzio, più aggressivo di qualunque parola.
"Andiamo male".
"In che senso?"
 Mi verrebbe voglia di urlarle "In tutti i  sensi umanamente possibili", ma, educatamente, comincio a elencare: "Gli spasmi/crampi non sono diminuiti sospendendo il farmaco: come si chiama? Jou...?"
Storpio il nome, lei corregge, non suggerisce. A me, chissà perché, torna alla mente la maestra delle elementari. Mentre la mia mente cerca nei ricordi, lei sospira.
Torno a bomba.
"In compenso (forse sarebbe meglio "aggiunta" al posto di compenso, lei è così precisa!), sono debolissima, rigida e traballante... "
"Ha provato a prendere il farmaco miorilassante che le ho prescritto?"
"Sì".
"Le  serve?"
"Si!,  ma.... "
"Ma... "
"Ho la minima a 45"
"Minima cosa!?"
"Pressione , dottoressa, pressione... la minima!"
 Anche se mi sto irritando e "agitando" per cui, probabilmente, in questo momento, ho una pressione da ictus.
"Lei ha sempre questo problema; dovrebbe consultare il cardiologo... "
"Già fatto!"
Silenzio.
Attesa.
"Mi ha consigliato di consultare il neurologo: lei"
"Ah!"
Asciutta.
Il silenzio si protrae, mentre io, imbarazzata, ricorrendo alle frasi fatte (perché la testa mi si vuota, ma provate voi a essere brillanti con una pressione minima capace solo di  garantirvi la sopravvivenza) sbotto in un: "Perso per perso (?), tanto vale tornare alla vecchia terapia e posologia... "
"Si... Ora la lascio; mi stanno chiamando".
"Arrivederci, dottoressa, e... GRAZIE"
"Si figuri".

venerdì 15 novembre 2013

 Emil Cioran, "Invano l'Occidente cerca per sé una forma di agonia degna del proprio passato." 

mercoledì 13 novembre 2013

Dov'erano le madri? E i padri?

Le ragazzine sono innocenti: bambine in corpi di donne, bambine che avrebbero dovuto crescere, diventare adulte sotto l'ala protettrice delle madri.
Le madri, le maaaaadri! Dov'erano? Cos'erano? Tutto il perbenismo sociale si unisce compatto e punta l'indice sulle madri. La mistica dell'amore materno è dura a morire.
In una società dove tutto è cambiato o sta cambiando, le madri vengono chiamate  a fare argine a quel fiume impazzito che è l'odierna realtà del Paese. I politici rubano in massa, gli imprenditori, per un profitto più alto, delocalizzano le imprese e sbattono sul lastrico migliaia di lavoratori, la libertà sessuale è una conquista, la bellezza è un "talent" (come dice Freccero, un po' annoiato, durante una trasmissione televisiva) e quindi va sfruttata... Ma le madri no! Le madri, solide come le statue dell'Isola di Pasqua, sono lì, devono essere lì, immobili e immutabili, come l'amore che nutrono nei confronti dei cuccioli. A rassicurarci.
E invece dobbiamo aprire gli occhi e guardarle queste donne, persone che non hanno saputo/potuto  essere madri. E chiederci perché, e cercare di capire e smettere di caricare sulle loro spalle, incapaci di sostenere il peso di una maternità cosciente, anche il peso, ben più grande, del nostro bisogno di rassicurazione.
Queste madri sono lo "scarto" di un processo di crescita che è avvenuto, che era auspicabile avvenisse, ma che è stato tumultuoso, tortuoso, difficile, ha richiesto (e richiede, perché è ancora in corso) aggiustamenti, studio, analisi, confronto... Soprattutto su quel pianeta, ancora poco esplorato, che è il rapporto madre/figlia femmina.
Sono responsabili, eccome queste madri!, ma non sono le uniche responsabili di ciò che è avvenuto, e sta avvenendo, nelle famiglie, nella società.
Quando una società riduce le persone a scarti, numeri, esuberi, esodati (e via discorrendo) è comodo incolpare le madri, ma è stupido. Soprattutto è inutile, non risolve il/i problema/i.
Perché nessuno ha chiesto notizie dei padri? Queste ragazzine sono state partorite per partenogenesi o hanno un padre? Forse le madri erano divorziate, ma si divorzia dalle mogli non dai figli. Oppure non è così?
Chi è assente non può essere giudicato; a scuola (e nella società) si sospende il voto: si usa un acronimo, quel s.e.g. che sta per senza elementi di giudizio. Come se lo scrollarsi di dosso la responsabilità di fare i padri fosse un peccato veniale, solo un peccato veniale...
E quelli che pagavano le minorenni? Uomini, seri professionisti, padri a loro volta di ragazzine della stessa età? Qui il peccato si colora di reato, ma rimane la sensazione di sguazzare nella melma del dejà vu. Non lo ha fatto anche qualche personaggio di primo piano nel Paese, non a caso chiamato "papi"... ma "gli uomini si  sa.... "
Resta il fatto che a queste ragazzine è stata scippata l'innocenza. I colpevoli sono tanti, non tutti perseguibili per legge, ma le madri, senza dubbio colpevoli, lo sono un po' più di tutti gli "altri".
Tanto per cambiare!

domenica 10 novembre 2013

E ancora....


Colava gerani il terrazzo,
rossi come sangue,
e rondini
il cielo

Girasoli di luce
sbocciavano
nella notte.

Sfinita
mi addormentavo
sulla tua spalla.

La vita
era allora,
e ancora,
arcobaleno di colori.

Pensieri sparsi...

Fatta su, quasi rattrappita, osservo il mondo da questo fazzoletto di terra emiliana che le colline, quasi un brivido avesse increspato il terreno, movimentano dolcemente. Piove, è novembre; non piovesse l'aria sarebbe comunque impregnata di umidità sotto questo cielo grigio perla che le rondini hanno appena abbandonato. Non capisco o, forse, non voglio capire. Dentro, un terremoto ha cambiato la geografia dei luoghi: c'è ancora tutto, ma confuso, spaiato. Forse lo è sempre stato? Rifiuto l'aggressione dei ricordi, non mi fido. Nemmeno di loro. Si scelgono ad arte i ricordi: per falsare la storia: soprattutto la nostra. La fatica non la ricordo mai e quella solitudine, che ancora oggi mi ostino a chiamare libertà nonostante i suoi fantasmi, quei desideri insoddisfatti  e le speranze che avevano già allora il sapore amaro dell'illusione, è diventata da tempo una costante e, proprio per questo motivo, non pesa. Le donne conoscono l'ingiustizia più degli uomini perché, ancora lontane dall'eguaglianza, sono  immerse nel terreno paludoso della diversità che ancora significa inferiorità... spesso ai loro stessi occhi. Purtroppo.

domenica 3 novembre 2013

Vecchia crisi e nuovi barbari.

L'adozione dell'euro, il ruolo assunto dai  banchieri, la prevalenza della finanza e dell'economia di carta su quella reale, il matrimonio d'interesse tra finanza e politica e la sempre più smaccata mancanza di spessore morale della classe dirigente del nostro Paese sono, a mio avviso, tra le cause più importanti che stanno all'origine della crisi che stiamo vivendo.
L'euro  fu per il Paese un errore e... una grande ingiustizia sociale. Avvantaggiò, infatti, i proprietari di patrimoni, dimezzando il potere d'acquisto di salari e stipendi, con la conseguenza di rendere più debole, sotto il profilo economico e quindi sociale, la classe operaia, già messa a dura prova dallo sviluppo tecnologico.
L'ammissione dell'Italia all'Unione europea non fu certamente indolore, ma l'astuzia fu quella di far credere al Paese che l'appartenenza al club degli eletti avrebbe avvantaggiato tutti, spalancandoci di fronte le porte dell' Eldorado. Fu, invece, un vero e proprio "patto leonino": i sacrifici, in termini di maggiori  imposte, colpirono stipendi, salari e pensioni,  ma i vantaggi, in seguito, privilegiarono i soliti (pochi) noti.
Il Paese di europeo aveva ben poco (particolare che avrebbe dovuto indurre i nostri governanti a una scelta diversa) e, quanto più si scendeva lungo lo stivale, tanto più aumentava il divario con la Germania, l'Olanda, la Norvegia e gli altri Paesi facenti parte dell'Unione.  Ma Prodi &Co. si erano impegnati ad attuare un profondo cambiamento: burocrazia più snella, inflazione sotto controllo (quindi Debito pubblico in diminuzione a causa dei ridotti tassi d'interesse), mercato libero da interventi statali e via promettendo...
Resta il fatto che entrammo in Europa come ultimi della classe, con un cambio lira/euro svantaggioso, la consueta furbizia dei bottegai (che immediatamente ritoccarono all'insù tutti i prezzi), l'inveterata mancanza di controlli a sanzionare i comportamenti scorretti e l'abituale disonestà della classe politica. Se i beni vanno costruiti, per i prodotti finanziari basta la fantasia: infatti esplose sui mercati la "finanza creativa", facendo aumentare le agenzie bancarie e assicurative, ma portando al fallimento molte imprese manifatturiere.
La finanza corruppe la politica imponendo leggi a tutela del mercato bancario e, in ultima analisi, della cosiddetta "economia di carta" che s'impose sull'economia reale. Il mondo del lavoro dipendente risentì ulteriormente del cambiamento ma il tasso di disoccupazione subì una vera e propria impennata quando le imprese manifatturiere iniziarono a "delocalizzare" la produzione.
Smembrata, impoverita, la classe operaia è passata dall'urlo dei cortei al belato della disperazione dei licenziati, dei cassaintegrati, degli esodati.... poco e mal tutelata da una "Sinistra" allo sbando, in piena crisi ideologica e politica.
L'Europa, politicamente inesistente, costretta a fare i conti con la concorrenza dei paesi in via di sviluppo, in difficoltà sulle esportazioni verso gli Usa (artefici di una politica monetaria orientata alla svalutazione del dollaro) e presa d'assalto da una massa di disperati in fuga dall'inferno dei loro Paesi, non è stata certamente in grado di realizzare quell'armoniosa fusione strombazzata per anni nei convegni e negli incontri. E' rimasta, e rimane, un'entità vaga, divisa, rissosa, dove tentano di coesistere Paesi troppo diversi tra loro (come Germania e Italia o Grecia e Svezia). Ovviamente, senza riuscirci.
Il cambiamento, anticipato da segnali ben precisi ma ostinatamente ignorati, è scoppiato come una bomba: rottamati i valori prevalgono ora gli interessi, mentre la generazione dei figli guarda ai "padri" con rancore, i politici sono un esempio di squallore difficilmente superabile, la disoccupazione dilaga, l'insicurezza aumenta, la paura del domani attanaglia un po' tutti.
All'interno di questa realtà ha senso continuare ad accapigliarsi sulle cause? Sì, ma proponendo (e tentando) soluzioni, rimedi. Ma possono cambiare le scelte se non cambiano le persone? Valori come la correttezza, l'onestà possono essere imposti per legge? No, la legge si limita a sanzionare i reati che la disonestà alimenta. E allora? Chi saranno i nuovi barbari che spazzeranno via il vecchio impero? Sono già qui, tra noi? Camminano al nostro fianco, ma noi non li identifichiamo? Oppure stanno arrivando e quella polvere sulla strada è sollevata dagli zoccoli dei loro cavalli? No, i nuovi barbari non useranno i cavalli, non saranno inquadrati dai cannocchiali... Avranno altre armi, useranno altre parole.
Volete vederli? Accendete la televisione...

mercoledì 30 ottobre 2013

Pre-potente...

