martedì 29 dicembre 2015

Una luna gelida gioca  a fare la primadonna contendendo la parte alla Stella del mattino. Finché non spunta il giorno comanderanno sulla scena del cielo...

sabato 26 dicembre 2015

Svapora la luna
nel chiarore del giorno che nasce
come la paura
che un abbraccio amico
consola

Amour

Ho visto "Amour" ieri sera, film sulla vecchiaia e malattia vissute con uno sguardo di coppia. Lei, la protagonista, dopo una serata tranquilla passata a teatro, manifesta i primi segni della malattia, "un'assenza" momentanea che precederà di poco un ictus. Sulla sedia a rotelle, metà corpo paralizzato, verrà dimessa dall'ospedale. Lui, il marito, se ne farà carico con affettuosa sollecitudine; hanno ancora tante cose in comune di cui parlare: oltre alla musica, i libri, il teatro, e la figlia che con il marito e i nipoti vive in un'altra città, lontana dai genitori e dalle problematiche legate alla malattia della madre e all'assistenza di cui si è fatto carico il padre. Poi, il film scivola nella sequenza quotidiana dei giorni  che delineano la parabola discendente nella vita della coppia: la prima caduta dalla sedia a rotelle per raggiungere la finestra aperta e - forse? - uccidersi, la prima pipì a letto, gli amici che non si fanno più vivi, la vita, quella vera, che scorre ormai solo fuori dalla porta del loro appartamento... Poi, arriva un altro attacco e la protagonista perde anche l'uso corretto della parola. Emette suoni che non sempre si articolano in modo sensato, capace di rendere la comunicazione possibile. Perde completamente la propria autonomia, dipende totalmente dalle cure del marito che deve ricorrere anche all'aiuto di un'infermiera che la tratta come una bambola rotta, incapace di capire e provare sentimenti. Perché lei capisce e gli sguardi disperati con cui sottolinea il rifiuto del cibo non possono lasciare dubbi al marito. Quando, in una mattina qualunque nello scorrere lento e uguale dei giorni, il marito la forza a bere, lei gli sputa addosso l'acqua  che si è rifiutata d'ingoiare e lui reagisce dandole uno schiaffo, il desiderio di farla finta di lei s'incontra con l'impossibilità di continuare quella parodia di vita di lui: le mani che volevano aiutare, lasciano andare la tazza, il bicchiere, si arpionano a un guanciale e lo premono sul volto della donna, lo premono fino a toglierle quel po' di fiato che ancora la tiene in vita, fino cancellare davanti agli occhi del marito quel volto che nulla ha più a che fare, a che vedere con la compagna di una vita, con la vita per come noi la intendiamo. Con la vita tout court ... Adesso è solo, la coppia non c'è più, la scomparsa di lei rende inutile ormai l'esistenza di lui. Il film si conclude con l'immagine del marito che aiuta la moglie a indossare il cappotto per uscire. Come centinai di volte avranno fatto...
Film bellissimo e coraggioso sull'amore e sulla coppia nello tsunami della malattia e della vecchiaia.

mercoledì 25 novembre 2015

Donne e violenza

In questa giornata tersa come il cristallo, quante donne si sono alzate dopo una notte insonne, passata  accanto al compagno, tormentate dalla paura, infiacchite dalla sensazione di non valere nulla, di meritarseli quegli schiaffi  di cui portano ancora i segni  sul volto? 
Tante, troppe.
Come aiutarle, quando è già difficile capirle. Legate le une alle altre da quel balbettio comune:  “Non è cattivo, a modo suo mi vuole bene … Forse, è colpa mia”, sembrano sperse in un mondo arcano, un mondo che nessuno dovrà conoscere perché lui, il mostro, cambierà, deve cambiare. Loro, le donne maltrattate, offese, minacciate diventeranno più attente, capteranno prima i segnali della burrasca in arrivo, sopporteranno, insegneranno ai bambini a non far rumore, a non fiatare perché “il babbo è stanco”, ha lavorato, è nervoso. Lui. Lei, la madre no, la madre, spesso casalinga, non lavora, come se il carico di lavoro domestico non essendo remunerato, non avesse diritto di cittadinanza. Oppure lei, la donna, lavora: se lo è trovato il  lavoro, quando ha deciso di andarsene, di lasciarlo quell’uomo violento, di sottrarsi al clima di paura che aleggiava sempre sulla casa, al balbettio  confuso dei bambini che le chiedevano se il babbo fosse “cattivo”. Ha conosciuto un uomo, un collega, ma si è accorta che il marito le sta dietro come un segugio.
Se lo trova davanti all’improvviso, come se l’avesse partorito il buio. La minaccia, ha visto le sue mani strette a pugno, danzarle davanti agli occhi e ha avuto paura. Di nuovo, come sempre.  Quante sono le donne che pur avendo trovato la forza per andarsene, continuano a vivere nella paura? 
Tante, troppe.
Quante vengono uccise in una mattanza che sembra non avere fine? 
Tante, troppe.

