venerdì 16 marzo 2012

Una mattina come tante...


Il suono della sveglia rompe il silenzio e la strappa, se non al sogno, certo al riposo, al tepore del piumone che l'avvolge e che dovrà abbandonare. Alza la tapparella, una tortora le passa davanti al naso e raggiunge il/la compagno/a. Tubano; sono tortore e, almeno loro, si amano. A differenza di quelli del piano di sopra che, se non si odiano, si amano poco o male.
Il suono aspro delle loro voci arriva fino a lei, invadendo il silenzio della stanza. Tra poco scenderà il silenzio, unica alternativa alle urla. Perché non si lasciano? E perché lei, l’inquilina del piano rialzato, non si fa i fatti suoi? Alla prima domanda non è in grado di rispondere, alla seconda… pure. Ha poco da fare, lei, e troppo tempo per pensare… Ma è una risposta banale, che non la soddisfa. In realtà è curiosa, non pettegola, curiosa. Di storie, di alternative possibili o, perlomeno, ipotizzabili. Lei scrive e se ciò che scrive deve essere verosimile, non occorre che sia vero. E’ bastata la tortora, in volo alla ricerca del compagno, e il suono aspro, ringhioso, di una discussione per dare il via a una storia. Lui, lei… e se ci fosse l’altra? O l’altro? Fuorché per le tortore, eccezione che conferma la regola, prima o poi la coppia diventa triangolo: rettangolo, isoscele o scaleno, ma comunque triangolo. Ma se è già difficile in due? In tre è più eccitante, ci vuole poco a sentirsi madame Bovary…
Eccola che scende: batte i tacchi nervosamente sui gradini. I tacchi? Per andare al lavoro?  Ore e ore sui trampoli? Mai cercare lontano il “terzo” che si è insinuato, lesto come una lepre: o è l’amica del cuore o il collega di lavoro. Un’ipotesi non esclude l’altra… Eccola: tacchi a stiletto, calze nere, capelli sciolti. Gonna corta, naturalmente con lo spacco. Ma non girava in jeans e scarpe da ginnastica, un elastico a legarle i capelli? E poi, che ore sono? E’ in anticipo… Lui, dove l’aspetta?
E’ partita, a tutto gas, l’onda scura dei capelli a coprirle lo sguardo.
Tra poco scenderà il marito, ma un po’ più tardi: lui va in ufficio a piedi.
Sorseggia il caffè. Aspetta.
Il marito scende lento, non ha voglia di affrontare la giornata, l’ufficio, la vita. Ha il giubbotto jeans gettato sulle spalle, i capelli arruffati, lo sguardo spento, le scarpe da ginnastica slacciate... Non vede le tortore, si limita a guardarle, non sente l’odore della primavera. E’ immerso nell’inverno, il disgelo per lui non è ancora iniziato… Che spreco. Di vita.
Il caffè le va di traverso: quanto a vite sprecate, lei, è preferibile taccia o, al massimo, si conceda di giocare con le parole e con le ipotesi. Già.