Amarezza, non tristezza soltanto... Quella punta in più di dolore che nasce dall'ingiustizia per ciò che ti viene imposto di subire. Ma, pre-potente, l'allenamento alla lotta, l'orgoglio, la difesa di una dignità alla quale non sapresti rinunciare. E, allora, anche l'autunno diventa meno grigio e cerca/trova il rosso della ribellione...

lunedì 28 ottobre 2013

Ho incrociato il tuo sguardo

Ho incrociato il tuo sguardo che,
limpido come uno specchio,
rifletteva il mio

Tradite dalla vita,
ci siamo abbracciate
come sorelle

In silenzio...

mercoledì 16 ottobre 2013

Ci sono anche - e ancora - "loro"...

                               

                                                      Brr, che freddo dentro...
                                                      Ci sono anche "loro"...
                                                      Ancora?
                                                      Com'è possibile?
                                                      Eppure...


Ringrazio Ugo (Pierri).
















          

lunedì 14 ottobre 2013

E la incontro, la Munro...

E' in mezzo ad altri libri, nel disordine abituale della mia libreria, Le lune di Giove di Alice Munro. Non è lei che ha vinto il Nobel per la letteratura? Ho già letto uno dei suoi libri. Non ricordo nulla. Vuoto assoluto. Ma lei scrive racconti... Soltanto? Un racconto è più difficile da ricordare di un libro - penso, mentre rigiro il libro tra le mani.
Be', non ho molto da fare... Mi infilo a letto (fa freddo, siamo già in autunno) e comincio a leggere. Il primo racconto non mi dice nulla, il secondo nemmeno, il terzo idem come sopra.  Al quarto sono talmente distratta che dimentico ciò che leggo mentre lo sto facendo. Sbadiglio, annoiata. E le hanno dato il Nobel per la letteratura!? Vado all'ultimo racconto, tanto - penso, non è un romanzo: ogni racconto è a sé, come una singola fotografia in un album. Eppure non mi convince: l'ordine dei racconti non è casuale.
Leggo anche l'ultimo: mi irrita; non è che non mi piaccia soltanto, non lo capisco, sì, non lo capisco...
Mi si accende una lampadina: non sono così scema! Non a questo livello. Mi rivedo con Paolo, sorridente e sicuro, una vaga aria di sufficienza (quella dell'adulto che spiega al bambino) che dice: "Non vuoi capire! E' un modo come un altro per difenderti. Ma è stupido e....  inutile. Il messaggio ti arriverà da un'altra parte. Ha senso diventare totalmente idioti per non capire?" Nel sorriso affiora qualcosa che non voglio decifrare, questo lo ricordo, mentre il suo sguardo mi ferisce ancora, come una freccia scoccata a tradimento. "Per non soffrire", conclude. Poi, si concentra sul  fumo della sua eterna sigaretta. Riesco solo a pensare che è strano che non mi sia venuto il cancro. Ai polmoni, a causa del fumo passivo. Avrei dovuto protestare, pensare alla mia salute. Difendermi! Dal fumo passivo? Anche. Rido, è passato tanto tempo, ma fa... ancora male. E, ancora, tento, inutilmente, di difendermi dal mondo dei sentimenti, così doloroso e incomprensibile... Inutilmente, perché imbocco strade sbagliate: la negazione, le bugie...
E allora riprendo in mano il libro: apro l'anima e la mente, le spalanco sulla vita, come le imposte al mattino sul mistero, la speranza e la paura di un nuovo giorno. E la incontro, la Munro. E, ora, siamo due donne, solo due donne. La scrittrice fresca di Nobel e la scribacchina che con sempre minor frequenza mette a nudo la sua anima sulla pagina di un blog...
"C'è un limite alla quantità di sofferenze e di scombussolamento che si è disposti a sopportare in nome dell'amore, come c'è un limite al disordine che siamo disposti a ignorare in una casa. Non si può conoscere in anticipo, ma quando lo raggiungi te ne accorgi. Ne sono convinta. Quando cominci veramente a lasciar perder succede così. Ti parte dentro una fitta di dolore segreta. Inaspettata. E subito dopo un senso di leggerezza. Non si tratta solo di sollievo. Contiene una forma strana di piacere, niente a che fare con masochismo o vendetta, niente di personale, insomma. E' il piacere spontaneo di quando si constata che il progetto non corrisponde alla struttura, che l'edificio non può stare su; è il piacere di riconsiderare dal principio tutto ciò che esiste di contraddittorio, persistente e irriducibile nella vita. Credo sia questo. Credo che in ciascuno di noi ci sia il desiderio di assecondare e, al tempo stesso, di combattere  ciò che prevede prospettive immutabili e fiumi di belle parole".
Ora capisco la sua la fama, e il filo rossa che lega tutti i tuoi racconti, e a quel filo mi aggrappo, allaccio la mia mano alla sua... Con semplicità, con naturalezza, senza maschera.
Grazie Alice; grazie Alice Munro!

domenica 6 ottobre 2013

Addio Carlo

Una giornata d'autunno, una delle prime: il cielo ostinatamente grigio, l'aria umida, una pioggia inarrestabile di foglie secche che spoglia gli alberi, lasciandoli nudi, infreddoliti... Ti cerchi un maglione, hai freddo. Anche tu. La giornata ti si spalanca davanti: ti guarda muta. Interrogativa. Il caffè brucia lo stomaco... Meccanicamente accendi la tv. Fai zapping. Ti scorrono davanti agli occhi immagini in rapida sequenza; vedi poco, ah già, hai sbagliato occhiali ma non ti alzi a cercarli. Non sei più curioso, hai già posto tutte le domande, e per ognuna ti è stata data una risposta. Allora, qual è il problema? Ci sono troppe risposte che non ti piacciono. Ti senti impotente.
Alzi lo sguardo, intravedi una foglia ondeggiare attraverso i vetri della porta finestra. Ti alzi, apri con delicatezza, la vedi atterrare. Con grazia. Non è il passato che ti angoscia, ma quel pugno di giorni che ti rimangono da vivere. Da vivere così, appassendo...La tua vita ti scorre davanti agli occhi, come un film, l'ultimo che hai deciso di dirigere. Te ne vai come quella foglia, volando.

giovedì 3 ottobre 2013

"Ma mi faccia il piacere", avrebbe detto Totò.

E' l'apoteosi del "gattopardismo all'italiana": cambiare tutto (in apparenza), per non modificare nulla (nella sostanza). Fini si oppose a Berlusconi, ma solo verbalmente. Nei fatti non lo sfiduciò mai. Il capo era ancora troppo potente, una sorta di Zorro in versione italiana capace di accendere la fantasia del popolino. E Fini scomparve dalla scena politica. In questi giorni è successo qualcosa di simile, ma ora Berlusconi/Zorro è un pregiudicato, condannato in via definitiva, anche all'interdizione dai pubblici uffici, per evasione fiscale. La sua corte ha fiutato il pericolo, il capo è ormai, come la Concordia nelle acque dell'Isola del Giglio, una nave sul punto di colare a picco, una nave che si potrebbe dover abbandonare in qualunque momento e in tutta fretta. La corte sbandata, quasi isterica, a volte perfino patetica, ci ha concesso qualche soddisfazione: fatti, non soltanto parole, una ribellione aperta che ha evitato la rovinosa caduta del governo di "larghe intese", dopo un'estenuante balletto di dichiarazioni comunicate e smentite in un crescendo rossiniano. A Ballarò, Cicchitto e Sallusti hanno incrociato le spade e sul volto sfatto del Capo abbiamo colto la paura, la rabbia impotente, l'indecisione. Letta ha evitata la crisi di governo incassando la fiducia, Berlusconi è precipitato nei sondaggi...
Ma era questo il "cambiamento" tanto atteso? Formigoni non contro Letta ma con Letta? Cicchito pure? Un gruppo capeggiato da Alfano assurto a dignità (?) di capo della nuova corrente all'interno del Pdl?
Il Paese voleva ben altro: uomini nuovi per una politica nuova. E invece, dopo giorni (anni?) di angoscia ci sfilano davanti gli stessi uomini che di diverso hanno ben poco. Sono i servi del padrone che ambiscono a diventare padroni essi stessi. E' arrivato il momento di stabilire nuove alleanze, raccontare nuove bugie, cambiare la mappa del potere per continuare a tenerlo saldamente in pugno: naturalmente per "il bene del Paese" ...  
"Ma mi faccia il piacere", avrebbe detto Totò.

lunedì 30 settembre 2013

Assolutamente da non perdere la puntata di mercoledì prossimo!

