martedì 18 agosto 2009

Trenta minacce di morte al giorno

Quando aprendo la posta il presidente Obama trova una minaccia di morte che cosa fa? Lui, personalmente, nulla. Presumo si limiti a consegnare la lettera incriminata a qualcuno del suo staff che, a sua volta, la catalogherà in un certo modo fino a che, a percorso ultimato, approderà sulla scrivania di chi coordina le operazioni che hanno come obiettivo la tutela del Presidente. E chi di dovere indagherà sulla pericolosità di quella minaccia che potrebbe essere un banale scherzo di qualche idiota fino alla decisione di un singolo o di una organizzazione di fare tutto il possibile per uccidere Barack Obama.
Ma lui, non il Presidente, ma Obama Barack, laureato in legge, sposato con due figlie e marito di una bella avvocatessa di colore, cosa pensa quando riceve una minaccia di morte, non un insulto più o meno pesante, ma una comunicazione con la quale un nemico invisibile, gli comunica la propria decisione di farlo a pezzi. Preciseranno anche le modalità dell'agguato, oppure si limiteranno a dirgli "ti vogliamo morto!"? E quando la folla lo accoglie tributandogli un caloroso, corale applauso, lui, facendo scorrere lo sguardo sui mille volti che lo circondano, non sente il suo cuore che smette di battere, il sudore che gli imperla la fronte, la voce che trema come la mano serrata sul microfono, alla vista di uno sguardo obliquo, di un sorriso sghembo, sardonico, sfuggente, da gatto che gioca con il topo? E' protetto dalle guardie del corpo, agenti speciali, specialissimi, ma uomini non angeli custodi.
E quando saluta le figlie, che vanno a scuola, o la moglie, che esce a fare shopping, non pensa mai che potrebbe essere il loro, l'ultimo saluto o l'ultimo sguardo e l'ultima carezza quella che lui, Obama, regala alle figlie, o scambia con la moglie? C'è il pudore che racchiude la paura, imprigionandola, relegandola in fondo al cervello, nella profondità dell'anima o esorcizzandola con la banalità della saggezza spicciola. "Se fosse il mio destino quello di..." e la parola morte non si pronuncia nemmeno, mentre nella Sala Ovale calano le ombre della sera, i consiglieri del Presidente suggeriscono e informano, le figlie giocano con il cane sul prato, circondate dalle nere bocche di fuoco degli agenti speciali disseminati come margherite sul prato al fiorire della primavera, e la moglie pensa, ma forse non lo dice, che lei lo sente l'odio, dissimulato sotto sorrisi di convenienza che i suoi cromosomi, dopo secoli di disprezzo, hanno imparato a smascherare. Guarda le figlie e pensa a Barack perché per lei è soltanto Barack, non il Presidente, e rimpiange il passato...Forse?
Nello sconfinato territorio americano, intanto, parole nere come la notte imbrattano schermi e fogli, mani di uomo o/e di donna imbucano lettere di morte, e i computer le consegnano solerti.
"Buona giornata, Presidente. Caffè forte e nero, i quotidiani freschi di stampa e la posta -
mediamente trenta minacce di morte al giorno".
Ci vuole coraggio ad avere paura, Presidente.

romanzo a puntate I Dellapicca

"Mio Dio!, ma siete proprio voi...Giovanni" sussurrò Sigismondo, mentre anche le altre due maschere mostravano il volto. Sigismondo crollò nuovamente a sedere sui gradini della chiesa mentre, minacciosi, i tre uomini lo circondavano.
"Che ne diresti di una bella partita? Come ai vecchi tempi". E senza aspettare la risposta, dopo averlo sollevato da terra, l'uomo che portava il nome di Giovanni, sputandogli addosso tutto il suo livore, gli sibilò: "Pensavi di essere al sicuro? Di averci preso tutti in giro?"
"Ho saputo che vi siete rifatti sul palazzo del Canal Grande" balbettò Sigismondo e, poi, mentre una strana luce gli balenava nello sguardo, chiese "Come...?" ma l'altro , interrompendolo, gli rispose: "Ti abbiamo cercato per mare e per terra. Sembravi esserti volatilizzato, nascosto come una "granseola" sotto la sabbia. Poi, non riuscendo a trovarti, abbiamo cercato le tracce del Moro e lui ci ha portati fino a te".
Furente Sigismondo mormorò: "Quel negro maledetto! L'avessi lasciato, quel pendaglio da forca, crepare su patibolo...Mi ha portato solo disgrazie!"
"Ma lui non ti ha tradito: è cascato nel tranello che noi gli abbiamo teso credendo alla storia che gli abbiamo raccontato":
"Allora mia madre non è morta?" chiese Sigismondo.
"Dalla vergogna e dal dolore per la tua scomparsa è uscita di senno..."
Sigismondo sentì una fitta al petto: tutto era perduto ma, e questa era la considerazione che più l'angosciava, a causa sua.
"Vi pagherò..." promise, lo sguardo che assumeva un'espressione supplice, codarda.
"Ci prenderemo la casa, il magazzino...Tutto" gli alitò addosso Mariotto, l'altro compagno di bagordi e divertimenti con il quale aveva condiviso gli anni focosi e pazzi della gioventù.
" Va bene, ma ora lasciatemi andare" implorò ancora l'uomo tremante che i tre circondavano.
" Ci prendi per donnette credulone? Ora t'impacchettiamo per bene, ti carichiamo sulla tua carrozza e ce ne torniamo a Trieste. Lì ci firmerai una dichiarazione che ci autorizzi a prendere possesso di tutti i tuoi beni..." ma Sigismondo lo stava già interrompendo con la solita frase che i vigliacchi sono soliti usare: "Io ho famiglia, mi dovete lsciare qualcosa"
"Ci è stato detto che hai una bellissima moglie! Ah, ah, ah... Usala. A Trieste i bordelli non mancano, anzi, ora che mi ci fai pensare, potremmo valutarne le doti e metterla sul piatto della bilancia a pareggiare il conto con quanto ci è dovuto". E, piegandosi in due dalle risate e dandosi manate sulla schiena i tre uomini se lo indicavano e afferrndolo lo sbattevano dall'uno all'altro, rifilandogli calci negli stinchi e spintoni. Poi, dopo averlo umiliato in questo modo, gli legarono le mani dietro alla schiena e, trascinandoselo dietro come un cane riluttante a seguirli, si inoltrarono nell'intrico, ormai silenzioso e deserto dei vicoli.