sabato 3 luglio 2010

Ultima puntata de "La casa delle bambole"

"Cosa stai cercando: numeri, parole?"
"Non lo so... " mi rispose Gloria.
Poi aggiunse:  "E' una storia d'amore, anzi di passione e... di morte".
"Qual è la parte che  hanno avuto i miei genitori? Vorrei saperlo..."
Lei mi guardò, poi aggiunse: "Se mi darai l'informazione che mi consentirà di fare giustizia... Be', forse...".
"I protagonisti della storia d'amore... " attaccai io.
M'interruppe, ripetendo imperiosa: "Dimmi!".
"E' una canzoncina che mia madre m'insegnò e  che improvvisamente mi è tornata...".
Impaziente, con un secco "Scrivimela!", accennò con un gesto ai fogli che stavano sul tavolino.
Afferrai una penna e scrissi: "Ambarabà, ciccì coccò... " ma tralasciai la parte che dava quei tre numeri: 23, 21 e 28. Poi fissai Gloria negli occhi, dicendole: "Be', questo è quanto ricordo con assoluta precisione".
Un lento incredibile sorriso le fiorì sulle labbra, mentre i suoi occhi, illuminati dal riflesso della lampada, sembrarono accendersi come il fuoco di un bivacco, comunicando la stesso calore, la stessa sensazione di conforto. Sfogliava con attenzione il libro, dandomi l'impressione di avere colto il significato di quella serie di numeri, trasfigurata dalla felicità alla quale sembrava abbandonarsi mentre il suo collo fletteva, le spalle si scioglievano quasi avesse posato a terra quel sacco di pietre, quella zavorra di dolore e odio a cui aveva attinto per continuare a cercare, a frugare nelle pieghe di un passato che non poteva, che non doveva essere dimenticato.
"Nostro padre si chiamava Giovanni... " mormorò aggiungendo "e questo libro gli apparteneva".
"Ecco perché mia madre ha voluto che mi chiamassi Giovanna" la interruppi.
Lei ebbe un momento d'incertezza, sembrò annaspare alla ricerca di qualcosa e guardandomi disse: "Sei sicura non ci siano altri numeri?"
Cosa dovevo fare? L'informazione che le avevo appena dato si era rivelata quella giusta. Ora ero in vantaggio in quella partita senza esclusione di colpi che stavamo giocando e ne approfittai per dirle: "Voglio mia figlia, Gloria, lasciala libera e... "
Senza consentirmi di finire la frase, sibilò tra i  denti  "Non fare la furba con me, non correre inutili rischi! Dammi questi ultimi dannati numeri e... facciamola finita!"
"Perché dovrei fidarmi?" le risposi, diffidente.
"Puoi concederti di non farlo?"
"Dai l'ordine di liberarla e avrai l'ultima informazione, quella che ti consentirà di portare a termine il tuo piano".
Gloria sembrò riflettere, le guance arrossate dall'agitazione ora sfogliava il libro, fermandosi  su una pagina mentre l'occhio le cadeva sul foglio che le avevo dato e il suo viso esprimeva lo sforzo di capire.
"Quanti numeri mancano?" chiese.
"Tre" le risposi.
"Dammi il primo e darò l'ordine di liberare tua figlia".
"Ven... " cominciai. Esitante.
Lei pendeva dalle mie labbra.
"Ventitré!"
Sfogliò il libro andando alla pagina 23, poi però lo aprì sulla pagina 21, leggendo un'annotazione a matita.
Quindi  sollevò la testa e mi sorrise dicendo: "Nostro padre si è fidato di tua madre, le aveva giurato che, finita la guerra, l'avrebbe rintracciata... Oppure, nell'ipotesi peggiore, le avrebbe mandato un messaggio, l'ultimo, da conservare e... l'anello che lei gli aveva regalato".
"E il trait d'union tra loro due fu l'uomo che mi fece da padre" sussurrai.
                         "Nostro padre raccolse e annotò su questo libretto tutto ciò che riuscì a sapere sul campo, ma come commenti apparenti alla storia narrata, poi, quando capì che stava morendo frantumò tra persone diverse (sapeva che pochi prigionieri sarebbero usciti vivi da Auschwitz) le informazioni necessarie per interpretare quelle annotazioni. Ogni destinatario passò l'informazione, prima di morire, al prigioniero meno provato.