Su suggerimento del Presidente del Consiglio in carica... prego! Intanto i ministri del Pdl si dimettono per gioco e i diversamente abili, pardon, diversamente berlusconiani pigolano critiche imbarazzate all'indirizzo del Capo. Lo spettacolo continua. Assolutamente da non perdere la puntata di mercoledì prossimo!

mercoledì 25 settembre 2013

La guerra continua. Impari.

Trema, sembra sul punto di battere i denti. La fronte è segnata da alcuni  graffi. Ha una gamba ingessata, ma la sua gamba sarà libera tra poche settimane. Potrà tornate a camminare, a correre e a ballare... ma "lei" dovrà liberarsi da una "gabbia" ben più stretta, da una prigione che racchiude il suo cervello e la sua anima. E'  una donna "maltrattata", una delle tante costrette a vivere nel terrore. Ringrazia Dio per non essere stata uccisa: non ancora, nemmeno questa volta, ma quel suo sguardo da animale braccato fa affiorare un inferno, un inferno quotidiano. Lei non solo lo ha lasciato (il marito), ha anche ottenuto il divorzio, ha fatto - non sa più quante! - denunce  al Commissariato di zona... e ha atteso. E' vissuta aspettando di trovarselo di fronte, davanti al portone della sua casa o al mercato o all'uscita dal posto dove lavora, deciso a ucciderla. E' vissuta aspettando di morire, tremando, il cuore che impazziva per un passo alle sua spalle o accelerava al suono del campanello di casa, sobbalzando a ogni squillo del telefonino. Ora il marito è stato arrestato per tentato omicidio. Lo dice incredula, passandosi una mano sul volto, su quel volto che non  ha età... Mormora qualcosa, abbassa lo sguardo e scompare dallo schermo. Vissuta come un soldato in guerra, disarmata, si è salvata per puro caso, ma la guerra, impari, continua...

sabato 21 settembre 2013

TANTI AUGURI MARTINA!

       Sei già sveglia Martina? Non credo, alla tua età il sonno è letargo di marmotte, non ti sveglierebbero nemmeno le cannonate. Ma oggi è un giorno particolare: è il tuo compleanno; compi "ufficialmente" tredici anni.
Come tutti gli anziani, non ricordo nulla, o quasi, di ciò che ho fatto ieri, ma ricordo perfettamente il giorno della tua nascita... Ero venuta da Milano, dove abitavo, alla fine di agosto per assistere la mamma. Sapevamo che saresti nata con un parto cesareo e quella mattina io ero più terrorizzata del solito. Tua madre, com'è nel suo carattere, affrontava il parto con l'abituale coraggio. 
"E' una bellissima bambina" disse il medico, aggiungendo che era andato tutto bene. Respirai di sollievo e guardandoti mi resi conto che non era una frase di rito, ma la verità: avevi un faccino tondo, perfetto, gli occhi "tirati", i capelli già folti, scuri (strano vero?) e ti guardavi intorno Non piangevi (avresti dimostrato di lì a poco il tuo caratterino sconvolgendo la routine della nursery con i tuoi "ruggiti"), sorridevi: mi, ci (c'era anche tuo padre, naturalmente) sorridevi... Io, come al solito, frignavo... 
Poi, appena tua madre si riprese un po', andammo a Milano. Ricordo tanta stanchezza e tanto sonno (tu e tuo fratello non dormivate mai, perlomeno di notte), ma anche tanta allegria e tanta "vita": la zia Eghe, lo zio Ubaldo, papà che veniva a fine settimana, amici, amiche per casa a tutte le ore. Disordine e profumo di borotalco e Nutella. Di nuovo...
Come ci si sente a tredici anni Martina? Con una gran voglia di averne quindici o sedici? Di bruciare i tempi, di essere "grandi"? Io mi sentivo così... e anche un po' spaventata, frastornata davanti a tanti cambiamenti...
E tu?

Tutto passa...

Mi sveglia  il chiarore del giorno, un altro giorno senza il gusto amaro del caffè, senza l'odore acre dell' asfalto e della  polvere a  imbellettare Milano di grigiore.
Qui, al paese, l'aria sa di terra,  di gerani ormai sfioriti,  di erba arsa dalla caldana d'agosto: lo stesso odore dei panni stesi ad asciugare al sole
Guardo il cielo: nuvole. A nord, a sud, a oriente e a occidente, nuvole.
Tra poco l'acqua scorrerà, picchierà violenta, gorgoglierà rumorosa; in città sbocceranno, imbevute di smog, pozzanghere di veleni nere come l'inchiostro.
Un'altra estate affogherà nell'acqua, sbiadirà nella nebbia.
Vinto, come l'estate, da una nuova stagione, sbiadirà anche Berlusconi...

venerdì 20 settembre 2013

La politica e gli sguardi

Da qualche anno ho preso l'abitudine di guardare le persone, soprattutto quelle appena conosciute, negli occhi. Occhiate lunghe, dirette, indisponenti. Gli occhi dei giovani racchiudono sguardi che, almeno in un aspetto, si somigliano: non hanno storia. Non ancora. Dovranno incorniciarsi di rughe, borse e palpebre cascanti per conoscerla..
Mi ricordano i quaderni nuovi, tutti da scrivere, della mia infanzia, la curiosità e l'emozione del primo giorno di scuola.
L'incrocio di sguardi di due vecchi è uno scontro/incontro di esperienze, racchiude in sé segreti che non saranno mai raccontati, orgogli feriti, poteri perduti, rimpianti, ricordi... Sono musei a cielo aperto. 
Negli occhi dei giovani gli sguardi si accendono di curiosità, si colorano di desideri, di arroganti sicurezze, ma anche di timidezze, incertezze, paure... Mostrano, gli sguardi dei ragazzi, ciò che essi provano, ciò che sono; mentire nei vecchi sono, spesso, muro di cinta che si alza a protezione del proprio giardino. Nel linguaggio gestuale lo sguardo è re, monarca assoluto; uno sguardo non vale, a volte, più di mille parole?
C'è anche, sempre più frequente, lo sguardo "vuoto". E' quello del potere, quando è fine a se stesso Dà l'impressione di sbattere il muso contro una saracinesca abbassata, una porta sprangata, una finestra chiusa. Cosa nasconde - ci si chiede incontrandolo? Tutto o nulla? Certamente non emozioni, men  che meno passioni mi suggeriscono l'intuito e la saggezza (unico vezzo di un'anziana signora)...  L'ho trovato in Draghi, in Berlusconi, ancora incerto appare e scompare in Renzi. E' sguardo che il silenzio  delle parole può enfatizzare o un eccesso di parole tentare di sommergere, riuscendo in realtà soltanto ad animarlo o rianimarlo per qualche istante... A me rimanda l'idea di un'anima vuota, morta o, chissà, forse mai esistita.

mercoledì 11 settembre 2013

Claudia FA.

     Nonostante abbia letto molti commenti di persone affette dal Parkinson, le parole di Claudia mi hanno colpita in modo particolare perché raccontano una maniera "altra", diversa, di affrontare il Parkinson.
     Claudia è prima di tutto sincera, dannatamente e dolorosamente sincera. Con se stessa e, di conseguenza, con gli altri. La malattia toglie colore (e calore) alla vita, la ingrigisce, la limita, intacca i rapporti familiari, allontana gli amici (i "cosiddetti" sani). Sembra o sembrerebbe fare terra bruciata di ciò che ognuno di noi è stato. 
      La diagnosi devasta, fa crollare a terra anche i più forti; poi, però, traballando (chi più, chi meno) ci  si rialza e si reagisce. Come? Sostanzialmente in due modi: o negando la realtà, con l'assurda pretesa di vivere come "prima", o consentendo che la malattia ci sommerga, senza opporre resistenza. 
      Claudia, attraverso la metafora dei colori, non finge, chiudendo gli occhi, di continuare a vedere il rosso là dove il nero regna sovrano, ma nemmeno si rassegna all'oscurità, a quel nero devastante: combatte, pensa, riconquista brandelli di terreno perso, cerca contatti, alimenta confronti e sulla tavolozza della sua vita.... riappaiono i colori. Sfumati, sbiaditi, mischiati, ma di nuovo presenti.
     Il Parkinson non le ha "migliorato" la vita, è riuscito solo a fargliela amare di più, e a regalarle quello sguardo attento che permette a chi ha molto sofferto di cogliere con immediatezza la sofferenza altrui. Con quello stesso sguardo si è "vista" , a differenza di chi si è solo guardato, ha scisso i bisogni dai desideri, e ha ricominciato a vivere, con quella fatica che tutti noi malati conosciamo, ma anche con quel coraggio che non tutti possediamo.
     Il coraggio è qualità caratteriale, ci si nasce e in pillole non esiste. Purtroppo. Ma Claudia passa poi al "sociale": alle strutture che non esistono, alla solitudine del malato, alla mancanza di ascolto da parte dei medici, all'inesistenza di una collaborazione fattiva tra neurologo e medico di base... Insomma, a quella miriade di "bisogni" che fanno di noi parkinsoniani degli extraterrestri. Tutti pensiamo che si dovrebbe fare qualcosa, 
    Claudia non si limita a pensare: lei FA!
    E noi?

