domenica 30 agosto 2009

Romanzo a puntate I Dellapicca

Blanko aveva faticosamente ripreso a lavorare portandosi nel corpo l'impaccio di quel braccio che gli faceva male e nell'anima una non sopita voglia di vendetta, ma la catasta di legname non poteva attendere e inumidirsi sotto le piogge primaverili. Quella mattina aveva ripreso il lavoro e i tronchi stavano già ordinatamente scendendo a valle uno dietro l'altro quando Blanko, dopo aver incaricato il suo uomo di fiducia di controllare il lavoro a monte, riempita la bisaccia, era salito sul suo mulo e aveva preso la strada a tornanti che portava alla costa per seguire le operazioni di imbarco. Avanzava lento, insensibile alla bellezza del panorama che il sole nascente svelava davanti ai suoi occhi. La strada tagliava boschi fitti di vegetazione che si stagliavano, in tutte le tonalità del verde, contro l'azzurro di un cielo che il mare rifletteva, trasparente in prossimità della costa, più intenso al largo, dove le onde mosse dal vento ne increspavano la supeficie in riccioli spumosi che il sole rendeva cangianti. Nel porto si muovevano neri come formiche uomini e carretti e un brusio indistinto cominciava ad arrivare fino a lui nel silenzio della mulattiera, rotto, fino a quel momento, soltanto dal canto degli uccelli e da qualche fruscio di animale selvatico che sentendo gli zoccoli del mulo s'acquattava nel sottobosco. Ancora un paio di curve e sarebbe stato in grado di stabilire, dalle bandiere che garrivano al vento sui pennoni dei velieri, i loro paesi di provenienza. Quello che faceva la spola con l'Istria e che apparteneva alla Serenissima, l'aveva già individuato, ma quello accanto... ah eccola, ora la bandiera gonfia di vento lasciava intravedere qualcosa: l'aquila imperiale della marina austriaca. Quel veliero veniva da Trieste, la città dove si era recato per affari un paio di volte e che gli era rimasta nel cuore. Abituato alla vita di paese, legato a tradizioni e usanze del tutto diverse, era rimasto sbalordito da quella città in pieno sviluppo, dove il denaro si guadagnava con facilità ma si perdeva con altrettanta rapidità. Gli era sembrata una città affascinante, ma anche pericolosa, con i suoi bordelli e le taverne dove i marinai appena sbarcati si giocavano tutto ciò che avevano, ai dadi o alle carte. Immerso nei suoi pensieri non si era nemmeno reso conto di essere ormai giunto all'ultima curva che, in mezzo a pini marittimi che davano un sottile profumo di resina all'aria, si allargava in una strada più ampia che portava direttamente al porto. Alla sua sinistra la locanda - dove legato l'asino, si beveva qualcosa di forte d'inverno e di fresco d'estate - era piena di avventori. Blanko scese dall'animale. Conosceva quasi tutti e quando, dopo aver assicurato il mulo alla staccionata, fece il suo ingresso nel locale, il silenzio, pesante come una scure fatta calata su un ceppo, scese sul locale.
Poi, uno degli uomini, che seduto davanti al bancone stava bevendo, gli si fece incontro e lo abbracciò. Altri lo seguirono dimostrandogli, nel loro modo rude e privo di convenevoli, la loro partecipazione alla tragedia che l'aveva colpito. Evidentemente a notizia dell'agguato aveva già fatto il giro, di bocca in bocca, di tutto il circondario. Gli arrrivavano manate sulle spalle e parole di conforto, mentre tutti ordinavano al banconiere di versargli da bere. Blanko, che si stava chiedendo cosa pensassero di lui, della sua mancata vendetta, li guardava negli occhi cercando di coglier ciò che le parole non svelavano.
Ad un tratto gli si parò davanti un negro gigantesco, alto come lui e altrettanto prestante.
Lo guardò sorpreso: non l'aveva mai visto da quelle parti. L'uomo che gli stava accanto gli sussurrò: "E' un foresto, appena arrivato da Trieste. Si fa chiamare Il Moro ed è uno con il quale non è il caso di scherzare: ha con sé una donna d'incredibile bellezza e una bambina. Hanno preso alloggio in una delle locande del porto..."
Blanko gli porse la mano e ne incrociò lo sguardo. Stupito ebbe la sensazione di cogliervi lo stesso disperato dolore che rendeva febbricitanti e smarriti i suoi occhi.(continua...)