mercoledì 18 novembre 2015

Monsieur le Président

Come tutti i vecchi, sono nostalgica e portata a rintanarmi, nei momenti peggiori, nel passato... La mia generazione ha perso - lo diceva anche Gaber - ma tanti della mia generazione hanno lottato contro la guerra (allora quella del Vietnam), contro il concetto di guerra, contro l'idea di guerra, fredda o calda che fosse. Ho visto tanti fiori ricoprire il sangue nelle strade di Parigi e mi è tornata alla memoria l'immagine - riportata da un giornale negli anni '70 - che immortalava un ragazzo colto nell'atto di  infilare dei fiori nella bocca di un cannone; il tutto sotto lo sguardo truce di uomini in assetto di guerra...
Non serve essere spietati, monsieur le President, occorre essere fermi; lasciamo la spietatezza agli assalitori, non è un valore da imitare e di cui andare fieri. Sarebbe stato meglio non spartire con i soliti noti i lucrosi proventi del mercato delle armi, tagliare le fonti di finanziamento all'Isis,  non acquistando petrolio dal Califfato solo perché costa qualche dollaro in meno al barile, rafforzare i controlli di polizia... Sarebbero state scelte migliori....

venerdì 6 novembre 2015

E' solo una brutta giornata...

Marinella irrompe sulla scena di "About Parkinson" ponendo due domande: "COSA E' PER VOI VIVERE?" e "E' VITA LA NOSTRA?" Posso tentare di risponderle per quanto mi riguarda.
Ci sono mattine, in questo inizio di autunno, in cui tutto è (sembra?) grigio, le colline sono solo terra e sassi protesi verso il cielo, l'erba è secca, i roseti sfioriti. Dietro a noi, sulla strada già percorsa, giacciono i nostri sogni. Infranti. Davanti a noi un muro di nebbia ingoia il sentiero. Vivere è andare avanti, affrontare quel muro, scoprire cosa ci sia dietro.Vivere è non essere morta, ed  è, quindi,  poter cambiare, sfuggendo al cappio del destino, essendo, almeno in parte, ancora autrice di questo destino. Dal Parkinson non si può guarire, e la malattia è orribile: penetra dentro di noi e tutto sconquassa. Mina il fisico, ruba l'anima, cambia il carattere, ma... ma, se non possiamo liberarcene, possiamo, potremmo almeno stabilire le modalità con cui conviverci. E' difficile, lo so, ma non impossibile.
"E' vita la nostra?", chiedi. E' una delle tante vite possibili... Siamo in buona compagnia con i diseredati della Terra... "Almeno sperano, loro, i diseredati". E noi, no? La speranza non ce la toglie nessuno. "E' pura  illusione", dici? Forse no: prima o poi mister Pk verrà preso al laccio e segregato nella prigione più buia. Per sempre, per sempre. Nell'attesa noi VIVIAMO, con le ancora nostre emozioni. Quelle, nessuno ce le potrà strappare... E, ora, bando al bla, bla, come giustamente chiami tu, Marinella, ogni emorragia di parole, e permettimi di abbracciarti e dirti: " Su, coraggio, è solo una brutta giornata... "

giovedì 22 ottobre 2015

“Si può fare”

Un manipoli di “matti”, liberati da Basaglia, incontra Nello, uno appena,  appena meno matto di loro, e il film decolla.  E’ la storia, ovviamente romanzata, di uno dei percorsi fatti per aiutare gli ex pazienti di un ospedale psichiatrico, a  trovare un “posto”,  affinché, vinta la guerra del manicomio, inizi anche per loro il dopoguerra. 
“Siamo matti non stupidi”, borbotta uno di loro e la frase mi giunge dritta al cuore.  Ci vuole poco perché io mi ritrovi a condividere la loro ansia, la paura di uscire dal “ghetto” e affrontare  i “ normali”. 
Il film prosegue seguendo Il  lento, ma inarrestabile, lavoro di recupero di una dignità, erroneamente ritenuta persa,  fino a che,  sgombrato il terreno dai bisogni primari, esplode il colpo d’ala dei desideri,  primo fra tutti, il desiderio per eccellenza: quello d’amare.  Nello si allea con un giovane neurologo “Basagliano”, entrato a far parte della cooperativa, ed entrambi si fanno prendere dall’entusiasmo,  dimenticando che dalla malattia mentale non si guarisce mai del tutto. Inoltre se l’amore - si sa – è volare senza ali a raccogliere mazzi di stelle nel cielo, è anche la paura e il dolore senza  pace dell’abbandono… è mettere alla prova gli spiriti più forti. Il più giovane e fragile dei malati, rifiutato,  si uccide. Il sogno di una vita normale, per Nello e i compagni,   s’infrange: le porte del reparto di psichiatria si riaprono, si ricomincia con terapie “pesanti” a base di psicofarmaci. 
Nello affonda nel senso di colpa,  si cerca un lavoro normale.  Ma, nel colloquio con il primario del reparto – fino a quel momento irriducibile oppositore  di ogni cambiamento  - sarà proprio da lui, dal primario, che gli giungerà  il riconoscimento del miglioramento riscontrato in molti dei pazienti  e la spinta a continuare sulla strada intrapresa;  con il supporto anche dei malati, decisi a continuare l’esperienza iniziata con Nello.
Come avrebbe detto Basaglia: “Non è necessario essere matti per morire d’amore… “
Bisogna sognare,  sempre, perché sono i sogni che rendono possibili i progetti… Se un uomo non avesse sognato di volare, a nessuno sarebbe mai venuto in mente di costruire un uccello d’acciaio.