martedì 20 agosto 2013

Donne e ironia

Leggo un blog, seguitissimo. E' un diario, scritto da una donna, che tratteggia con ironica ferocia il tran, tran di una vita familiare dove nulla di ciò che deve esserci manca. Ci sono tre figli, un marito (perso tra libri e sogni, ché a lui "spetta" cambiare il mondo), e una moglie/mamma giornalista  (non scrive di moda o shopping ma di finanza) che, un po' per gioco e un po' per non morire, ha cominciato a descrivere il suo vissuto quotidiano in un blog.
Una donna con tre figli, un lavoro (impegnativo), un marito che appare e scompare come le acque carsiche, domiciliata a Milano (la residenza è in posti diversi, non dimentichiamo che il mondo è grande, globalizzato e in una manciata di ore si arriva a New York come in Giappone),  deve essere non brava, bravissima, per riuscire a farcela... Ma quanto più è brava, colta e intelligente, tanto più coglie l'ambiguità profonda del suo potere. Non può non coglierla e... non può non starci male e paradossalmente bene, benissimo.
Può scegliere tra la lagna e l'ironia. Lei, Claudia, sceglie l'ironia e fa centro. Il suo blog, nel giro di pochissimo tempo, decolla... Lei è veramente brava, scrive due libri (che non ho letto e non posso giudicare) di successo. Com'è facile intuire non trattano di finanza...
Ieri, ho passato il pomeriggio a leggerla e a ridere. Di gusto. Dopo un po' però nelle mie risate ho avvertito una punta di amarezza, una malinconia che, ostinata, tentava d'insinuarsi. L'ironia è un modo educato, intelligente, urticante ma non pericoloso, di nascondere il dolore. E la rabbia che a quel dolore dà vita.
Le donne, ancora tante nonostante la crisi,  che ogni giorno con incredibile forza, con tanta fatica, con molta intelligenza, si spezzano e si ricompongono, passando da un ruolo a un altro, conoscono le incertezze, i dubbi, i sensi di colpa che queste vite si portano appresso. Non tutte ce la fanno, alcune crollano, lasciano il lavoro, rinunciano alla maternità, vanno in analisi, mentre altre, invidiose, osservano le vincenti: quelle che riescono a fare tutto, a cambiare registro con immediatezza (due minuti prima, sul lavoro, professionali ed efficienti a valutare "razionalmente", due minuti dopo a infornare una torta di compleanno, condita  d'amore) mantenendo sul volto "quel" sorriso. Perfetto.
Quando una situazione non puoi cambiarla te la fai piacere. E' su questo che si basa, in fondo, il masochismo femminile. Il cambiamento, auspicato a parole, è doloroso, pieno d'insidie, pericoloso e, in ultima analisi, difficile da realizzare. Tanto vale adattarsi, riuscire a cambiare registro, sgusciare, scivolare, farsi strada con il sorriso e l'ironia. Claudia si è posta il problema - è troppo intelligente per non farlo - ma ha deciso che stiamo vivendo una fase di transizione, che tutto andrà a posto. Prima o poi. Automaticamente.
Non nascondo che mi sarebbe piaciuto vederla usare la sua sapiente, graffiante ironia applicandola non solo a quel micro mondo degli affetti che è la famiglia, ma alla finanza, a questo mondo tipicamente maschile che lei ha scelto di frequentare per lavoro e nel quale penso sia assolutamente professionale. O sbaglio?
In questa società, che non è a misura di bambino, anziano, malato e - ripeto - donna, adattarsi è giusto o è soltanto vincente?
L'ironia che pervade questo mondo virtuale, al di là della sua indubbia piacevolezza accende la rabbia, che è alla base dell'indignazione, o l'annacqua, spegnendola? So, ho capito tutto, ma protesto con misura, con stile; insomma mi adatto. E nemmeno mugugnando, sorridendo. Non è forse un po' troppo?

venerdì 16 agosto 2013

Donne

Quante donne  spente dall'obbedienza e dal silenzio come mozziconi di sigaretta nell'acqua torbida di una pozzanghera! - pensò, passando energicamente lo straccio sul bancone del bar. Donne che, evocate dalla memoria, le sfilavano davanti agli occhi.  A partire dalle sorelle di suo padre... Le aveva mai sentite urlare? Urlare?, Dio ci guardi, nemmeno alzare la voce. E le zie acquisite? Anche loro mute, ad esclusione di quel cinguettio infantile - da bambine inchiodate all'infanzia -  che accompagnava la cerimonia del tè o le prove di un abito nuovo dalla sarta. Balbettii che s'incrociavano con quelli dei figli bambini, imitandoli. No, lei no, lei era nata diversa, forse a causa di quel sangue nuovo, scuro e forte, sangue africano, che le scorreva nelle vene, quel sangue che, mescolandosi a quello del padre, anemico e chiaro come la sua pelle macchiata da efelidi appena più scure e percorsa da una peluria rossastra, aveva fatto di lei una mulatta. Altera, dritta come un fuso, del colore di una castagna matura, i capelli ricci ma chiari, quasi un'aureola luminosa a incorniciare il volto di una santa. Suo padre l'aveva amata, anche se non aveva sposato sua madre, licenziata in tutta fretta appena le suo forme, arrotondandosi, avevano creato, in casa dell'avvocato, i primi sospetti. E così lei era nata in Svizzera e non era stata riconosciuta, ma il padre, fino a quando era vissuto, aveva provveduto a lei e alla madre. Poi c'era stato l'incidente; in quella notte di pioggia il telefono aveva squillato a lungo... Dopo il funerale baci, abbracci, ma soltanto per ritrovare in lei una traccia, anche se labile, del fratello, del figlio scomparso e calmare, chetare rimorsi tardivi e dolorosi.
Sua madre era tornata a vivere nella casa dell'avvocato, portandosela dietro e ricominciando a fare quello che aveva sempre fatto: la serva. Quando andava  a fare la spesa, la figlia per mano, la gente del quartiere al loro passaggio mormorava, sussurrava... Nei loro occhi curiosi affiorava una domanda: quella mulatta da dove veniva?, ma la famiglia era potente e la gente si limitava a chiacchierare a voce bassa, senza farsi sentire.
Lei, regina senza corona in una casa estranea, viziata e coccolata ma mai accettata, aveva dimostrato da subito di avere un carattere forte, indomito, e un'intelligenza particolare che le dava la capacità si apprendere qualunque nozione senza fatica. Seduta sulle ginocchia dello zio notaio o dello zio avvocato, il  più conosciuto della città, era cresciuta tra codici, leggi, cause, sentenze e ricorsi. Non l'avevano fatta studiare, ma lei, con quella cultura giuridica appresa per osmosi, crescendo era diventata un punto di riferimento per le donne del quartiere.
Faceva quel lavoro, la barista, nonostante le proteste della famiglia, proprio per incontrarle..., e quelle donne, mute come pesci, con lei si aprivano, prendevano coscienza dei loro problemi, e la ribellione, che anticipa il coraggio di cambiare, si accendeva nei loro sguardi, prendeva forza... Qualcuna si era sottratta alle botte, alle minacce e alle ingiurie. Lei, come poteva, spesso ricorrendo alle conoscenze dei professionisti di famiglia, era riuscita ad aiutarne alcune, a dare un tetto a qualcuna.
Una di loro, badante presso un anziano imprenditore che, dopo alcuni anni, l'aveva sposata, aveva ereditato, alla morte del marito, una cospicua fortuna. Ora, le dava una mano, aprendo la sua casa, a qualsiasi ora del giorno o della notte,  a donne con qualche livido di troppo che, spesso, stringevano tra le braccia o tenevano per mano bambini terrorizzati come uccellini presi a fucilate.     
(continua...)

domenica 11 agosto 2013

L'amore è come il colera?





Ho appena finito di rileggere "L'amore ai tempi del colera" di Marquez e sono ancora immersa in questa storia che raccontata dal protagonista ormai vecchio, ripercorre passo dopo passo la strada di una vita, la sua, dominata non dall'amore ma da "un amore" assolutamente unico, non per forza e intensità, caratteristiche che sono proprie di questo sentimento, ma per durata. Sappiamo che la passione quando si accende, divora tutto al suo passaggio come un incendio, ma sappiamo anche che basta una pioggia a spegnerla… Ma per Florentino Ariza non è così: davanti ai suoi stanchi occhi di vecchio, passa tutta la sua vita. Senza infingimenti, senza falsi pudori Marquez non solo parla di quella malattia  atroce che è la vecchiaia, ma concentra la sua attenzione su quello che è ancora un tabù: la sessualità tra… anziani, sì perché un vecchio può amare, ma solo un anziano desidera. Anziano è vocabolo usato in biologia, psichiatria, sociologia, medicina, anziano non evoca certamente il letto, se non collegato alla malattia.
Due vecchi che camminano esitanti per strada tenendosi per mano suscitano tenerezza, ma se li vedessimo baciarsi contro il muro di una casa o se, e non soltanto nei loro appassiti occhi, dovesse accendersi l'incendio della passione?
Conoscendone la forza, la società ha sempre cercato d'ingabbiare il desiderio. Per fare l'amore si è sempre o troppo giovani o troppo vecchi, o sposati, o fidanzati, o "non si può cambiare uomo come si cambia vestito" o "per una sera soltanto è da sgualdrine" o subito al primo incontro non è "serio"…
La chiesa, conclamata guardiana del costume, stabilisce "uno (marito o moglie) e per sempre, finché morte non vi divida" e ai propri (suore e preti) vieta il matrimonio. Sarà anche a causa di questo divieto, tassativo, che codesta istituzione si è preservata, ancora pimpante, a dispetto dei suoi duemila anni di storia?
Marquez, temerario ma accorto, si addentra in questo terreno minato e lo percorre con il sorriso sulle labbra, ridendo ma mai deridendo e, soprattutto, intuendo una nuova problematica: che senso ha allungare la vita creando, grazie alla scienza, una nuova stagione, una sorta di limbo, sempre più ampio, in cui non si lavora, non si ama, non si fanno figli… Si vegeta, in appartamenti troppo grandi, troppo ordinati, troppo vuoti, parcheggiati davanti a uno schermo televisivo, agli ordini di una badante, in attesa della morte?
La vitalità caraibica di Marquez alita sentimenti, emozioni, sesso, restituendo Vita, quella vera, a questa coppia, Fermina e Florentino, che protetta dalla bandiera gialla del colera (è la voglia di vivere, il sesso tra vecchi forse meno pericoloso del colera?) si gode un'incredibile, tenera, appassionata luna di miele. Tra vecchi. 

sabato 10 agosto 2013

L'estate furoreggia...

