mercoledì 22 aprile 2009

Amore

Amore

Alzò gli occhi e i loro sguardi s’incrociarono.
Si sentì tremare. Dentro.
Il sangue affluito al cervello, picchiando sulle tempie, le annebbiò lo sguardo.
Un’energia inaspettata le mosse i fianchi al ritmo di una melodia che aumentava d’intensità.
I piedi incominciarono a battere sul terreno, mentre le braccia disegnavano spirali … ta,ta,tata, tari ta ta , ta,taaaaa.... veloci, sempre più veloci..
Lui l’aveva invitata a ballare.
Ballare?
Avrebbe potuto volare, come un aquilone ubriaco di vento.
Avrebbe potuto cantare, con quella sua voce stonata che, lo sapeva, ormai lo intuiva, si sarebbe potuta levare alta e limpida come quella di una solista, confusa tra i ceri, dietro l’altare di una chiesa.
Era lui il suo amore.
E, ora, avrebbe potuto anche morire perché, anche se solamente per un istante, aveva riafferrato la vita e, a quella baldracca senza tempo, i grandi occhi chiari gravidi di ricordi, aveva riso in faccia.

La prima stesura

L’inizio c’era e anche una serie di episodi significativi catalogati in ordine temporale. Incominciai a legarli tra loro attraverso il racconto di una quotidianità che si avvaleva di immagini vissute, lette, elaborate nel tempo. La storia minuta, umile, scandita dai pasti, dai risvegli e dalle colazioni, dagli inevitabili attriti e nervosismi legati alla convivenza in spazi ristretti, faceva da contraltare domestico alla Storia, la grande storia, che seguiva il suo corso, spesso appena percepita dai singoli, se non di fronte alle grandi catastrofi come la Prima guerra mondiale che, irrompendo sulla scena del romanzo, coagulava intorno ai disagi, alle morti e alla fame l’attenzione e le priorità di tutti i componenti della famiglia.
Trieste, provincia inquieta e ribelle dell’Austria Ungheria, irredentista, ma a “macchia di leopardo" poiché non tutta la borghesia auspicava il ritorno alla madre patria, circondata da contadini carsolini di lingua slava, abituata al rigore amministrativo, alla cultura e alla incorruttibilità dei funzionari austriaci, era ed è città dalle molte anime che esprimono una triestinità complessa e particolare, difficile da capire per chi non l’abbia vissuta sulla propria pelle. Anche nella famiglia Odero i figli crescendo sveleranno anime diverse in cui si rifletterà come in un gioco di specchi la complessità che è propria della città che li ha accolti. E’la difficoltà d’inserimento che travaglia chi lascia la propria terra, ma si porta nei cromosomi un'inalienabile specificità culturale. La città, ricca e liberale, vivrà una sofferta e deludente riunificazione alla madre patria, farà i conti con il fascismo, le leggi razziali e il disastro della Seconda guerra mondiale, la Adriatisches Kustenland e l’orrore della Risiera di San Sabba.
Il romanzo si concluderà con la liberazione di Trieste, l’occupazione titina e il sentore dell’aspra contesa territoriale di cui la città sarà oggetto tra gli alleati occidentali.
Un confine vagante che, prima di dividere terre, giardini, case e camposanti attraversando, invisibile e/o immaginario, anche la coscienza e l’anima dei protagonisti, diventerà simbolo per ogni triestino di "un'identità di frontiera".
(continua)