lunedì 21 settembre 2015

Quindici anni... Il tempo è volato. Tanti auguri, Martina...

sabato 12 settembre 2015

"In fuga... "

Quando li vedo marciare, carichi di borse, fagotti, i figli appesi al collo, "in fuga".. qualcosa mi si smuove dentro e, lenti ma inesorabili, riemergono i racconti sentiti nell'infanzia. La diversità era evidente, pur in quella Trieste che faceva parte dell'Impero e che sembrava disponibile ad accogliere chiunque avesse voglia di lavorare. C'erano i greci di religione ortodossa, neri di occhi e capelli, sempre sorridenti e pronti ad andar per mare, gli ebrei, gli italiani , gli slavi e gli austriaci. Si distinguevano prima che aprissero bocca, bastava un'occhiata. Gli ebrei erano i padroni del ghetto, "i strazzarioi", quelli che raccoglievano gli stracci, ma erano anche coloro che sedevano nei consigli di amministrazione delle grandi banche, delle assicurazioni e delle compagnie di navigazione. Sefarditi i primi, ashkenaziti i secondi. Gli slavi erano soprattutto sloveni: alti, biondi, grossi, occhi azzurri. Facevano i lavori più pesanti e umili. Le donne andavano a servizio nelle famiglie ricche e spesso oltre a occuparsi degli anziani e dei bambini si prendevano cura anche dei "padroni di casa", tanto da godere di una fama non meritata di femmine tentatrici. Ma c'erano anche i montenegrini, i croati, i macedoni e tutte le infinite etnie che compongono il puzzle bosniaco, con le loro lingue, religioni e usanze diverse. E gli austriaci? Beh gli austriaci erano i burocrati mandati da Vienna, con mobili Biedermeier, porcellane di Baviera e cristalleria di Boemia, a tenere sotto controllo una città in forte subbuglio,  agitata da un nazionalismo di cui si facevano portatori gli italiani. Sì, ma non tutti. In effetti -  mi  raccontava lo zio - erano gli italiani del popolino e la parte più intellettuale della borghesia ad avercela con Vienna, tanto che uno di loro, per spregio, aveva discusso la tesi a Vienna in latino, pur di non parlare il tedesco. La Trieste che contava, la Trieste ricca, mandava i figli nelle scuole tedesche, li laureava a Vienna, e plaudiva a Franz Josef, di cui imitava lo stile, la misura e l'ordine, decisamente teutonici, ma badava soprattutto a diventare ricca e a godersi la vita in quella città bella di una bellezza inconsapevole e quasi oltraggiosa. Quando i burocrati austriaci passeggiavano sui moli o sedevano nei caffè, stile viennese, gli occhialini sul naso, un'innata alterigia, la gente li salutava con deferenza e invidia. Sembravano i milanesi di oggi, ma zia Maria diceva sempre: "Sotto l'Austria xe magnava cinque volte al giorno... ", quando nella cucina profumata di basilico e rosmarino, m'imboccava tentando di infrangere il mio ostinato rifiuto del cibo con dolci slavi e racconti , mentre fuori la bora soffiava e il mare si faceva cupo... La famiglia della nonna Ina, nonna  da parte materna, non aveva abbandonato un'isola di pescatori per raggiungere Trieste, "in fuga" dalla fame e dalla miseria, come la famiglia paterna, ma era stata parte di un altro doloroso esodo: quello degli istriani dall'Istria. Io non sono mai stata nell'isola di Lesina, né all'interno dell'Istria, ma conosco tutto di quei luoghi: quei cieli di un azzurro diverso, quei paesi con la chiesa da una parte della piazza principale e con l'osteria dall'altra, quelle pinete, quel mare mi sono stati raccontati. 
Ammantati di rimpianto e di dolore....

