martedì 23 ottobre 2012

Lettera a una dottoressa



Eh no, mia cara dottoressa, non si fa così. Lei sarà pure brava, conoscerà alla perfezione i miei problemi fisici, di parkinsoniani ne avrà viisti molti (come mi ha ricordato con malcelata irritazione una sera all'ospedale), ma, a furia di stare chiusa nel suo studio a occuparsi di corpi e organi, forse si è dimenticata che noi malati possediamo un'anima, continuiamo ad averla con tutto ciò che ne consegue: sentimenti, emozioni e via dicendo. Intuisco che queste "interferenze" emotive la infastidiscano, scombinino le sue ipotesi, rendano incerti e non sempre attendibili i  suoi studi ma, dottoressa, le ripeto e le assicuro che noi, i suoi pazienti, siamo esseri umani. Sofferenti, tremolanti, traballanti, spesso un po' confusi, ma ancora e sempre esseri umani.
Lo sa (no, non credo abbia considerato questo aspetto) quanto mi è costato abbandonare la stampella e affrontare, una mattina d'agosto caldissima e gialla di sole, il marciapiedi sconnesso, la paura di cadere, il silenzio e il vuoto di quella strada, dove ogni mio passo traballante, ogni giramento di testa avrebbero potuto giustificare una caduta e lo "sfracassamento" di queste mie quattro ossa che l'osteoporosi ha reso fragili come il cristallo? No, non lo sa, forse non se n'è nemmeno accorta che non ho più la stampella, forse non le interessa... Lei sa che durerà poco, che la malattia non concede tregue significative, che alla prossima visita arriverò  arrancando, di nuovo arpionata a un appoggio come un pappagallo al suo trespolo. Ma io, dottoressa, passo dopo passo, mattina dopo mattina, ritrovavo non solo il  piacere di camminare, recuperavo i  brandelli della mia dignità e ne facevo ventagli di pizzo, e sorridevo al primo immusonito passante che, seguito dal suo cane, si affacciava all'orizzonte, e poi ridevo, da sola come una pazza, perché, mattina dopo mattina, le mie gambe ritrovavano forza e il mio animo coraggio... Sono stata brava, molto brava, non crede? Dirmelo, quel "brava!" ,accompagnandolo con un sorriso (anche una pacca  sulla spalla sarebbe stata ben accetta) le sarebbe costato tanto? Sì, evidentemente. Infatti mi ha baccchettato sulle dita, per un esame non fatto, per la mia reiterata abitudine a fare "di testa mia"... Mi ha ricordato che sono a rischio di ictus, che alle tante medicine che prendo dovrei aggiungerne altre; le ho ricordato che le statine mi bloccano i muscoli e che me ne frego dell'ictus (questo non l'ho detto, ma lei lo ha capito); ho ribadito la mia scelta  e, sorridendo, le ho rammentato gli operai dell'Ilva: loro ed io possiamo scegliere soltanto di che morte morire oggi, non di morire a tempo debito, di vecchiaia. Non ha apprezzato: il senso del'umorismo non le appartiene. Ha continuato, ormai sul gelido andante, mentre il sole, un incredibile sole ottobrino caldo come una carezza inaspettata entrava dalla finestra aperta..., ha continuato a scrivere.. Poi, mi ha consegnato quel foglietto, lo sguardo che lasciava trapelare quel: "Tanto lei fa quello che le pare... "mentre io, dopo averle risposto affermativamente nel nostro dialogo muto, guadagnavo la porta per filarmela a tutta velocità (si fa per dire), sottraendomi al soffio mortifero e gelido del suo metodo di cura.
"Au revoir" dottoressa o, forse, "adieu"...

domenica 21 ottobre 2012

Vecchiaia in libertà

Anziano non mi piace, è burocratico: il problema degli anziani, la loro solitudine, gli acciacchi, la crescita della popolazione anziana... no, no, preferisco di molto la parola vecchio. E allora l'isolamento dell'anziano diventa  la solitudine del vecchio, frutto di una sua scelta, non  decisione degli altri a suo danno, ma selezione, uso oculato del poco tempo che rimane a disposizione  per vivere meglio, scegliendo con chi trascorrerlo. Non più dovere ma piacere di comunicare. 
Se gli anziani sono un peso, i vecchi potrebbero essere una ricchezza. Sono sinceri, non hanno più la voglia né la capacità di reggere il peso delle bugie, l'attenzione che richiedono, gli aggiustamenti continui che impongono alla realtà perché, fasulla, risulti credibile. I vecchi possono concedersi il lusso di essere sinceri perché non hanno più nulla da perdere; finito il tempo dei progetti, dei cambiamenti - l'ultimo, quello definitivo, la morte, avverrà, come la nascita, indipendentemente dalla loro volontà - possono assaporare il presente, scaldare al sole la loro vecchia pelle di tartarughe, osservare senza ansia ciò che avviene, incamerare ancora un po' di saggezza e di esperienza (è la seconda che si porta dietro la prima) curiosare per scoprirsi sorpresi, ancora e sempre... Un amico mi diceva che si è vivi fino a quando si desidera perché il desiderio non è un progetto, è una curiosità da soddisfare svincolata da scadenze obbligate. Non furoreggia come un fuoco estivo, non esplode come una bomba, non urla... il desiderio, nei vecchi, sussurra e scalda, si ammanta di rughe ma anche di comprensione e tolleranza riportando alla memoria i ricordi, depurati dal rimpianto.
Il vecchio, pur ingabbiato dagli acciacchi, scopre una libertà di essere che non aveva mai conosciuto prima perché, come accade per i bambini, non viene più osservato con attenzione e,se esce dagli schemi, al massimo si prenderà del rimbambito. La vita non si scopre mai del tutto, in rari momenti s'intravede, ma soltanto da vecchi si accetta di viverla anche senza capirla, soltanto da vecchi si soffre meno (oppure si è tanto avvezzi alla sofferenza da non sentirla quasi più) e si perde buona parte della propria arroganza, cominciando a sorridere di quella altrui.