Tuo padre fu uno dei pochissimi a salvarsi, un altro sopravvisse per qualche settimana grazie alle cure di un medico americano...".
"Così nostro padre riuscì a mantenere la promessa fatta a mia madre e a conservare traccia di ciò che la sua gente aveva subito" dissi.
"E la canzone?"
Di chi era quella voce maschile? Mi voltai: l'uomo che aveva fatto la domanda  era seduto accanto a me.
"E la canzone Giovanna?"
"Ma lei chi è? Come conosce il mio nome?"
"Allora rispondimi tu, Gloria" continuò l'uomo, il volto pallido come il camice che indossava.
Gloria rispose: "Nostro padre che aveva esibito già prima della cattura un nome falso, scoprì  subito l'identità di quel prigioniero finito nel suo blocco e gli fece credere di aver ricevuto l'anello da un prigioniero morente al quale aveva giurato di cercare questa misteriosa donna di nome Bianca.... Anche alcune annotazioni su questo libro riportavano questo nome e  i primi due numeri, giorno e mese, della data di nascita della madre di Giovanna. E' intuibile che l'anno fosse stato comunicato a qualcuno che non riuscì a sopravvivere. Soltanto l'anello ci permise di aprire la cassetta di sicurezza dove trovammo un riferimento alle annotazioni riportate in calce al  libretto rosso. Mancava l'ultimo anello della catena: quella canzoncina che era arrivata alla madre di Giovanna in qualche modo, quella filastrocca che lei le cantava la sera, a bassa voce, affidandola alla notte e ai sogni, ricordando l'uomo che aveva amato e chiamandola... "
A questo punto Gloria s'interruppe.
"Come ti chiamava tua madre, Giovanna?" le chiese dolcemente l'uomo.
"Quando il babbo non sentiva mi chiamava diversamente... ma era un segreto tra noi. Lei mi metteva a letto, cantava... "
"E?" disse l'uomo.
"Mi chiamava con un'altro nome!"
"Quale?"
"Non lo, non ricordo" gli risposi.
"Lo chiediamo a Gloria?"
"Non può saperlo" replicai, seccata per quell'intrusione ma anche succube di quella voce, di quella rassicurante presenza biancovestita.
"Ora sì, ora tu e Gloria sapete tutto una dell'altra: ognuna di voi racchiude l'altra" replicò quella voce maschile.
"Ambarabà ciccì, coccò... " cominciai a cantare con una voce che non mi apparteneva: una voce da bambina. che mi stupì.
"Come ti chiamava tua madre Giovanna?"
"Mi chiamava... "
"Ti  chiamava?"
"Gloria" gli risposi
"Come mai?"
"Non lo so" singhiozzai mentre qualcosa mi si spezzava dentro. L'uomo davanti a me sussurrava qualcosa, qualcosa che non capivo bene... Luccicarono elmetti e quella macchia rossa che sembrava una rosa appuntata sull'abito di mia madre si animò, allargandosi. Era sangue, sangue che le scendeva tra le dita arpionate all'abito mentre le sue mani si tendevano disperate a d afferrare il nulla... Io impietrita guardavo il suo corpo che si afflosciava, cadendo lieve sulla ghiaia del viottolo che costeggiava il roseto. L'urlo di mio padre si perdeva  nell'aria mescolandosi a parole sconosciute, aspre, che crepitavano ordini.... Ancora il suono spezzato e ritmato di un'arma e il cane,  balzato fuori dalla cuccia, si accasciava senza un guaito davanti ai miei occhi atterriti. Poi il silenzio  si congiungeva alla notte, a quel cielo senza stelle che tutto ingoiava: le finestre del manicomio, il laghetto e i roseti. Anche Giovanna sbiadiva, lentamente ma inesorabilmente, svaporando come una goccia d'acqua nella calura estiva. Gloria sbatteva le palpebre, spalancando occhi increduli di donna su un mondo che ricominciava ad assumere contorni definiti.
Tra quelle vite fatte a pezzi da un dolore infinito, una - almeno una - si ricomponeva, mentre il medico, passandosi una mano sul volto segnato dalla stanchezza, si chiudeva alle spalle la porta allontanandosi lungo il corridoio.