venerdì 25 dicembre 2009

Racconto a puntate (La vita cambia)

Il mattino seguente si svegliarono, tra briciole e forcine. Una pioggia umida cadeva sul Canal Grande dando la sensazione che tutta la città fosse sprofondata sott’acqua in un grigiore indistinto e scivoloso.
Giovanni, che aveva bevuto troppo, aveva mal di testa e lei affrontava le consuete nausee del risveglio.
Rientrarono in fretta da quel viaggio di nozze lampo che entrambi sentivano, un po’ come il matrimonio appena celebrato, più un atto formale in ossequio ai desideri dei parenti che una loro scelta. Avrebbero preferito conoscersi meglio, vivere insieme approfondendo il loro rapporto. Tutto era avvenuto troppo in fretta e Ludovica avrebbe voluto parlarne con sua madre, ma non aveva osato. Sentendosi giudicata, respinta, si era chiusa a riccio piena di rancore, simulando una sicurezza che non provava.
Non telefonò mai alla madre, non le comunicò le sue paure.
Parlava con quel bambino che le cresceva dentro arrotondando il suo corpo sottile, parlava con quel bambino fantasticato. Di notte, quando il vento ululava facendo tremare le imposte della sua stanza, gli cantava le canzoni che conosceva per fargli e farsi coraggio.
Comperò per lui un paio di scarpine rosse, il colore della ribellione che sentiva dentro e che stava infiammando l’università, il colore delle bandiere che sfilavano nei cortei che lei guardava passare curiosa, ritrovando gli slogan che avevano ritmato il tempo della sua infanzia.
La protesta giovanile scuoteva l’università avanzando inarrestabile in una selva di pugni alzati, di volantini che il vento faceva volare come rondini nel cielo della città.
Ma Ludovica, come il suo compagno, era stanca di guerra.
Lei era cresciuta con un padre comunista, lui in una famiglia di destra che aveva aderito con entusiasmo al fascismo di cui aveva condiviso i fasti, ma anche la fine tragica. La morte del padre, disperso in Russia, aveva lasciato sua madre senza mezzi con i figli piccolissimi a fare i conti con le sorelle del marito.
Entrambi erano in aperta ribellione con le famiglie d’origine schiacciati dal peso di scelte ideologiche che, segnando la vita dei genitori, avevano inciso anche sulle loro vite. Sopraffatti dai bisogni li avevano scambiati per desideri.
Quando si erano conosciuti in quell’estate triestina battuta dal vento, avevano dato fondo ai loro risparmi comprando un Topolino decappottabile con cui avevano scorazzato in lungo e in largo, in assoluta libertà. Abbandonati i libri di scuola e le dispense nella macchina, dimenticate le lezioni, in quelle giornate estive che morivano in tramonti rossi come il suo bikini minuscolo che in mare sembrava un inascoltato segnale di pericolo, avevano pensato solo ad amarsi e, nelle doline ombreggiate dai lecci, avevano inciso i loro nomi sulle cortecce degli alberi e le pietre del Carso. All’ombra della luna d’agosto, sotto stelle che scoppiavano nel cielo come fuochi d’artificio, Ludovica aveva incenerito, in un bagliore breve e intenso, anche la sua giovinezza.
Per sempre. (continua...)