martedì 9 ottobre 2012

Anime in gabbia


Non hanno sbarre né bugliolo né chiavistelli, soltanto letti impilati uno sull'altro a mangiarsi lo spazio esiguo da condividere con altri, eppure da queste prigioni non si fugge. Altro che Alcatraz e progetti di libertà fantasticati, studiati e realizzati con l'happy end di prammatica.
Ci si deve rassegnare a marcire in galera, innocenti. Altro che tre gradi di giudizio, non c'è merito o competenza che tenga; una volta condannati si rimane lì, appesi a sbarre inesistenti a sbirciare la vita degli altri vedendo scorrere le stagioni: la prima rondine che riga di nero il cielo, l'ultima pioggia d'autunno che ha già sapore di tramontana, l'acquazzone d'agosto che spegne l'estate...
A volte ci s’illude di scappare, si allunga un piede, ci si ferma esitanti, in attesa. Un alto passo, un po' più sicuro. Un altro ancora e nessuno ci blocca.
E che ci faremmo fuori?
Ciò che ingabbia protegge o viceversa?
Forgiate dalla paura, sbarre spuntano come funghi.
Crescono come pane lievitato al caldo.
Si dovrebbe rinascere con un altro carattere per fuggire da questo carcere di massima sicurezza.

Non c'è grimaldello che possa liberare dalla sua prigione un'anima in gabbia.

lunedì 8 ottobre 2012

Non credi Miki?

Mi sveglio con una sensazione di curiosità. Fuori, nella strada ancora buia, nera, cominciano a scivolare le macchine. Una dietro l'altra. Sollevo la tapparella e  fari gialli fendono l'oscurità. La mia casa è fredda, l'autunno annuncia pioggia... Dalla cucina mi arriva il miagolio della Miki e, un secondo dopo, la sento  che protesta impaziente strofinandosi  sulle mie gambe ballerine. "Eh no, bella, devi avere pazienza: la sottoscritta non ha più orari da rispettare, è padrona, finalmente padrona di quell'ultimo scampolo di tempo che la vita le ha concesso... Le levatacce alle prime luci dell'alba, i compiti da correggere imbambolata dal sonno, le colazioni da preparare per quei tre ragazzini ancora addormentati (ma che tra pochi minuti cominceranno a litigare tra loro, a protestare), con le lancette dell'orologio in corsa, e il tempo che vola, e l'ansia di fare tutto, sapendo già che sarà impossibile... No, tutto questo è soltanto un ricordo, non mi appartiene più. 
Posso stiracchiarmi lentamente, mangiare con calma, affondare il naso nel pelo soffice della Miki, tornare al letto ancora caldo e dormire un po', oppure farmi la doccia e uscire a comperare il giornale e una focaccina tiepida, mentre il giorno rischiara il cielo, e io l'osservo questo cielo chiaro di ottobre che mi regala un altro giorno, forse difficile, forse divertente, forse doloroso... Magari sorprendente? ma, comunque, mio. Tempo che mi appartiene, che è lì in attesa, ai miei ordini come un servitore solerte pronto a ubbidire".
Il dolore alla schiena che mi ha inchiodata a letto si è attenuato, se mi muovo con cautela mi dà tregua. E muovermi con cautela è ormai una mia acquisita abilità, infatti la mia velocità di crociera è bassa. Sulla strada della vita scivolo, non corro... Ma non provo rimpianto per quelle corse, per tutta quella fretta che mi faceva spesso solo sfiorare la vita, una carezza distratta e via... Per andare dove? Si arriva tutti allo stesso punto, chi percorrendo viottoli di campagna, chi veloci autostrade. "Non credi Miki?" La gatta mi spalanca addosso occhi attoniti coloro topazio e mi osserva muta... Ha capito, ha capito...