martedì 20 marzo 2012

Non amo i romanzi autobografici...

In Fai bei sogni di Massimo Gramellini, il protagonista, simile a una falena istupidita dalla luce, gira a vuoto su se stesso, gira, gira, e il mondo gli appare sempre troppo chiaro o troppo scuro. Poi, dal'esterno arriva, sconvolgente, a inserire nella sua vita tutti i colori dell'arcobaleno, la verità, quella verità che lui si è portato dentro da sempre e che gli ha permesso per molti, troppi, anni di reggersi su alibi fasulli.
Da un tragico fatto realmente accaduto, la morte della madre, si dipana la vicenda, incentrata prima sulla negazione della verità, poi sulla la conoscenza della realtà. La prima porta immaturità, la seconda la tanto sospirata conquista dell'autonomia, il salto di qualità che indurrà il protagonista ad abbandonare il bambino che è stato per scegliere l'adulto che sarà. Le figure di contorno sbiadiscono, fluttuanti, le loro emozioni non contano, se non nella misura in cui toccano il personaggio dominante della storia: lui. 
Ottimo giornalista, Gramellini scrittore non mi convince.Perché? Perché non narra una storia, ma la sua storia, che tale rimane fino all'ultima pagina. Tutta l'ironia che serpeggia abitualmente nella scrittura del giornalista, l'acutezza, la prontezza con cui sa cogliere i vari aspetti di un problema, nel libro risultano annacquati. La paura è la sua paura, il  dolore e il senso profondo dell'abbandono hanno la sua taglia, smuovono solo la nostra pietas, mentre, mendicanti d'affetto, allunghiamo la mano per chiedere aiuto, per lenire la nostra solitudine, per ottenere soltanto una carezza distratta e via...
Senza rivolgerci la parola.
In silenzio.