martedì 16 agosto 2011

Storia di nebbie e acquitrini (puntata n°33)

Primo camminava lento, distratto dai suoi pensieri, ripensando alle parole pronunciate dal Professore la sera prima, al termine del loro ultimo incontro. Non si trovavano mai nello stesso posto, sarebbe stato troppo pericoloso... I fascisti avevano occhi e orecchi dappertutto. Si fermò a schiacciare con il piede il mozzicone di sigaretta che aveva tenuto tra le labbra, per sbirciare alle sue spalle. Un fruscio, una sagoma indistinta più scura del buio già incombente, gli avevano dato la sensazione di essere seguito. Sentì il sangue scorrergli più veloce nelle vene, allertandogli i sensi e tendendogli i muscoli, mentre la paura amplificava ogni suono e ingigantiva, rendendola minacciosa, ogni ombra. Nulla, la strada era quasi deserta; pochi i passanti, e dall'aria innocente.
Riprese il cammino verso casa. Forse aveva ragione il Professore... Non era il momento di organizzare attentati: avevano poco tempo, pochi uomini su cui contare... Era più  importante cogliere il malcontento, utilizzarlo creando collegamenti: una rete - così la definiva il professore - una rete invisibile ma capillare: lavorando nelle fabbriche, nelle campagne, con pazienza, tenacia e senza azioni di forza che, data la superiorità dei fascisti, si sarebbero concluse con processi, condanne... l'invio al confine e l'indebolimento di quella che era ancora una opposizione gracile e disorganizzata.
Di nuovo quel passo che ora rallentava, ora accelerava, ma sembrava incollato al suo. Si fermò, con la scusa di accendere un'altra sigaretta, e sbirciò alle sue spalle... una sagoma scura, il cappello con la tesa abbassata a nascondere gli occhi, le mani in tasca. Come lui, si era fermato, apparentemente alla ricerca di un numero civico, reso scarsamente visibile dal buio della sera.
Primo riprese a camminare. Anche l'altro. Svoltò a sinistra, ad angolo retto, imboccando la strada di casa. Anche l'altro. S'impose di non correre, i pugni già contratti, pronto a difendersi... Il portone di casa gli si parò davanti, la chiave sembrò incastrarsi. Poi un cigolio rassicurante, uno sguardo a sinistra, uno alle sue spalle... Nessuno!, solo quell'atrio buio e maleodorante e il tonfo del portone che si chiudeva alle sue spalle. Mentre saliva le scale, la voce della Nina,
che al solito sbraitava contro i figli, l'abbaiare del cane del pensionato del secondo piano e gli altri abituali rumori del caseggiato gli sembrarono musica celestiale, marcia nuziale capace di rallentare il battito impazzito del suo cuore. Entrato in casa, si precipitò a spiare oltre il vetro della finestra, ma senza cogliere nulla di sospetto.
Mentre grondante di sudore crollava sul letto, dal campanile della chiesa che dominava la piazza alle spalle del suo caseggiato, cominciarono a echeggiare, uno dopo l'altro, rintocchi di campana, lugubri e lenti come rintocchi di campana  a morto.
(continua... )
http://falilulela.blogspot.com/2011/08/storia-di-nebbie-e-acquitrini-puntata_12.html