giovedì 10 settembre 2015

Parole, parolacce e realismo politico

E la Cancelliera di ferro si ammorbidisce, si scioglie... Sono ingenua, ma non tanto da non sentire puzza di bruciato. La Germania sceglie gli immigrati ai quali offrire ospitalità: tutti rigorosamente siriani  utilizzabili - anche se non nell'immediato, ma il più rapidamente possibile, ha precisato Yunker da Bruxelles. -  per fornire carburante, leggi manodopera qualificata a basso costo, alla locomotiva tedesca. 
Prendere atto che nessuno potrebbe contenere o fermare questa migrazione biblica, trasformando un problema, a prima vista irrisolvibile, in una opportunità per il suo Paese e poi, non paga, organizzare, con l'efficienza tedesca l'accoglienza in vista di una rapida assimilazione, il tutto con tanto di sorrisi ed esposizione di buoni sentimenti per rifarsi della figuraccia fatta nella trattativa con la Grecia, mi sembra una risposta fattiva, e non solo verbale. Mi sembra che la Germania e la sua Cancelliera abbiano dato prova di un sano realismo politico.
L'Italia, eccellente  nel soccorso in mare, ammirevole per il silenzio del Sud che non ha dato spazio al rifiuto, alla protesta, ai timori (anche giustificabili), espressi soprattutto nella parte settentrionale del Paese, non avrebbe potuto fare una scelta simile, battendo sul tempo la Germania? Il nostro Paese è in prima linea da anni sul fronte dell'immigrazione, ma non ha la classe politica che ha la Germania, non ha la sua ricchezza, non ha la sua potente struttura organizzativa; ha in compenso la mafia, la corruzione, la mano sempre pronta a rubare. E così il sacrificio di molti si annacqua e non risalta a causa dell'avidità truffaldina di troppi. Per l'ennesima volta. 
Salvini - per fare l'esempio più clamoroso - non tema e non tremi di fronte all'invasione dei "barbari"... Gli equipaggi silenziosi e coraggiosi delle nostre motovedette li aiutano a sopravvivere (non sempre, purtroppo), ma per vivere scelgono altri paesi. La crociata contro i musulmani che rubano il lavoro agli Italiani denuncia non solo un'anima sterile, ma soprattutto la pochezza politica, lo sguardo corto, la strategia a lungo termine carente sostituita, a stento, da un tatticismo fatto di parole, non di fatti. Anzi di parolacce...

lunedì 7 settembre 2015

La lunga marcia

Guardando le immagini della "marcia", con tanti bambini di tutte le età, tante donne, i vecchi, qualche invalido, una marea di ragazzi, mi sono chiesta quale fosse la molla capace di spingere quelle persone ad andare avanti, a non fermarsi, a continuare a marciare... Penso siano i figli, quei figli che, nonostante il loro mondo martoriato, continuano a fare, e che noi occidentali non facciamo più. Quei figli che una volta messi al mondo devono essere salvati. Costi quel che costi.

sabato 5 settembre 2015

L'immigrazione si tinge di rosa


Partoriscono, gridano distese sui binari, piangono silenziose e assorte come madonne, i figli addormentati  o urlanti fra le braccia, occhieggiano,  inconsapevolmente seduttive, spesso bellissime, sbarcando dalle motovedette in uno svolazzare di veli colorati. Sono le migranti: in fuga accanto ai loro uomini, esposte agli stessi rischi, anzi a un rischio in più.Molte di loro sono state stuprate, qualcuna è incinta. Si frappongono fra i soldati armati e i padri, i fratelli, i mariti quando l'esasperazione si tramuta in violenza. Difese dalla loro stessa vulnerabilità, da quei bambini che tengono tra le braccia, riportano gli uomini al controllo, all'uso delle parole e non dei pugni, dei fucili spianati e del terrore.
Dimostrano con i fatti che la vulnerabilità, o meglio, il rispetto che dovrebbe incutere possono valere più della forza...

venerdì 4 settembre 2015

I Valori fondanti dell' Europa?

Non li fanno salire sugli aerei, bloccano in piena campagna i treni sui quali si sono ammassati? E loro, i migranti, usano il mezzo più antico per spostarsi e deambulare: le gambe. Zaino (e bambini, almeno i più piccoli) in spalla e via... A piedi dall'Ungheria all'Austria. Non li fermerà nessuno. Dovrebbero ucciderli, ma le donne sanno che quei ragazzoni squadrati in assetto anti guerriglia non oserebbero mai sparare su donne e bambini... Li vedono agitare, interdetti, lo sfollagente con una mano, mentre con l'altra allungano una bottiglia d'acqua...
Qualcuno nasce, su una motovedetta sballottata dalle onde o in un stazione, troppi muoiono, inghiottiti da quelle stesse onde: è la vita che va avanti, mentre i Valori fondanti  dell'Europa unita, sbandierati a parole ma dimenticati nei fatti, riemergono... 
Questi popoli in fuga ci obbligano a una scelta di campo.
"No xe un mal che no sia un ben", diceva mia nonna. Noi li aiuteremo a salvarsi dall'inferno della guerra, loro ci daranno una mano a riscoprire realmente quanto  il benessere prima, e la crisi successivamente, siano riusciti a modificare (noi europei) nel profondo. La guerra non conosce confini e questa fiumana inarrestabile la porta nel profondo delle nostre coscienze... Bisognerà schierarsi, eh già non si potrà più girarsi dall'altra parte, bisognerà guardarsi dentro e scoprire di che pasta siamo fatti... Tutti quanti.

domenica 30 agosto 2015

Gli occhi di tutti quei bambini mi perseguitano, mi seguono nella notte, entrano nei miei sogni e li trasformano in incubi. Sono bambini spesso orfani, segnati da esperienze terribili. Guardano il filo spinato, i soldati che sparano lacrimogeni... Sono scene che non dimenticheranno mai più. Qualcuno di loro è destinato a scriverlo, a raccontarlo questo dramma, questo esodo biblico. Tra loro ci sono futuri scrittori, pittori, terroristi. Per questo guardano, annotano tutto, registrano parole in lingue che non conoscono... Crescono in fretta gli orfani di guerra, gli orfani di tutte le guerre. Scippati dell'infanzia, con occhi di vecchi in corpi di bambini, ci inchiodano alle nostre responsabilità. Presenti e passate.

lunedì 3 agosto 2015

Divertiti, mi raccomando...

