mercoledì 6 ottobre 2010

Barcellona e Woody Allen

Due turiste americane, cresciute a latte e bistecche al sangue, sbarcano a Barcellona. E' estate, il sole arroventa le guglie della cattedrale voluta da Gaudì, fa brillare di colori pastosi una città calda, sensuale... Mani brune pizzicano le corde di una chitarra. La rossa camicia del pittore, cangiante, fa risaltare il suo sguardo, impudico quanto la proposta che l'uomo fa alle due ragazze... E il vecchio Woody decolla: si dice ciò che non si pensa, si fa quello che non si dice, ci si misura con la vita o ci si nasconde in questa città di cui Cristina, una delle due ragazze, quella che ha già programmato tutta la sua vita futura sulla base dei solidi rassicuranti valori borghesi che le sono stati inculcati, cerca di cogliere l'identità catalana, per farne l'oggetto della sua tesi di laurea, per contenere nella gabbia delle parole, il calore che le divampa dentro, quella passione nascenteche la indurrà a cedere alla lusinga di quello sguardo che le scivola sulla pelle come una bruciante, insostenibile carezza. In pochi minuti scoprirà la donna che potrebbe essere, ma solo per negarla, come i desideri ai quali per sempre rinuncerà, scegliendo di sposare il solido, rassicurante fidanzato americano.
L'amica che l'accompagna invece sceglie - subisce? - il fascino del pittore, la disordinata anarchia della sua vita, lo scontro/incontro con la donna che è stata sua moglie e che riappare nella sua vita, sconvolgendola con la violenza di un tornado. Penelope Cruz è nera di occhi e capelli quanto l'amante americana dell'ex marito è bionda e pallida, quasi a sottolinearne la diversità  e il potere dell' attrazione/repulsione. Concentrato di genialità alla quale tutti s'inchinano ammirati ne incarna tutta la prepotenza, la bellezza e la mancanza di limiti. E' troppo per l'americana che forse nella dipendenza dell'amante dalla ex moglie, scoprirà una debolezza in cui  riconoscersi e ricacciarsi, insoddisfatta, alla ricerca di una completezza che si capisce o intuisce essere solo una chimera, un'ipotesi, una promessa non mantenuta.
Un attimo e... via, come la vita. 

Ancora su donne e autonomia

Nell'immaginario collettivo, la madre è vissuta come la personificazione dell'altruismo e della bontà. A differenza del padre, che  finisce sui giornali immortalato in versione mammo con il pupo tra le braccia nel caso - raro - in cui si faccia carico di allevare un figlio, la madre se cresce da sola due o tre pargoli lavorando non fa assolutamente notizia. E' normale, come naturale è rinunciare al lavoro per i figli, sacrificare i propri talenti per occuparsi della famiglia, sì della famiglia, l'intera famiglia: quella che comprende i nonni e include il cane, il gatto e anche gli eventuali canarini e i pesci rossi... E' tutta manodopera gratuita alla quale spesso è sufficiente assicurare solo ciò che serve alla sua sopravvivenza. La retta di un asilo nido, lo stipendio di una badante inciderebbero in misura tale da rendere praticamente nullo l'apporto economico di una madre lavoratrice gravata da figli piccoli e genitori non autosufficienti, senza contare che la casalinga assicura un clima più disteso alla famiglia. I dati sulla depressione  e l'alcolismo che affliggono le appartenenti alla categoria sembrerebbero indicare, però,  una realtà ben diversa da quella ipotizzata negli spot televisivi.
Questo serbatoio di potenzialità, talenti e opportunità è quindi un magma indistinto che funge da salvagente e protezione all'interno della nostra società? Se sul piano giuridico le donne non possono essere considerate cittadine di serie B, e se si laureano e si specializzano come ( e più) dei maschi, quando si delinea il divario con l'altro sesso e perché si allarga? Le contraddizioni esplodono nel mondo del lavoro, ma un lavorio sotterraneo, quasi un brusio indistinto negli anni formativi dell'adolescenza e del'infanzia, ha già conferito alla donne un marchio di diversità, preparandole non a lottare per fare valere i propri diritti, ma a  rinunciare.
Così si rimanda la maternità per tenersi il posto, per competere con i colleghi, per non essere angosciate dal senso di colpa, per evitare le critiche delle donne più anziane che hanno fatto scelte differenti.
La donna, a parità di preparazione con un maschio, non viene scelta dal datore di lavoro, è la prima a essere licenziata nei momenti di crisi, ed è colei che si sobbarca il peso di un doppio o triplo ruolo, occupandosi della casa e della famiglia.
Spesso è costretta a difendersi anche dalle avance del capo o capetto di turno.
L'ambizione e la voglia di misurarsi nel lavoro, doti nei maschi, nelle donne sono osservati con inquietudine e sospetto e se, all'interno della famiglia, è la donna a fare carriera il rapporto con il marito probabilmente entrerà in crisi. Non dobbiamo dimenticare che nel nostro Paese le donne devono fare i conti anche con la Chiesa che ancora non accetta conquiste civili come l'aborto o il divorzio allungando sul mondo femminile la sua lunga e inquietante ombra per continuare ad ancorare  le donne al concetto di peccato e non di responsabilità. La bellezza femminile che ingabbia la donna nello stereotipo della tentatrice,  vera e propria emanazione del Diavolo, bandita dai palazzi del Vaticano e umiliata nel grigiore degli abiti che le monache indossano, la dice lunga sulla concezione cattolica in merito alla questione femminile... Chi ironizza o grida allo scandalo sul burka dovrebbe riflettere chiedendosi se seppellire le donne nei conventi o incartarle nelle cupe vesti che contraddistinguono i vari ordini religiosi sia poi così diverso?
Perché la società non considera la diversità femminile una ricchezza? Perché la donna si vive in termini di alternatività riduttiva e non di complementarietà fonte di arricchimento? O madre o professionista, o femmina intrigante o moglie/madre casta? Quale ruolo gioca e ha giocato la cultura sull'evoluzione femminile? Quanto il lavoro di cura all'interno della famiglia, non remunerato e nemmeno considerato, permette allo Stato di risparmiare sul Bilancio pubblico? Quanto ottuso è quello Stato che rinuncia a ciò che la metà dei suoi cittadini potrebbe dare in progettualità, in fantasia, in talento organizzativo e innovativo e - considerazione finale, ma non ultima - quanto ristretta è l'ottica di quel mondo maschile che detenendo il potere avrebbe la possibilità di cambiare le cose ma si guarda bene dal farlo per conservare un'illusoria  e - come dimostrano i Paesi del Nord Europa - obsoleta concezione di superiorità?