lunedì 27 gennaio 2014

Non dimenticheremo

Arriva frettolosa, un po' piegata; sulla testa, allacciato stretto sotto il collo, quel fazzoletto che è diventato un simbolo. Si siede, tra Fazio e De Bortoli. Travalica ogni regola. Subito. Chiede a Fazio il permesso di dargli del Tu; gli stringe la mano.
Nelle fasi salienti del racconto, stringe o accarezza le mani di quei due uomini che le stanno accanto, cercando un contatto di pelle, più che un conforto una modalità di comunicazione più profonda. 
Fluiscono i ricordi: il nonno morto in un campo di sterminio, l'espulsione "da tutte le scuole del Regno" per lei: bambina rea di un solo crimine, quello di essere nata ebrea. Il binario 21, sepolto nelle viscere della stazione di Milano, punto di partenza per i "treni della morte", si materializza sullo schermo... Sembra di vederlo quel vecchio, sperso, confuso tra i deportati, scaraventato come un animale in quei vagoni tra preghiere, pianti, urla, imprecazioni. Il suono secco dei catenacci che suggella l'orrore...
Ma lei, lei non è su quel treno; l'intuito di sua madre, che ha convinto il padre a fuggire in Svizzera ai primi segnali di pericolo, l'ha salvata.        
Poi, a guerra finita, la famiglia approderà in Argentina. 
Il racconto s'interrompe, la sua mano nodosa di vecchia cerca quella fotografia agganciata sulla maglia, all'altezza del cuore e la sfiora. Ritrae la figlia, una ragazza diciottenne, una desaparecida, una delle tante di quella generazione fatta scomparire da militari e civili nell'Argentina di Pinochet. Lei, la madre, racconta della figlia prelevata a scuola, rinchiusa e torturata nelle prigioni del Regime, gettata in mare ancora viva...
Scorrono sullo schermo, ora, le immagini che la ritraggono, accompagnata da una ragazza, guida silenziosa, all'interno di quegli edifici che le fu consentito di visitare anni e anni dopo, quando lentamente, come dal mare i resti di un naufragio, affiorarono le tracce di quello sterminio, i contorni di quel nuovo, ma già subito, orrore.
La macchina da presa inquadra il suo volto, e lei non si sottrae. Guardo quegli occhi di vecchia e penso che non ho mai visto uno sguardo contenere tanto dolore. Siamo abituati a filtrare le emozioni, a tenerle sotto controllo. Ai funerali portiamo gli occhiali scuri, tra noi e chi ci guarda, a difesa, almeno il velo delle lacrime.
Ma questa donna, questa madre, non piange, il suo dolore ce lo getta in faccia, lo tiene alto come una bandiera, lo rivive con un'intensità che è, lo si capisce,  la stessa: da sempre e di sempre. E' un dolore che non solo non può, non deve essere attenuato dal tempo, deve essere tenuto acceso, vivo e intatto, dalla memoria.
Nelle immagini che, alternandosi al racconto, scorrono sullo schermo, lei chiede alla ragazza che l'accompagna: "C'era silenzio qui... Allora?" e, senza attendere una risposta, mormora: "Ci sono  tanti uccelli... Forse li avrà sentiti cantare, le avranno fatto compagnia... " e lo sguardo vira, si accende di speranza, di determinazione. 
De Bortoli e Fazio sono imbarazzati, abituati, come noi tutti (o quasi), ai minuetti della falsità, non capiscono o fingono di non capire che a certi sguardi non si possono opporre parole. 
Solo una silenziosa promessa: "Non dimenticheremo!".