"Divertiti, mi raccomando!" E il ragazzino o la ragazzina si allontana, sulla macchina del padre o di un amico più grande. Dove va, cosa cerca? Va in discoteca e cerca lo "sballo", che non è il ballo con una esse di troppo anteposta per errore... No, non basta più il ballo, non è più sufficiente... La nuova frontiera del piacere (?) è lo sballo. Cerco di capire. E' questo perdersi in un universo dove tutto è esasperato? In un inferno di suoni, tra sciabolate di luce, pigiati come sardine, scatenandosi a tempo di musica? Tutti insieme, ma soli. Non si parla, non serve: i convenevoli ai quali la mia generazione era abituata non ci sono più: presentazioni, scambi di numeri telefonici, mani sudate, timidezze brufolose, saliva azzerata? Tutto scomparso. Alcolici e pastiglie rendono spigliati. Disinibiti. Il sesso è consequenziale. Anonimo. Al mattino, rientrati nelle loro case, ricorderanno di averlo fatto? Con chi? Come? O non ha più importanza?Sono diversi dai ragazzi che li hanno preceduti? Vogliono o devono essere diversi? Sono i ragazzi del '99... No, non quelli che morirono sui campi di battaglia, il tempo ha fatto una giravolta di un secolo. Questi muoiono in discoteca per una pillola colorata di troppo, ingoiata per obbedire al nuovo imperativo, a quel "divertiti, mi raccomando" sul quale dovremmo riflettere. Seriamente, molto seriamente facendo capire  a figli e nipoti che è passato un secolo, ma che i giovani possono essere ancora (e sempre) "carne da macello", anche se in modo apparentemente così diverso.

domenica 5 luglio 2015

Evviva!

La giornata parte in sordina: caldo umido, appiccicoso. Mi sveglio pensando ai greci... Devono avere una fifa blu. Ci sono andati giù pesanti., "loro", quelli della troika. Hanno ipotizzato scenari da tregenda là dove c'è il vuoto dell'inesplorato, là dove a indicare la non conoscenza dei luoghi sulle carte geografiche si scriveva: "Hic sunt leones". Avranno, i greci,  il coraggio di affrontare i "leones"? Con quel condottiero senza divisa, senza gradi, in camicia bianca senza nemmeno la cravatta ?
Alle 18, ora italiana, chiuderanno i seggi. Aspetto. Chissà...
Mentre mangiucchio e tento, senza riuscirci, di leggere qualcosa, le ore passano; la speranza si alterna alla sfiducia. Non credo vincerà il "no". Sono troppo spaventati, sono soli, senza un euro... Letteralmente. Mi chiedo cosa farei al posto loro. Non lo so, bisogna trovarcisi, nelle situazioni difficili...
Mi appisolo sul divano; nonostante il caldo insopportabile la giornata estiva scivola via: lenta ma inarrestabile. Come sabbia in una clessidra. 
Hanno chiuso i seggi.
Comincia lo spoglio delle schede.
No?!, No, non è possibile... Sta vincendo il "no" e la vittoria non sembra nemmeno di stretta misura. 
Piango, rido, telefono agli amici. Me li bacerei uno a uno questi greci...
Non sono tanto ingenua da sottovalutare le enormi difficoltà che indipendentemente dalla vittoria del "no" si ergono minacciose davanti a Tsipras e a tutti noi europei, ma oggi lasciatemi godere questa vittoria del coraggio e della dignità, questa speranza di Futuro che si riaccende nel buio di una lunga, terribile crisi...  

mercoledì 1 luglio 2015

Tsipras e Renzi

Il  capitalismo finanziario mostra la sua faccia, quella autentica, feroce. E' faccia/feccia non più imbellettata (perfino Madame Lagarde ha dimenticato a casa la stola di seta, di solito elegantemente drappeggiata sulla spalla), è stop agli ordini travestiti da raccomandazioni e ai sorrisi di circostanza.
Tsipras va punito per la sua arroganza, la sua ribellione. Potere decisionale al popolo greco? Ma stiamo scherzando? E se a qualche altro popolo venisse l'idea di fare la stessa scelta? I tedeschi  li conosciamo bene, sappiamo di cosa  possano essere capaci, ne conosciamo l'ottusa, stolida,  fermezza. Tutta l'Europa ne ha fatto le spese... Strano che nessuno se ne ricordi. Forse perché tale e tanta fermezza è ora al servizio del capitalismo più feroce, puntellato dalla globalizzazione, privato di ogni valore che non sia puramente economico? Quel capitalismo che chiude la porta in faccia  a chi fugge dalle bombe, quel capitalismo che a tutela degli interessi di pochi sta affossando l'Europa, creando disoccupazione e, conseguentemente, miseria per molti. Ma lo capite, lo capiamo che la cosiddetta troika sta tutelando gli interessi di una casta che nulla ha più a che fare con noi, gente comune, "popolo europeo". Lo capite, lo capiamo che il "gioco" è ormai squisitamente politico? Tsipras non è Renzi, Tsipras non ha rottamato i valori... Tsipras è un rappresentante
del popolo che lo ha eletto, non degli interessi di una élite economico/politica dalla quale aspetta di prendere al volo l'osso che spetta ai cani che scodinzolano, servili, intorno al padrone.
Non so che cosa voterà il popolo greco, non so se prevarrà il no, temo che, spaventata, la gente opterà per il sì, e, a questo punto Tsipras sarà in ginocchio e i sogni - come quasi sempre avviene - "moriranno all'alba"...

