lunedì 28 settembre 2009

Notti milanesi

Lo scricchiolio le arrivò all'orecchio nitido e breve. "Sarà la gatta" pensò, mentre ne coglieva la sagoma accovacciata sulla poltrona davanti a lei. I suoi sensi, allertati, le fecero percepire il secondo scricchiolio, mentre, il collo che le si irrigidiva fino a farle male, restava in attesa di quel rumore che, nella sua ripetitività ormai prevedibile, faceva pensare a un passo: cauto, breve e attento come può essere il passo di chi si muova al buio in una stanza sconosciuta. Un brivido la percorse da capo a piedi, mentre quel suono si ripeteva e il suo sguardo, fisso sulla maniglia della porta della stanza da letto, ne coglieva il movimento, lieve ma continuo. Chiuse gli occhi. Inspirò. La paura, invadendola come un'inarrestabile marea, le rendeva parossistico il battito cardiaco e le asciugava la gola. Pensò che avrebbe dovuto gridare, ma riuscì soltanto ad aprire la bocca, annaspando alla ricerca dell'aria. Socchiuse gli occhi: la porta spalancata inquadrava una figura maschile, massiccia e immobile. Ne registrò i particolari: il maglione nero a girocollo, i jeans dello stesso colore, i capelli biondi, corti e un po' spettinati che ricadevano sugli occhi. Occhi chiari che la fissavano. L'uomo entrò, sicuro, dirigendosi verso il letto, mentre lei sollevava il braccio, la pistola stretta nella mano. Il rumore dello sparo rimbombò nella stanza e una smorfia di stupore si disegnò sul volto dell'uomo che sembrò immobilizzarsi prima di accasciarsi a terra, muovendo le braccia scompostamente, mentre un fiotto di sangue gli gorgogliava in gola , affiorando sulle sue labbra e scendendo lungo il mento.
Lei si alzò e facendo attenzione a non sfiorare il corpo, si precipitò, superando la porta d'ingresso, lungo il corridoio, volò fino al soggiorno, compose, le dita tremanti che non le obbedivano, il numero delle emergenze. Poi crollò su se stessa, accartocciandosi.
La pendola emise un rumore squillante: secondo, terzo, quarto rintocco. Erano le quattro del mattino e dalla finestra del soggiorno, oltre le grate esterne, la notte entrava allungando ombre che i suoi occhi, ormai abituati all'oscurità, setacciavano alla ricerca degli oggetti che le erano familiari.
"Pronto, pronto... " e la sua voce ritrovata le sembrò estranea, sconosciuta.
Qualcuno le stava chiedendo chi fosse, da dove telefonasse.
Mormorò nome e cognome, via e numero civico. Poi, lentamente, abbassò la cornetta. Rimase lì, ad ascoltare il battito del cuore e i suoni della notte, come un animale notturno in caccia, i sensi che percepivano ogni fruscio, gli occhi che foravano le tenebre come fari nella notte.

Il maresciallo dei carabinieri aveva l'aria stanca di chi lavora di notte e vive a contatto con quei relitti umani che la animano popolandola. Nonstante i morti ammazzati, i drogati fuori di testa, gli ubriachi e i violenti, conservava un'umanità sofferta, una pietà che ancora gli ammorbidiva lo sguardo scuro, brillante di meridionale. A lui, cresciuto in una terra gialla di sole e di aranceti era toccato in sorte di vivere sperso tra le nebbie freddde di quella città feroce, in quelle notti che l'urlo delle sirene delle autoambulanze e delle gazzelle della polizia, straziava. La donna accanto a lui, tremante nella camicia da notte trasparente, scuoteva il capo, ripetendo monotona la sua nenia:"Era qui, gli ho sparato" e guardando alternativamente il maresciallo e il pavimento, coperto da un tappeto persiano, ripeteva quella frase.
"Conosceva l'uomo che..." chiese l'uomo in divisa.
"Era mio marito" rispose la donna.
Il chiarore dell'alba invadeva la stanza, arredata con gusto. Ordinata. Il tappeto: intatto.
Il maresciallo scosse il capo e si passò la mano sugli occhi. "In quelle notti milanesi i fantasmi si materializzavano e gli incubi tradivano i desideri che il sonno faceva riemergere dal buio dell'inconscio. La signora Verdame, vedova Rossi già da cinque anni, aveva sparato a un fantasma. Quella notte, passata a pattugliare la città era andata meglio del solito: morti ammazzati uno. Professione: fantasma".
"Il turno è finito. Andiamo a farci un caffé!"
La prima luce dell'alba schiariva il cielo a Oriente giocando a rimpiattino con i contorni delle case e l'arguzia che gli brillava, sorniona, nello sguardo.