Nella casa libri. Dappertutto. E silenzio, e la sensazione di aver parlato a sufficienza. Ogni nuova parola sarebbe solamente una ripetizione monotona e stantia. Repetita iuvant, ma sua nonna Angelina diceva sempre che «Non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire»… E così, quasi senza rendersene conto ha smesso di parlare. Pochi se ne sono accorti: la gente non ascolta, si ascolta.
E' tornata alla narrativa, a quel suo mondo fatto di fantasia che le dà conforto. Ha ripreso in mano libri già letti provando nella rilettura un piacere più intenso, fine a se stesso, quasi il tempo avesse placato quella sua avidità di conoscenza, quel bisogno di ottenere risposte.
Anche alla solitudine si è abituata: alla comodità, all'assoluta libertà che le concede. Ha ripristinato il letto a due piazze: è stato come passare da una seggiola a un trono. Su quel letto mangia, legge, scrive, lavora all'uncinetto e, naturalmente, dorme. Ma, come la sua gatta, alle ore più disparate: con la testa sulla pagina di un libro che stava leggendo o tra briciole di pane e appunti, senza essere interrotta o disturbata da nessuno, svegliandosi alle prime ore del mattino per spiare, dopo essere uscita in tuta, nella notte che sbiadisce, l'arrivo del giorno, seduta su un muretto, le colline che prendono forma, i campi che il sole inonda. Lo fa soprattutto d'estate.
Panettiere e giornalaio per primi alzano la serranda e il profumo dei  croissant e dei giornali appena sfornati invade la strada. Qualche cane, trascinandosi dietro arruffati padroni dagli occhi gonfi di sonno, spisciotta sulle aiuole fiorite. Le prime imposte si aprono, le prime macchine aggrediscono l'asfalto. Un pianto di bambino, una radio che si accende, una donna alla finestra, la camicia da notte che le incornicia le spalle. Affiorano ricordi…
L'estate furoreggia e… muore. Comincia a morire. Nella calura si colgono presagi d'inverno, sapore di brume, di gelo.
Un'altra estate alle spalle, un inverno davanti. L'autunno, ormai desaparecido a livello climatico, vive nel ricordo, come prospettiva è incerto al pari di un miraggio nel deserto.
Non è tempo di mezze misure, non questo in cui viviamo

lunedì 29 luglio 2013

Come a Vienna nel '14...

Spalanco la finestra(quella che dà sul cortile orfano dei pini) e mi aggredisce un cielo grigio: il sole nascosto sotto strati di nuvole in corsa… Un borbottio di tuono in lontananza? No, sono solo i miei sensi che danno un contentino ai bisogni che avverto. Le jour où la pluie viendra, nous serons, toi et moi…  Becaud cantava, con me, con lui…
I ricordi chiari, nitidi  narrano una storia ben nota: li ho selezionati con cura perché la supportassero. Ogni tanto ne irrompe uno, a tradimento, scompiglia le carte, crea angoscia: quella che la verità, tanto invocata a parole, scatena in ognuno di noi.
Sto rileggendo L'amore ai tempi del colera di Marquez (l'accento giusto sulla a non so dove trovarlo). L'avevo letto quando la vecchiaia era soltanto un rischio lontano, vago - sul quale scherzare -  non un nemico con il quale combattere ogni giorno ben conscia dell'inevitabile sconfitta.
Nell'Emilia rossa si accendono i fuochi estivi delle Feste dell'Unità, sui tavoli gira, come sempre, la torta fritta con i salumi, i compagni si abbracciano, si balla il lissio… 
Come a Vienna nel '14, come sul Titanic, aperto come una scatoletta di tonno da un iceberg, si affronta l'abisso a passo di danza…

giovedì 25 luglio 2013

La sonorità del silenzio.

Il silenzio. La sonorità del silenzio.

mercoledì 24 luglio 2013

Al cinema in una sera d'agosto

Mi vedo La grande bellezza di Sorrentino in un cinema dalle poltrone scomode (soprattutto per la mia disgraziata schiena). Alle mie spalle due donne attaccano a ridere fin dall'inizio e non la smettono.  Servillo come Fantozzi... Intanto sullo schermo si succedono le immagini di una città, Roma, bellissima già di suo e che l'abilità di chi usa con maestria la macchina da presa rende, se possibile, ancora più bella. Il film non ha storia: si limita a farci vedere,  attraverso lo sguardo, acutissimo ma disincantato, cinico, del protagonista, giornalista, scrittore consacrato da un unico libro promettente scritto in gioventù, lo scorrere dei giorni ripetitivi, fasulli, vuoti di una società, ricca e... guasta. Votata non al piacere, non all'eleganza, non alla ricerca di una forma qual si voglia di senso della vita, ma all'imitazione (mal riuscita) di tutto ciò. Si parla, ma non si comunica, si beve - quel tanto - si fa l'amore, sfiorando freddi e disincantati un sesso da obitorio...
Nulla più stupisce, né potrebbe farlo, anche la povertà è un modo di mettersi in mostra - magari per uno scopo nobile, la raccolta di fondi per i poveri - perché anche la povertà, come tutte le recite, reclama un pubblico e il suo plauso.
Bravissimi gli attori, ottima la colonna sonora, splendide le inquadrature, volutamente, a tratti, incomprensibile e slegato il dialogo, necessario a sommergere in un mare di bla bla bla quel poco o tanto di vero che il mondo racchiude, il film mi lascia addosso un senso d'incompletezza.
Cosa manca? La fantasia, capace di far decollare una storia, la passione (e la compassione), il senso di un futuro. La grande bellezza fa già parte dei ricordi, è passata, il presente non la vuole, il futuro l'avrà ormai già dimenticata. E' questo il messaggio che Sorrentino ci manda?

martedì 23 luglio 2013

Agosto

Seguo l'arco rovente
dei giorni d'agosto

non vivo
appassisco
...

mercoledì 17 luglio 2013

D'amore non si muore, di rabbia sì

Concita De Gregorio ha scritto Io vi maledico, un libro sulla rabbia, sulle radici di questo sentimento.
Ha cercato gli "arrabbiati" di questo nostro Paese, ha parlato con loro, li ha ascoltati, soprattutto. Ne ha trovati tanti. Troppi. Un Paese inferocito.
Sentimento complesso la rabbia. Sentimento la cui manifestazione si differenzia, nettamente, per genere. Un uomo che allunga un pugno su un muro accompagnandolo con una bestemmia, può incutere paura, ma non provoca il riso. E' considerata, a livello sociale, un'espressione - un  po' criticabile - di virilità. La rabbia manifestata da una donna è tutta un'altra cosa. Alle donne viene insegnato, e l'addestramento inizia nell'infanzia, a non manifestare la rabbia, a controllarla. Le donne della mia generazione sono state educate cosi; poi è arrivato il '68 e la rabbia è venuta a galla... Non sapevamo nemmeno di essere arrabbiate, pensavamo che quel malessere più o meno profondo che ci sentivamo addosso fosse malinconia, delusione, tristezza o, nei casi più gravi, depressione. Il medico di famiglia ci spiegava che la depressione era una tristezza profonda ma non motivata. E così alla depressione si aggiungeva il senso di colpa, la sensazione di essere delle "donnette", instabili "per natura", un po' invidiose. Perfino del pene.
La rabbia è un sentimento forte che induce alla ribellione, e per questo motivo fa paura. Soffocata, ingoiata, non espressa, avvelena anima e corpo, come e peggio di un rifiuto tossico. La depressione femminile si alimentava, e si alimenta, di rabbia, di sacrosanta, comprensibile rabbia. La rabbia dei più deboli, di chi è o si sente impotente, di  chi è costretto a subire. Quando esplode è contagiosa. Scatta, violenta, davanti all'ingiustizia.
E' il sentimento che ci fa capire che la nostra capacità di sopportazione è esaurita. Se scoppia per motivi apparentemente banali, forse non abbiamo indagato abbastanza sui motivi, sulle radici della rabbia; quando sfocia in tragedia può rassicurarci definirla rabbia, ma potrebbe essere vendetta, punizione... Un amante deluso non uccide per rabbia, alla base del fenomeno atroce del femminicidio c'è ben altro.
Se e quando si evolve in indignazione si nobilita, diventa sentimento civile, adulto.
Forse è questo il salto di qualità che, nel nostro Paese, la rabbia deve ancora compiere. 
Forse...



domenica 14 luglio 2013

Gregor Samsa, amico fraterno

Vivere con una malattia grave è come convivere con un gemello siamese: legati a doppio filo. Non l'abbiamo deciso noi, una mattina ci siamo svegliati così, come Gregor Samsa. Attaccati a questo nostro doppio mostruoso, sconosciuto, che si è insediato nel corpo, nel cervello e nell'anima a nostra insaputa. Da quello che dicono i medici era lì da un bel po', il bastardo, acquattato nell'ombra dava soltanto qualche segnale della sua presenza, ma vago, ambiguo. Da quel momento come Gregor Samsa siamo passati attraverso tutto l'arcobaleno delle emozioni: incredulità, paura, rabbia... vergogna. Vergogna? Come se fosse responsabilità nostra - i cattolici direbbero colpa - esserci ammalati. Qualcuno dei familiari o amici lo ipotizza: hai fatto qualcosa di troppo: mangiato troppo o troppo male, ad esempio. No! Fumato, bevuto? Nemmeno! Hai lavorato troppo? Mica. Be' allora, bella mia, sei proprio sfigata. Troppo sfigata, naturalmente. A questo punto non è escluso che si possa anche ridere. Istericamente, magari, ma ridere. Dice - chi non ce l'ha - che una malattia di questo tipo faccia capire la complessa alchimia della vita, sulla quale ci siamo spremuti le meningi per decenni, in un nanosecondo ed è vero, ma, mi soccorra nuovamente la saggezza ebraica o i proverbi di mia nonna, si sa che la vita dura fa l'uomo forte (anche la donna?) ma io, se me l'avessero chiesto, mi sarei tenuta bene stretta la mia fragilità.
Qualcuno "fa finta di essere sano", finzione che si rivela pesantissima da reggere perché la malattia non può non insinuarsi in tutto ciò che fai, condizionando il tuo umore, agguantandoti stretto quando cambia una stagione, facendoti tremare all'idea che la prossima (stagione) sarà, probabilmente, peggiore di quella che l'ha preceduta.
Quel gemello siamese che occhieggia sghembo tutto ciò che fai è troppo invadente e presente per ignorarlo: tanto vale presentarlo a chi ancora non lo conosce, presentarlo per quel terzo incomodo che è e conviverci sapendo che quella che sei non può né potrà più prescindere da lui.

venerdì 12 luglio 2013

Malala

Come Nelson  Mandela, come Martin Luther King, come altri che non dimenticherò mai, Malala, questa ragazzina dagli occhi grandi e profondi, neri come la notte, ha conosciuto la paura, ha conosciuto il dolore ma ha scelto il coraggio. L'ho sentita parlare all'Assemblea dell'Onu, un discorso senza fronzoli, senza odio, senza retorica. Con voce ferma, pacata ha detto: "Non mi faranno tacere... " E' una dichiarazione di guerra, ma senza fanfara o squilli di tromba. E' pronta a ricominciare. Chiede di avere accesso a ciò che ritiene un diritto, suo e di tutte le donne, l'istruzione. Come un uomo.
I talebani hanno cercato di fermarla sparandole alla testa. Hanno sbagliato persona: quella ragazzina non è pane per i loro denti... Uccide chi non ha autorevolezza, cultura, passione e, ripeto, coraggio. La violenza è l'arma dei vigliacchi. Molte donne che l'avevano ascoltata in silenzio, dopo quelle pallottole hanno alzato  la testa, hanno scelto la ribellione... Lei non ha avuto parole di odio per chi ha tentato di ucciderla. Le persone speciali in questo si somigliano: sono invase dal coraggio (di avere paura) come spiagge dalla marea; ucciderle o tentare di farlo, non è solo inutile, è stupido: serve solo a far traboccare quel coraggio, a farlo scorrere come sangue vivo per villaggi e città, a centuplicarlo... Come i pani e i pesci di cristiana memoria.

giovedì 11 luglio 2013

Trieste, Trst, Trieszt, Triest...

