mercoledì 11 settembre 2013

Claudia FA.

     Nonostante abbia letto molti commenti di persone affette dal Parkinson, le parole di Claudia mi hanno colpita in modo particolare perché raccontano una maniera "altra", diversa, di affrontare il Parkinson.
     Claudia è prima di tutto sincera, dannatamente e dolorosamente sincera. Con se stessa e, di conseguenza, con gli altri. La malattia toglie colore (e calore) alla vita, la ingrigisce, la limita, intacca i rapporti familiari, allontana gli amici (i "cosiddetti" sani). Sembra o sembrerebbe fare terra bruciata di ciò che ognuno di noi è stato. 
      La diagnosi devasta, fa crollare a terra anche i più forti; poi, però, traballando (chi più, chi meno) ci  si rialza e si reagisce. Come? Sostanzialmente in due modi: o negando la realtà, con l'assurda pretesa di vivere come "prima", o consentendo che la malattia ci sommerga, senza opporre resistenza. 
      Claudia, attraverso la metafora dei colori, non finge, chiudendo gli occhi, di continuare a vedere il rosso là dove il nero regna sovrano, ma nemmeno si rassegna all'oscurità, a quel nero devastante: combatte, pensa, riconquista brandelli di terreno perso, cerca contatti, alimenta confronti e sulla tavolozza della sua vita.... riappaiono i colori. Sfumati, sbiaditi, mischiati, ma di nuovo presenti.
     Il Parkinson non le ha "migliorato" la vita, è riuscito solo a fargliela amare di più, e a regalarle quello sguardo attento che permette a chi ha molto sofferto di cogliere con immediatezza la sofferenza altrui. Con quello stesso sguardo si è "vista" , a differenza di chi si è solo guardato, ha scisso i bisogni dai desideri, e ha ricominciato a vivere, con quella fatica che tutti noi malati conosciamo, ma anche con quel coraggio che non tutti possediamo.
     Il coraggio è qualità caratteriale, ci si nasce e in pillole non esiste. Purtroppo. Ma Claudia passa poi al "sociale": alle strutture che non esistono, alla solitudine del malato, alla mancanza di ascolto da parte dei medici, all'inesistenza di una collaborazione fattiva tra neurologo e medico di base... Insomma, a quella miriade di "bisogni" che fanno di noi parkinsoniani degli extraterrestri. Tutti pensiamo che si dovrebbe fare qualcosa, 
    Claudia non si limita a pensare: lei FA!
    E noi?

1 commento:

  1. La tua analisi delle reazioni più diffuse alla malattia (Parkinson e non solo) mi pare assolutamente giusta, come pure la scelta di Claudia come modello a cui ispirarsi (ciascuno a suo modo). Resta la grande difficoltà a praticare questa scelta con altrettanto coraggio, con altrettanta capacità di "fare". Forse ci si può contentare del coraggio di chiedere aiuto, di vincere ogni residuo di orgoglio, di prendere atto della propria fragilità.

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