domenica 14 giugno 2015

Immigrazione e questione greca

L'Europa? Se è questa non mi piace e, soprattutto, non mi rassicura. Questi burocrati ingessati in abiti grigio ferro che passano da un incontro a una riunione, lasciandosi dietro stitici comunicati fatti di parole vuote, sarebbero i supertecnici che dovrebbero risolvere i problemi dell'Europa? Insieme? Al momento sono alle prese con due emergenze: la questione immigrazione e la questione greca. Per quanto riguarda la prima si sono trovati d'accordo solo sul rifiuto ad accogliere gli immigrati, scaricando il problema sull'Italia.
La "civilissima Europa" ha radici cristiane... così ci era stato detto, ma al "bussate e vi sarà aperto" si è risposto blindando le frontiere e mandando l'esercito a presidiarle. Il nemico da cui difendersi? Poche centinaia di immigrati con donne e bambini al seguito. Alla stazione di Milano distribuiscono acqua, pane e una mela a testa. A pochi metri di distanza, all'Expo, si ciancia sulla fame nel mondo. Non è rimasto qualche avanzo in questi giorni, qualche briciola del gran banchetto da gettare a questi affamati? Per dare loro, assieme al pane e all'acqua, un po' di companatico? 
Sulla questione greca mi limito a osservare che era stato previsto che un paese potesse uscire dall' Unione, ma nessuno, dico nessuno, aveva ipotizzato si potesse uscire dall'euro. Niente Piano B, insomma! Stanno tentando di elaborarne uno ora, in piena emergenza. 
Ci voleva un bambino eritreo, sporco, arruffato e affamato che allungando la mano dicesse: " Il re è nudo!"
perché, finalmente, aprissimo gli occhi. Tutti:

Il naso di Pinocchio si allunga...

Qualcosa non quadra: ci sarebbe in atto un esodo di proporzioni bibliche, i numeri forniti da alcuni mezzi d'informazione parlano di migliaia d'immigrati sbarcati ogni settimana negli ultimi mesi; ora non più soltanto a Lampedusa e sulle coste siciliane ma anche a Trieste e a Udine, la nuova Lampedusa d'Italia. Non dimenticandoci di coloro che bivaccano a Ventimiglia o assediano le stazioni di Roma e Milano... Poi scorro le immagini, mi soffermo con attenzione sui numeri, tiro un po' le somme e il bilancio non quadra. 150 persone che dormono per terra in una stazione - anche di ampie dimensioni come quella di Milano - si "sentono", disturbano, non fanno una bella impressione - si pensi soprattutto ai passeggere delle "Frecce" in visita ai padiglioni dell'Expo- , ma sono 150/200 persone! Portano via il posto ai barboni? E gli altri dove sono? Sembrerebbe nei Centri di accoglienza, già da mesi al limite della loro capienza.
Poi un'altra notizia mi colpisce: il balletto tra la Grecia e la "troika". L' Europa, quella che conta, quella che manda l'esercito alle proprie frontiere per respingere poche centinaia di poveracci, da egoista si fa improvvisamente altruista  e ben si guarda dal far fallire la Grecia. Per generosità? Non direi visto che le loro ricette per superare la crisi e ottenere i tanto attesi aiuti prevedono per i greci "lacrime e sangue":
I giornali strombazzano che "non si può far fallire la Grecia"... Per la Grecia o per l'Europa? Il ritorno a una dracma svalutatissima potrebbe far ripartire le esportazioni, incrementare il turismo e, chissà, indurre qualche altro paese (Spagna, Italia, Portogallo ecc.) a seguire l'esempio della Grecia. E tutta la costruzione europea, che si riduce e concentra soprattutto nell'euro, rischierebbe di crollare...
Allora due domande: quali sono le notizie prioritarie e quali le vere grandezze in gioco e a chi conviene falsare i dati? 

venerdì 5 giugno 2015

Equipaggi nello spazio...

Oggi posso dire con una certa serenità che sono uscita dalla gabbia nella quale la malattia di Parkinson(e la mia iniziale incapacità di gestirla) mi avevano relegato. I medici, con i quali ho avuto rapporti scarsi, poco empatici e a volte tempestosi, in quella gabbia mi avevano rinchiusa, e poco o nulla era stata in grado di fare la mia famiglia per farmi uscire da quell'inferno. Stralunati come me dalla diagnosi, i miei familiari avevano reagito con la fuga, l'aggressività nei miei confronti e/o un ostinato rifiuto ad affrontare una malattia (neurologica, progressiva e degenerativa) che soltanto a nominarla fa accapponare la pelle.