Trieste è una città particolare della quale è facile parlare aderendo al cliché: il mare in primis, poi il Carso e, a ruota, le mule triestine lunghe di gamba e di lingua, il centro di Fisica... e via discorrendo, per concludere, mi sembra scontato, con la bora che soffia più o meno impetuosa sulla città che profuma di Mittteleuropa come un caffè viennese di Sachertorte. 
Io ne ho parlato spesso e, avendola lasciata a poco più di trent'anni, è abbastanza scontato che ne conservi  un'immagine legata, intrecciata a doppio filo, ai ricordi della mia giovinezza. In realtà, questa bellissima città,, perché sulla bellezza dei luoghi non si può non essere d'accordo anche dopo tanti anni - il Carso alle spalle,  il mare davanti, in cui si specchia e rispecchia vanitosa - se non dorme sugli allori (come una  Bella addormentata nel bosco) certo sonnecchia, alternando occhiate compiaciute a un'immagine di sé, che la soddisfa, a garbati sorrisi  (evitiamo la scontrosa grazia che le ha attribuito uno dei suoi illustri figli) con i quali ricambia i complimenti che le vengono indirizzati.
E' città che non sa volgere lo sguardo al futuro preferendo vivere di passato, di ricordi, come si può desumere, anche da esempi banali, scorrendo ad esempio la posta dei lettori, fatta pervenire al Piccolo - il quotidiano più letto in città -, e scoprendo che dietro a un "foresto" non si nasconde un marocchino o un polacco o un cinese (come sarebbe ovvio ipotizzare in qualunque altra città italiana) bensì un istriano, uno dei discendenti di quell'ondata di profughi che alla fine della guerra abbandonò l'Istria temendo le rappresaglie degli slavi e che è, a tutti gli effetti, un italiano. Di leggermente diverso avrà forse il dialetto, più simile al veneziano, poiché la Serenissima dominò per secoli sull'Istria e sulla Dalmazia, ma non altro, eppure... eppure la città è ancora lì a considerare i friulani i cugini di campagna, gli sloveni "i s'ciavi" e Roma "un po' ladrona", poiché non dobbiamo dimenticare che la prima forma di "leghismo" nell'Italia settentrionale vide la luce a Trieste con il "Melone", lista autonoma che coagulò il consenso attorno a un programma comune incentrato sul rilancio della città, con l'ambizioso obiettivo di riportarla all'antico splendore. Come la rivale Venezia, si considera città dal passato imponente, ma la sua storia ci rivela che non molto ebbe a che vedere con la raffinatissima nobiltà veneziana, i suoi cicisbei, la musica di Benedetto Marcello, Vivaldi e Albinoni  (tanto per citarne alcuni) che nei palazzi lungo il Canal Grande, tra parrucche incipriate e dame invitanti che occhieggiavano dietro ai ventagli, riempiva di sonorità aggraziate  i salotti dove si ballava il minuetto e si discuteva dell'ultima commedia di Goldoni mentre, appena più in là,  l'Arsenale sfornava navi a getto continuo, come un forno biscotti, e nel Senato veneziano la più ricca, raffinata e incredibile tra le "Repubbliche marinare" faceva esercizio di democrazia.
Diversa storia vanta Trieste che si sviluppò soprattutto come città mercantile, quando Carlo VI -  padre di Maria Teresa d'Austria che ne avrebbe continuato la politica - avendo deciso di farne lo sbocco sul mare dell'Impero le attribuì la qualifica di porto franco, aprendo la strada allo sviluppo di una solida economia basata sul porto e i commerci. 
La città decollò e la  sua popolazione aumentò notevolmente assumendo caratteristiche di cosmopolitismo di cui oggi non sembra aver conservato che poche tracce. Attratti dalla possibilità di trovare lavoro, approdarono a Trieste in ondate successive greci, sloveni, serbi, macedoni, oltre ai burocrati austriaci, selezionati accuratamente a Vienna, e mandati a gestire una delle province più turbolente del'impero. Incalzati dai pogrom russi ma rassicurati dalla tolleranza dimostrata dalla città nei confronti delle diverse etnie andarono ad arricchire la comunità ebraica, già numerosa ma formata soprattutto da ebrei sefarditi, gli ebrei askenaziti provenienti dall'Europa orientale, la componente più colta e ironica del mondo ebraico. Mi chiedo se i gruppi etnici che ancora vi convivono si siano mai fusi. Nonostante le tante bandiere e i molti cimiteri, sono state più numerose le triestine che hanno sposato soldati americani che quelle che hanno contratto matrimonio con uno slavo. La città mitteleuropea crogiolo di razze apparterrebbe dunque al cliché? Direi di sì, perché, se ripenso agli anni vissuti a Trieste, odo un mormorio stizzito, avverto il sapore di rancori ancora vivi, sento serpeggiare la diffidenza. Le ferite aperte dalla guerra, quei quaranta giorni con i neozelandesi fermi alle porte della città stremata, in attesa, fanno ancora male. Cosa avvenne in quei giorni? I soldati di Tito fecero piazza pulita delle ultime sacche di resistenza nazifascista. Non solo. La contabilità della guerra esigeva che si quadrassero i conti? E questo avvenne e il Carso diventò famoso in tutto il Paese per le sue foibe. Il comandante tedesco della città, insediatosi dopo che la Germania aveva istituito la Adriatischen Kustenland un rapporto inviato al fuhrer accenna alle molte delazioni che permisero ai tedeschi d'imprigionare partigiani italiani e sloveni e catturare cittadini ebrei, molti dei quali finirono gasati nella Risiera triestina, l'unico forno crematorio che funzionò nel nostro Paese.
Questa è storia di cui ho sentito narrare da chi la visse in prima persona e ancora ricordo le discussioni accesissime sulle foibe che scoppiavano a casa di mia nonna, quando ci si riuniva per le festività natalizie o pasquali. Noi bambini venivamo spediti a giocare nelle altre stanze mentre le voci salivano d'intensità, fino a quando, più grande, chiesi e ottenni il permesso di ascoltare e fare domande. Quelle delazioni pesano ancora e forse ancora i sopravvissuti cercano, frugando nel passato alla ricerca dei responsabili e delle loro colpe. Quanto di ciò che avvenne è da attribuirsi alla guerra e quanto è riconducibile a una responsabilità non collettiva, ma personale? Personalmente non credo che possa emergere, in circostanze eccezionali, se non ciò che siamo, e io odio la guerra proprio perché legittima ciò che la pace ci obbliga a censurare: la bestia che è in ognuno di noi. "Cità de fasisti" urlava mio padre, concludendo iroso "e de botegheri". Niente a che vedere con la nobiltà veneziana intenta ballare il minuetto, a Trieste la borghesia  nascente si scatenò nella ciga, e quando si consolidò assunse quelle caratteristiche di solidità, ricchezza e moderazione che caratterizzano questa classe sociale Quelle discussioni, così intense e appassionate mi fecero capire che appartenevo alla gente di frontiera: confini reali, quelli che passano tra le case e tagliano i cimiteri, ma anche confini immaginari, limiti che  avrebbero sempre marcato in me, confondendoli, territori della realtà e della fantasia. Vivere a ridosso di un confine segna, inevitabilmente, ma abitua al confronto con "il diverso" che sta al di là del "muro", allena all'insicurezza perché è costante la paura dello scontro e, contemporaneamente, invita a violare il divieto e, quindi, un po' tutti i divieti. Dà una sensazione di provvisorietà che invita a godere il presente, non incita al cambiamento, arpiona al passato, ai rimpianti, alla malinconia che il pudore colora d'ironia, la caustica ironia dei triestini...
Magris la chiamerà, identificandone i tratti, "identità di frontiera" a legittimazione di una diversità innegabile, orgogliosa e mai  priva di un briciolo di follia.

mercoledì 10 luglio 2013

Sostituire la clava con gli F-35

La crisi, quando è profonda come quella che stiamo vivendo, non è solo interruzione di un processo di crescita economica della società, è crisi degli uomini (e delle donne) che di quella società sono l'elemento fondante. Quanti litigi, quante discussioni con i miei figli, quante ore, anche a scuola, passate a parlare di "etica degli affari".
"Il mondo è cambiato, mamma " mi dicevano.
"Siamo andati sulla luna, mamma" e sorridevano...
Ormai non litigavamo più. 
Berlusconi e la sua corte facevano strame del Paese.
Io aspettavo il botto, sapevo che sarebbe arrivato.
Peggioravano gli indicatori economici ma, intorno a me, peggiorava la "gente"...
Piazze strapiene per i concerti, vuote per i comizi.
Case senza libri.
Case senza culle.
Tanta tecnologia che allargava il mondo 
a dimostrare che spazio e tempo erano diventati concetti astratti.
Ma l'orologio biologico scattava a ogni secondo
e la fertilità non è faccenda virtuale.
"E' cambiata la comunicazione, mamma"
Ogni giorno un uomo ammazza una donna "per amore".
Sostituire la clava con gli F-35
è Progresso  
Sviluppo
o
soltanto aumento
di spese militari?

lunedì 8 luglio 2013

Per fare un tavolo ci vuole il legno...

