martedì 23 giugno 2009

I Dellapicca.

I giocolieri lanciavano gli anelli e li riacciuffavano tra gli applausi del pubblico, mentre l'acrobata ruzzolava sul pavimento e si esibiva in piroette e volteggi. Il gran finale vedeva una piramide umana con i due giocolieri e l'acrobata appollaiati sulle spalle del Moro, mentre un cane ammaestrato percorreva in lungo e in largo la pedana, allestita per i musicisti e lo spettacolo, ritto sulle zampe posteriori. La festa si animava e dalla cantina salivano i servitori con le ceste colme di bottiglie, mentre gli ospiti si scatenavano in balli meno compassati e la sarabanda e la ciga prendevano il sopravvento. Il Veneziano, sotto lo sguardo vigile della madre di Maria, tentò un paio di volte di indurla a seguirlo sulla terrazza o nello studio, ma la ragazzina assunse immediatamente quell'atteggiamento che l'aveva colpito nella locanda: un distacco composto e fermo, addolcito da quel sorriso appena accennato. Poco dopo sua madre, dopo essersi complimentata per la riuscita della festa, si allontanava accettando soltanto di essere accompagnata dal Moro fino alla locanda, per evitare spiacevoli incontri nella notte.
Sigismondo, deluso, si guardò attorno: molti ospiti ciondolavano ubriachi, altri avevano iniziato a cantare stonati nel loro dialetto, avanzi di cibo macchiavano le tovaglie e molte candele si erano sciolte attenuando la luce nel salone, mentre i partecipanti alla festa cominciavano a andarsene, dopo averlo salutato sprofondandosi in tentativi scomposti di inchini. Si versò un bicchiere di vino e con la caraffa in mano si avvicinò alla porta che dava sul terrazzo.
La notte, scura e senza stelle, sapeva di mare. S'intravedevano le sagome dei velieri e le chiazze chiare delle vele, qualche oblò illuminato dalla luce di una candela rompeva l'oscurità e nel silenzio arrivava fino a lui il suono della risacca che il canto sguaiato di qualche ubriaco per un attimo sovrastava. Una donna gli si avvicinò: indossava un costume da odalisca cucito maldestramente. Ai piedi, zoccoli. Zoccoli! Belloccia e invitante esibiva una femminilità greve, priva di sfumature. Ridacchiava borbottando qualcosa. Sigismondo pensava al raffinato gioco seduttivo a cui era abituato, a quelle feste che si protraevano fino all'alba, alle danze aggraziate, al gioco dei ventagli che, come quello dei nei, invitava o negava, maliziosamente. La notte e la delusione di non avere nel suo letto Maria gli davano una sensazione profonda di malinconia e solitudine facendo affiorare il vuoto che la sua anima celava. A quel nulla che lo spaventava, si sottrasse chiudendo gli occhi e sprofondando tra le braccia di quella sconosciuta alla quale, senza chiedere nemmeno il nome, si aggrappò, trascinandola, un po' brillo, fino alla sua camera da letto.
Poco dopo, un baluginio fosco sul mare, annunciava la nascita di un nuovo giorno. (continua...)
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Vi invito a leggere questa lettera....

Leggere Lolita a Teheran

Anni fa, mi capitò tra le mani “Leggere Lolita a Teheran”, la storia di Azar Nafisi, insegnante universitaria iraniana e delle sue ragazze, un gruppo di studentesse che si riunivano nella casa di Azar, per leggere e discutere di letteratura occidentale. Sveglie, intelligenti e piene di curiosità cosa volevano sapere? Cosa si dicevano in quei pomeriggi tra una tazza di tè, un cioccolatino e un rombo di aerei nemici che sorvolava la città, scaricando bombe sulle loro case?
Volevano conoscere l’altra faccia della luna, quella che nel loro Paese veniva negata, messa all’indice. Volevano sapere per discuterne tra loro, liberamente. Volevano parlare di politica e diritti, sessualità e libertà. Sì, volevano parlare di tutto, senza censurare i pensieri e le parole che avrebbero usato per esprimerli. Volevano leggere gli scrittori occidentali e cominciarono da Nabokov, da quel libro “Lolita” considerato scandaloso, osceno.
Ricordo quella loro cresciuta intellettiva e umana, le confidenze che si facevano più spinte, i discorsi sulla sessualità, il bisogno di libertà che faceva capolino e cresceva mentre le vesti nere che indossavano diventavano, per alcune, mortificazione di una bellezza che non era più soltanto del corpo, ma anche della mente. La capacità critica emergeva prepotente, i processi logici si facevano stringenti, consequenziali mentre il desiderio di libertà diventava più forte di giorno in giorno. La loro insegnante, liberandone le menti, le sospingeva verso la libertà dei corpi, delle idee, delle parole. Sempre più difficile risultava paludarsi in neri abiti, nascondere i capelli, accettare la proibizione anche del canto, mentre cominciava a apparire assurdo non uscire con un uomo, non scegliersi un compagno, chinare la testa e continuare a essere sottomesse.
Vedendo morire quella giovane, bellissima ragazza, i jeans macchiati di sangue, le mani disperate del suo ragazzo a raccoglierne il capo, a cercare di frenare l’emorragia di sangue che se la sarebbe portata via in pochi minuti, ho pensato a quel libro.
Ho pensato a Azar e a quelle ragazze.
A tante oscure Azar.
A tante oscure ragazze.
Alla stupidità di chi pensa che il bisogno di libertà si possa soffocare, quando esplode.
A colpi di pistola.