Confusamente, come una gallina cieca alla ricerca del suo chicco, ho avvertito l'ostinato bisogno/desiderio di potermi confrontare, farmi consolare e ottenere delle informazioni in merito alla mia malattia. A queste diverse necessità hanno risposto, in modo eccellente,  i GRUPPI PARKINSONIANI che sono sbocciati, nel nostro Paese,  come margherite sui prati in primavera. Animati (tutti?) dalle migliori intenzioni.

Questi gruppi, che si sono dati delle regole, un organigramma, obiettivi e strumenti per conseguirli, hanno acquisito una fisionomia diversa e distinta uno dal'altro.

Alcuni hanno puntato soprattutto sulla necessità di fornire informazioni sulle problematiche  relative alle difficoltà che incontra un parkinsoniano ancora impegnato sul fronte del lavoro: valutazione del deficit da parte delle Commissioni di invalidità, documentazione da fornire, individuazione dei farmaci a carico del Servizio sanitario e ticket, corsi riabilitativi gratuiti o a pagamento, fornitura di sussidi (materassi per invalidi, girelli, stampelle, poltrone, eliminazione delle barriere architettoniche nei condomini di residenza, nonché computer e automobili soggetti non solo a riduzione dell'Iva ma anche a deduzione della imposte da pagare nella dichiarazione annuale dei redditi).

Altri hanno puntato soprattutto sulla necessità di dare «visibilità» a una forma di handicap che non è conosciuta per ciò che effettivamente è, dando adito a discriminazioni spesso offensive che portano a confondere il malato parkinsoniano con un alcolista, un drogato, un demente, o comunque con persona non in grado di intendere e volere, a causa delle manifestazioni esteriori della malattia ( tremori, balbettii, incertezza nella deambulazione, espressività del volto ridotta o mancante, fissità dello sguardo, lentezza di riflessi ecc).

Altri, ancora, hanno privilegiato il contatto tra i soci, gli incontri, la valorizzazione di rapporti empatici puntando a spronare gli iscritti a combattere la malattia e a non arrendersi.

Non mancano i gruppi che si propongono la valorizzazione dei talenti nascosti che il Parkinson, o meglio i farmaci che lo curano, sembrerebbe non solo svelare ma anche (complice la terapia?) potenziare, stimando che la creatività possa avere una valenza terapeutica da non sottovalutare.   

Ciò detto, quale sarebbe il problema? Alcuni dei responsabili di queste associazioni, al grido di «l'unione fa la forza», ritengono che si potrebbero riunire tutti i gruppi sotto un'unica bandiera, standardizzando regole e obiettivi, con un organigramma ben studiato e informatizzato. Altri, resi diffidenti dalle difficoltà già sperimentate nei gruppi di dimensioni ridotte incontrate nell'armonizzazione di istanze diverse, si dichiarano restii ad aderire a questo progetto. L'unione fa indubbiamente la forza, specialmente in un mondo che la globalizzazione ha abituato ai «grandi numeri», ma richiede la capacità (e la volontà) di rinunciare al proprio potere in favore di un potere di gruppo e in ossequio al principio democratico che fa vincere la maggioranza. Richiede che non ci sia un «capo», o che sia un primus inter pares. Dare una «struttura» non rischierebbe di burocratizzare, spegnendola, la fantasia, la spontaneità, l'entusiasmo dei gruppi? E se invece i gruppi, mantenessero la loro autonomia e si stabilissero solo incontri periodici per «confrontare» i risultati conseguiti?

Per formare gli equipaggi da inviare in missione nello spazio, gli scienziati americani si erano accorti che non potevano inviare un solo astronauta. Si intristiva. Due, già meglio, anche se litigavano. Tre, impensabile: due si coalizzavano, isolandolo, contro il terzo. Quattro? Si combattevano due contro due, ma almeno ad armi pari…


Ahahahahah, il problema è serio e l'alternativa antica quanto il mondo: l'Europa e la difficoltà di renderla autenticamente unita, ci insegnano qualcosa. Io mi sono limitata ad alcune riflessioni…

lunedì 1 giugno 2015

TANTI CARI AFFETTUOSISSIMI AUGURI, ALESSANDRO!