"Per fare un tavolo ci vuole il legno, per fare il legno ci vuole l'albero… " cantavo ai miei figli bambini e, se non ricordo male, risalendo di passaggio in passaggio, finivo per arrivare a una sorta di punto di partenza: un fiore. Non era però rappresentativo soltanto di una bellezza narcisistica avvitata su se stessa e quindi inutile, era anche fonte di utilità, funzionalità. Penso che una canzone possa far parte, a pieno titolo, di un percorso educativo/formativo.
Proviamo allora partendo dalla crisi a risalire…
Se per fare un albero ci vuole il legno, per "fare" una crisi come quella che stiamo vivendo ci vogliono più elementi: finanza "allegra", mercati non regolamentati, deficit e Debiti pubblici molto elevati, imprenditori (nell'economia reale) che abbiano preso a modello Marchionne, non certo Schumpeter, e lavoratori (o nuovi schiavi?) disposti a prestare la loro opera per dodici ore al giorno accontentandosi di stipendi da fame. E poi c'è voluta l'Europa e, naturalmente, l'euro e la Bce (l'unica Banca centrale abilitata a emettere moneta), ma anche una Germania virtuosa, non trascurando le economie emergenti, quelle con incrementi del prodotto interno lordo a  due cifre (Cina, Brasile, India ecc.), nonché, ciliegina sulla torta, per propagare il contagio della crisi a tutto l'Occidente, la globalizzazione.
La Finanza, anche quella seria, è nata nelle banche d'investimento, non in quelle che erogavano il credito al consumo e alle imprese, operando con regole tecniche e normative poste a tutela del risparmiatore. Rischi minori, guadagni contenuti.
Cosa produceva materialmente? Nulla, non a caso la finanza è stata chiamata "economia di carta". Ma i banchieri si accorsero che eliminando le leggi esistenti e creando sofisticati e nuovi prodotti finanziari (i derivati), in grado di consentire scommesse su ogni rischio, non ci sarebbero stati più limiti ai guadagni... Però nemmeno ai rischi.
Fu sufficiente che il mercato immobiliare Usa arrestasse la sua corsa al rialzo e che qualcuno non pagasse alla scadenza la rata del mutuo, stipulato per finanziare l'acquisto della casa, per provocare il… disastro, quello che poi si rivelò essere solo  l'inizio del disastro. Le grandi banche d'affari (sporchi, molto sporchi) mostrarono tutta la loro fragilità. Alcune fallirono, altre furono salvate a spese del Bilancio federale Usa con l'intervento della Fed.
Crollò il mercato immobiliare, salì la disoccupazione e la crisi si propagò all'Europa. I "derivati" da  prodotti innovativi diventarono prodotti "tossici" mettendo in crisi tutto il sistema bancario. Reperire capitali sul mercato diventò un problema per i privati e per lo Stato. Le agenzie di rating declassarono i Paesi, come il nostro, più esposti sotto il profilo del Debito pubblico. I tassi d'interesse cominciarono a salire, differenziandosi (spread) a seconda del "rischio Paese".
E per "fare" la finanza allegra, deregolamentare i mercati e ben guardarsi dal regolamentare i prodotti derivati, cosa ci volle? L'assenso della classe politica. E per ottenere tale assenso, in netto contrasto con gli interessi dei cittadini? La corruzione.
Ora qualche responsabilità comincia a delinearsi.
Ricordate nel 2001 l'introduzione  dell'euro? Politici ed economisti - Prodi in testa - a spiegare a noi poveri grulli che mai più avremmo subito fenomeni inflattivi, che l'Europa ci avrebbe difeso, tutelato... Ci ritrovammo invece con stipendi e pensioni dimezzati in termini di potere d'acquisto e "patrimoni" raddoppiati. L'euro, moneta nuova di pacca, riproponeva le vecchie ingiustizie? Problemi di poco conto, aggiustamenti iniziali dovuti al processo d'integrazione europea appena avviato - ci dissero, e noi ci cascammo come idioti.
E per "fare" quel Debito pubblico, una voragine sempre più profonda che inghiottiva la ricchezza del Paese, asservendoci ai giochi(?) della speculazione e all'andamento dei tassi d'interesse, cosa ci volle, se non un uso di nuovo "allegro" del pubblico denaro.Elargito a piene mani a una "casta" di politici corrotti, litigiosi e sostanzialmente incapaci di gestire il Paese. Il sistema, quell'intreccio di tangenti, affari e malaffare scoperchiato dall'inchiesta giudiziaria "Mani Pulite" , non solo non venne estirpato, cancellato ed eliminato, ma negli anni successivi fu perfezionato  facendo della corruzione (di nuovo la corruzione) il suo punto di forza.
Intanto l'Europa, realtà unitaria soltanto sotto l'aspetto monetario, si dotava di organi normativi, consultivi e di controllo che si rivelarono costosi, misteriosi e sempre più lontani dalla "gente". Creata la Banca centrale europea, si decise che sarebbe stata l'unica abilitata a emettere moneta. Chi lo decise? La Germania che, memore di Weimar, fece prevalere l'istanza della difesa del potere d'acquisto dell'euro rispetto a quella dello sviluppo economico. 
Mentre l'America salvava le sue banche emettendo moneta, i paesi europei (come la Spagna, la Grecia, l'Italia  e via dicendo) si trovarono con le mani legate a pietire la carità dell'Europa virtuosa: quella con i conti in ordine, i ministri a fare i ministri e  i comici a calcare le tavole del palcoscenico, non in Parlamento; quella decisa a tenere ben stretti i cordoni della borsa; quella che ci fece firmare il "Patto di stabilità"; quella di cui rischiamo di diventare poco più di una colonia.
Per "fare" la corruzione cosa ci volle? Denaro, un fiume di denaro "sporco" e...una nuova morale.
Una nuova morale per giustificare il furto, consentire di mentire agli elettori, sottrarre redditi al fisco, delocalizzare non per salvare un'azienda, ma per incrementarne i profitti, licenziando migliaia di lavoratori. Tutto in nome del nuovo valore fondante della società: il denaro. Tutto sembra ora franare, crollare… Eppure qualcosa è necessario fare. Fare?! Oh, dimenticavo: è Letta che si è, si sarebbe assunto, questo impegno. Peccato che sul suo cammino incroci sistematicamente (e sì che l'uomo non è certamente un colosso!) l'onnipresente Berlusconi che, braccato dalla Magistratura, è disponibile a togliersi dai piedi a patto che i suoi comportamenti vengano considerati peccati, ma non reati. Ma Montesquieu e la separazione dei poteri? Accantonati o "rottamati" come suggerisce un certo Renzi, comunista non ortodosso; pardon, piddino che dell'ideologia se ne fa un baffo. Lo vogliamo capire che importanti sono gli  obiettivi e i programmi?
Non riesco a essere d'accordo, se la morale cambia è da qui che dovremmo ripartire.
Se la Palma d'oro della responsabilità della crisi deve essere assegnata ai politici corrotti e all'avidità di denaro dei banchieri (ma ci sono altri premi di consolazione da distribuire a una folta platea) la politica sana - ispirata a principi di solidarietà, equità e correttezza - deve ritrovare il suo spazio e gli onesti, i tanti onesti che abitano il Bel Paese, recuperare l'orgoglio di appartenenza a quello spazio.
Mi rendo conto che ho fatto solo un tentativo, non sufficientemente approfondito, di analisi delle cause della crisi in atto e che bisogna fare in fretta, soprattutto nel campo del lavoro, ma senza  considerare prioritaria quella che Berlinguer chiamò "la questione morale"... non vedo soluzioni.

sabato 6 luglio 2013

Tutto ciò che protegge ingabbia

Gregor Samsa aspetta... lo sa che mi schianterò sul dorso.
Lo guardo e sorrido, mentre strappo all'avarizia del tempo, a prezzi da mercato nero, questo ultimo pugno di giorni.
Permetto che l'estate invada la mia casa: di calore, colore, di quella luce che soltanto i pittori riescono ad afferrare, imprigionanola nei loro quadri. La guardo danzare, sapiente, sulle pareti; la luce è femmina non c'è che dire...
Orfana di quei pini che, come corazzieri, hanno protetto il mio ultimo rifugio, mi godo il cielo che mi avevano negato. 
Tutto ciò che protegge ingabbia  - penso.
Assaporo il gusto della mia libertà intessuta di fragilità. Per sognare non si paga dazio: ho voglia di volare, è un azzurro che sembra mare…

domenica 30 giugno 2013

I "grandi vecchi" se ne stanno andando.