mercoledì 27 maggio 2015

Avventure (e disavventure) di una Parkinsoniana


Eh sì ragazzi, sono rientrata “alla base; mi sono rituffata nel fiume della Vita, quella vera, non più protetta da infermiere gentili, medici disponibili, pranzi pronti, impegni sospesi. Svuoto la cassetta della posta: bollette da pagare, rivista della Coop, estratto conto bancario… Nulla di invitante, men che meno di elettrizzante. Mistero, eccitazione, novità, buone o cattive siano, viaggiano ormai su Internet: un tocco di virtuale illumina il reale, sempre o quasi.
Oggi ho un appuntamento per una visita medica all’ospedale. Problemi di denti. Per farla breve non trovo nessuno che mi sappia dare informazioni certe sul mio diritto a essere curata per problemi di masticazione. 
La nuova legge sull’assistenza nazionale impone la presentazione (previa richiesta) dell’I.S.E.E, una sorta d’indicatore reddituale/ patrimoniale che deve essere richiesto all’Inps fornendo, come novità rispetto alla precedente normativa, anche dati bancari. Non più il saldo del c/c al 31/12 (facilmente manipolabile), ma tutta la movimentazione dei propri conti bancari con determinazione della consistenza madia annuale. Inoltre basta avere una casa di proprietà per “sforare”. Come sempre solo gli evasori totali o parziali possono rientrare nei parametri previsti. Non sono abbastanza povera, ma neppure sufficientemente ricca  (preventivo 19.000 euro) da avere diritto a questo tipo di assistenza. Inoltre i dentisti privati interpellati mi considerano a rischio: parkinsoniana e, come non bastasse, piena di magagne, allergie… Insomma temono  li rimanga là, in studio, secca come un baccalà. Stecchita.
Ma non è finita. Se manca la vulnerabilità economica la legge prevede quella sanitaria, valutabile ricorrendo ad un elenco di patologie che scorro con una certa ansia scoprendo che la sclerosi a placche è contemplata, il Parkinson no. Perché? Mistero.  Quindi non sufficientemente povera , né sufficientemente malata. Ma  mi salverà, forse, una di quelle definizioni all’italiana che lasciano aperto uno spiraglio: handicap psicofisico (certificazione legge 104 o attestato di vulnerabilità sociosanitaria).

Non cammino, sono un po’ tocca… Qualcuno si prenderà cura di me? Vi saprò dire.

mercoledì 4 marzo 2015

Eh no, direttore...

Eh no, direttore, non mi venga a dire che non si può uscire dall'euro, non perché si finirebbe in balia dei mercati finanziari. Si è dimenticato dello spread, di quel governo Monti racimolato in gran fretta, di quei provvedimenti "lacrime e sangue" (comprese quelle fasulle del ministro Fornero), per fermare la speculazione? Speculazione che aveva scommesso sul fallimento del Paese. A causa soprattutto del livello raggiunto dal debito pubblico?
Lei sa meglio di me, direttore, che i mercati finanziari si muovono prima che avvengano i fatti, si muovono sulla base dei "sospetti", delle "voci" , delle aspettative, e il sospetto del default italiano - più che giustificato - nasceva dalla impossibilità di stampare moneta, non dal livello raggiunto dal debito. La Banca d'Italia, dopo la nostra adesione all'euro, non è più banca d'emissione. Gli Usa hanno un debito ben più alto del nostro, ma non sono "attaccati" dalla speculazione finanziaria, proprio perché possono stampare dollari come e quando vogliono, e, se così facendo svalutano la loro moneta, non se ne preoccupano perché favoriscono le esportazioni del loro paese.
Non le sembra strano che i "Trattati" istitutivi dell'euro e dell'Unione non abbiano previsto - e quindi regolamentato - la possibilità per un qualunque paese membro di uscire dall'euro? Tanto più che è invece possibile uscire dall'Unione.
Non sarà, direttore, che il danno, lo tsunami finanziario colpirebbe più i paesi ricchi - lascio alla sua fantasia immaginare quali - e al loro interno, le classi sociali abbienti più che i lavoratori. Anche perché la svalutazione della moneta favorisce i debitori e penalizza i creditori. Quindi i grandi gruppi finanziari, le banche e via discorrendo.Tanto per cambiare...
Gli interessi da tutelare sono sempre gli stessi, e non sono certamente quelli dei lavoratori.

mercoledì 25 febbraio 2015

Io non sono il Parkinson.

Arriva veloce e un po' ingobbita, come un passero infreddolito. Giacca color turchese, parrucca portata con disinvoltura appena infastidita... Emma Bonino, ospite d'onore a Ballarò, non esibisce il suo cancro, ma ben si guarda dal nasconderlo. Lo vive, ci convive.
"Come ha reagito a una diagnosi così pesante?" le chiede l'intervistatore.
"L'impressione iniziale è stata di estraneità, quasi la 'cosa' non mi riguardasse", risponde.
"Ma poi ha deciso di rendere pubblica la sua malattia. Perché?"
"Per renderla più gestibile nel quotidiano e per comunicarla più che agli altri a me stessa, per riportarla a me".
L'intervistatore cerca di ancorarla a quel cancro, ma lei scalpita, se ne distacca, riprende il largo verso altri problemi, quelli di cui si è occupata, e si occupa, da una vita.
"E' sbagliato considerare i malati persone di serie C, ignorare la complessità, 'rottamare' l'esperienza, parlare usando slogan".
E' la Bonino di sempre, paladina appassionata dei diritti negati, soprattutto alle donne. Diretta, tagliente, asciutta.
La complessità va gestita, l'esperienza utilizzata, gli slogan evitati, dice, e, in una manciata di minuti ci (mi) dà una indimenticabile lezione di vita e di coraggio.
Grazie, Emma, per avermi ricordato che tu non sei il cancro e io non sono il Parkinson.

venerdì 6 febbraio 2015

TANTI AUGURI JACOPO...