Se n'è andata Margherita Hack, si prepara ad andarsene Nelson Mandela... Ricordo un'intervista fatta alla Hack, già anziana, quel suo raccontarsi con grande sincerità e pacatezza. Non deve essere stato facile per una ragazzzina cresciuta all'ombra della retorica fascista  -  il padre licenziato perché non iscritto al Fascio, la madre costretta a farsi carico del mantenimento della famiglia  - fare, in quegli anni, le scelte che lei fece. Parlò, in quella intervista, della sua insegnante di Scienze, suicidatasi in carcere, dopo essere stata allontanata, in quanto ebrea, dalla scuola che lei frequentava; raccontò quelle lezioni all'Università in piena guerra, la tesi fatta sotto le bombe... Ne uscì il ritratto di una bambina molto sola ma anche estremamente decisa e indipendente che non avrebbe fatto figli -  in un mondo di  donne unicamente "fattrici" - ma sarebbe diventata una scienziata e un'antifascista. Non ci sono ragazzini o ragazzine che non abbiano sognato di fare i pompieri, gli astronauti, le esploratrici, scrittrici, attrici, ma la Hack e Mandela hanno saputo trasformare i sogni in progetti riuscendo a realizzarli. La Hack decise che avrebbe studiato le stelle, quelle misteriose stelle dalle quali noi proveniamo, per carpirne i segreti e far  fare al mondo un altro passo avanti sulla strada della conoscenza. E a quel sogno la Hack ha dedicato la vita.
Anche Nelson Mandela aveva in testa - e nel cuore - un sogno: un Sudafrica libero dal razzismo, una terra abitata da bianchi e neri capaci di convivere inseme, in pace e da eguali. Come i gettoni bianchi e neri nel gioco della Dama. A quel sogno, diventato progetto e poi progetto realizzato, Mandela, anche lui, ha dedicato la vita. 
Ho visto parecchie interviste fatte a Mandela: anche lui sorrideva sempre, parlava con grande pacatezza e non sembrava provare rancore. Forse perché il rancore motiva la vendetta e non la giustizia.
"Persone" come queste danno l'impressione di avere fatto solo la scelta normale, giusta, quella che chiunque avrebbe potuto e dovuto fare. La loro vita è una freccia che, scoccata da un arco, va dritta al bersaglio, quel bersaglio che, una volta individuato, non può, né potrebbe più essere cambiato. Confessano gli errori commessi con umiltà, la stessa con cui raccontano i loro successi. Guardano l'interlocutore in faccia, non abbassano lo sguardo, quello sguardo che mostra una punta d'innocenza quasi infantile, un grande amore per la vita e un'intelligenza non solo del cervello ma anche del cuore.
Hanno vissuto come normalità la loro eccezionalità, meravigliandosi - loro! - del nostro stupore.. Senza la loro presenza ci sentiremo un po' più soli...

mercoledì 26 giugno 2013

TANTI AUGURI FRANCESCA!!

La chiamano crisi

In giro banchieri. Troppi. E politici: tanti, ancora tanti. E disoccupati: moltissimi.
Banchieri e politici si trovano in località prestigiose, alloggiano in alberghi di lusso... Cosa fanno? Discutono, elaborano documenti: molto vaghi.
I disoccupati si trovano all'osteria di quartiere, se sono maschi, o dormono fino alle 11 e poi fanno sera, guardando, senza vederla, la tivù. I più incazzati picchiano le mogli, ogni tanto qualcuna ci rimane! Le disoccupate sono più fortunate, si annoiano molto meno - anche se si disperano allo stesso modo -  perché a stirare, pulire, cucinare e occuparsi dei bambini, la giornata passa. Cresce il numero degli alcolizzati, si vendono più tranquillanti, qualche industriale si suicida perché costretto a licenziare i suoi operai (sono più fantasiosi ma anche più fragili e, soprattutto non sono abituati a essere presi a calci in culo da una vita e l'uomo, si sa, è animale abitudinario). Si pagano più tasse, si vendono le catenine della Cresima regalate ai figli dai nonni, si comperano abiti usati, ci si indebita, si recuperano le biciclette in cantina e la macchina ci si limita a toglierla dal garage per lavarla (alla domenica). Si mangia più pasta e meno carne, pardon, il dato è da aggiornare, niente carne e meno pasta...
Si aspetta...
La chiamano crisi, è guerra, la nuova guerra...

venerdì 21 giugno 2013

La carità rende riconoscenti, il lavoro... liberi.


Oggi, passeggiando per la mia città, ho visto un cartello appeso alla vetrina di un ufficio (Caritas?).
Comunicava: "DISTRIBUZIONE VIVERI... "
Mi sono sentita in guerra!
La carità rende riconoscenti, il lavoro... liberi.
Grazie a Ugo Pierri, pittore triestino, che mi ha consentito di affiancare alle parole la forza dell'immagine.

giovedì 20 giugno 2013

E' arrivata l'estate...

Il sangue scorre più veloce, anche nelle stanche vene dei malati, le giornte interminabili incitano a fare, a muoversi, a godere di questa vita che non sa più di nebbia, di questo cielo che fa impazzire le rondini, di questa  campagna che profuma di fieno appena tagliato e ha campi di grano che sembrano oro fuso... Il Sole recupera il suo scranno e... ride. Il vigliacco sa che, anche se per pochi mesi, sarà il Signore della Terra; perfino le stelle, in cieli di velluto, splenderanno più intense, arderanno come candele in notti brevi dove il calore si farà  tepore, le parole sussurri, l'amore passione... e i ricordi si faranno così intensi da confondersi con i sogni e il confine tra fantasia e realtà diventerà  tanto sottile da sparire, facendoci sapere ciò che da sempre intuiamo: i confini sono immaginari, rispondono ai bisogni, non ai desideri, contengono paure, controllano ciò che esonda, rassicurano noi, pavidi bipedi, impauriti dalla morte e ancor più dalla vita...
Spessa come una coperta di lana, asfissiante come solo l'amore materno, a volte, sa essere, bruciante, eccessiva... è arrivata, di nuovo, l'estate.

sabato 15 giugno 2013

La malattia, passaporto per un altro mondo ?

La malattia, passaporto per un altro mondo (non per 'l'altro mondo')? Avrei fatto volentieri a meno di questa vacanza forzata e non richiesta, ma tant'é...
Data l'inutilità di gestire l'ingestibile, ci si lascia andare alla scoperta di quel nuovo mondo del quale la malattia ci ha dato la chiave d'accesso. E' la nostra limitatezza che ci fa presupporre un unico mondo possibile: il nostro, fatto di un tempo e uno spazio controllabili.
Il corpo si piega alle istanze della malattia, ogni tentativo di controllo diventa inutile e il cambiamento, per esempio quello caratteriale, diventa possibile. Così anche la mia logorante propensone al pensiero razionale, logico, consequenziale si è modificata: non serve a farmi stare meglio sapere che gli effetti collaterali dei farmaci sono la "logica" conseguenza del loro uso.
Sono assolutamente sincera: sembra, infatti, che i parkinsoniani non siano in grado di mentire... Un po' imbarazzante in una società che confonde la sincerità con la maleducazione. E pensare che le bugie pietose erano la mia specialità.
Sono, quasi fossi una diciottenne al primo amore, assolutamente sventata. Ho combattuto contro una caratteriale distrazione per tutta la mia esistenza perdendo chiavi di casa, bruciando arrosti e dimenticando ombrelli, guanti, sciarpe... Ora ci rido sopra perché l'alibi è dietro l'angolo. E' un deficit d'attenzione dovuto alla malattia.
La mia memoria (di ferro!) fa cilecca? Un passato pesante perde pezzi e scopro la leggerezza dell'andare senza uno zaino pieno di pietre sulla schiena. Il futuro fa paura? A chi è sano, ma a chi è malato, e può unicamente peggiorare, una caduta (fatale!) o un infarto possono risultare solo provvidenziali .Ecco che di fronte a un passato che non si ricorda e a un futuro che non c'è, assume il giusto rlievo quel tempo che io non ho mai saputo vivere: il presente.
E non è poco.

venerdì 7 giugno 2013

Solitudine sai di mare

Sai di mare
solitudine
....
striscia azzurra all'orizzonte,
sai dar pace
...
Sulla spiaggia
di ogni naufrago d'amore.
l'orma chiara
già cancelli
nel fruscio
di un'altra onda.

mercoledì 5 giugno 2013

E, dopo il diluvio, Mario Monti aprì l'ombrello.

E' una spenta mattina di novembre: grigio uniforme screziato dalle pennellate gialle delle foglie cadute. La gatta, sul davanzale, annusa l'inverno in arrivo, io rumino sulle mie storie, mentre la Storia mi si srotola davanti: Berlusconi, il piccolo tiranno che regna dal 1994 sul Belpaese, ha annunciato le sue dimissioni. Com'è nel suo stile, una promessa, solo una promessa. Sarà l'ultima di una lunga serie e la prima mantenuta? Chissà?

L'omino si lascia alle spalle un paese distrutto. Devastato. Non è riuscito, né avrebbe potuto, fare tutto da solo: ha avuto numerosi e validi collaboratori: tutti gli italiani - tanti, troppi  - che lo hanno votato, tutti i servi - molti - che lo hanno adulato e incensato. Ha, come i torrenti che abbiamo visto esondare in questi giorni, trascinato nel fango, sommerso e sporcato tutto ciò che ha trovato sul suo cammino. Sarebbe tutto da buttare per voltare pagina e ricominciare ma, come dopo un'alluvione o un terremoto, si fruga tra le macerie e si cerca qualcosa che, pur ammaccato, sia ancora utilizzabile.

Un Bersani cos'è? Un tavolo senza una gamba, che traballa ma può ancora stare in piedi? E Fini, il grande traditore? Una collanina da battesimo che sembrava d'oro, ma a guardarla bene era ed è d'ottone? E Casini? Una radio rotta che emette un suono che abbiamo già sentito, tanto tempo fa, molesto e ripetitivo, come le scontate prediche domenicali di un parroco noioso?.

Dietro a noi che frughiamo, a controllare che non ci si metta in tasca un anellino storto o un vassoietto d'argento, stanno, a fucili spianati, gli Europei, quelli che dovrebbero salvarci, ma che, per il momento, controllano che nulla venga trafugato. Ma non era ed è "roba nostra"? Beh, sì e no: è tutto da vedere!

La classe politica italiana, caduto - si fa per dire! - Berlusconi, non sa che fare? Ma non avevano nel cassetto fior di programmi particolareggiati? Precisi? Dove sono finiti? Ammesso che siano mai stati scritti, ora dovranno essere buttati: i mercati macinano perdite e  bisogna fermarli, recuperando la famosa "credibilità
perduta". Come? Firmando una cambiale in bianco, come si fa con i mafiosi: noi mettiamo la firma, loro la cifra. "Loro" chi? Beh, non i politici, poiché metà hanno già perso la faccia e la parte restante non può rischiare di perderla e, soprattutto, di perdere i voti del proprio elettorato!
E allora mettiamoci Mario Monti al governo: un tecnico va bene per tutte le stagioni. Ma non  è un economista nonché banchiere? Ma gli economisti non ne hanno azzeccata una da lungo tempo e i banchieri non sono i responsabili della peggiore crisi finanziaria nella storia del capitalismo?
Sì, e allora?

ERA NOVEMBRE, RAGAZZI! DI QUALE ERA? DI QUALE ANNO?