giovedì 30 gennaio 2014

DELA"POVERAGENTE"NOGHENEFREGANIENTE,NE'ABERLUSCANE'ARENZI...ISOGNI?TUTISPENTI...

lunedì 27 gennaio 2014

Non dimenticheremo

Arriva frettolosa, un po' piegata; sulla testa, allacciato stretto sotto il collo, quel fazzoletto che è diventato un simbolo. Si siede, tra Fazio e De Bortoli. Travalica ogni regola. Subito. Chiede a Fazio il permesso di dargli del Tu; gli stringe la mano.
Nelle fasi salienti del racconto, stringe o accarezza le mani di quei due uomini che le stanno accanto, cercando un contatto di pelle, più che un conforto una modalità di comunicazione più profonda. 
Fluiscono i ricordi: il nonno morto in un campo di sterminio, l'espulsione "da tutte le scuole del Regno" per lei: bambina rea di un solo crimine, quello di essere nata ebrea. Il binario 21, sepolto nelle viscere della stazione di Milano, punto di partenza per i "treni della morte", si materializza sullo schermo... Sembra di vederlo quel vecchio, sperso, confuso tra i deportati, scaraventato come un animale in quei vagoni tra preghiere, pianti, urla, imprecazioni. Il suono secco dei catenacci che suggella l'orrore...
Ma lei, lei non è su quel treno; l'intuito di sua madre, che ha convinto il padre a fuggire in Svizzera ai primi segnali di pericolo, l'ha salvata.        
Poi, a guerra finita, la famiglia approderà in Argentina. 
Il racconto s'interrompe, la sua mano nodosa di vecchia cerca quella fotografia agganciata sulla maglia, all'altezza del cuore e la sfiora. Ritrae la figlia, una ragazza diciottenne, una desaparecida, una delle tante di quella generazione fatta scomparire da militari e civili nell'Argentina di Pinochet. Lei, la madre, racconta della figlia prelevata a scuola, rinchiusa e torturata nelle prigioni del Regime, gettata in mare ancora viva...
Scorrono sullo schermo, ora, le immagini che la ritraggono, accompagnata da una ragazza, guida silenziosa, all'interno di quegli edifici che le fu consentito di visitare anni e anni dopo, quando lentamente, come dal mare i resti di un naufragio, affiorarono le tracce di quello sterminio, i contorni di quel nuovo, ma già subito, orrore.
La macchina da presa inquadra il suo volto, e lei non si sottrae. Guardo quegli occhi di vecchia e penso che non ho mai visto uno sguardo contenere tanto dolore. Siamo abituati a filtrare le emozioni, a tenerle sotto controllo. Ai funerali portiamo gli occhiali scuri, tra noi e chi ci guarda, a difesa, almeno il velo delle lacrime.
Ma questa donna, questa madre, non piange, il suo dolore ce lo getta in faccia, lo tiene alto come una bandiera, lo rivive con un'intensità che è, lo si capisce,  la stessa: da sempre e di sempre. E' un dolore che non solo non può, non deve essere attenuato dal tempo, deve essere tenuto acceso, vivo e intatto, dalla memoria.
Nelle immagini che, alternandosi al racconto, scorrono sullo schermo, lei chiede alla ragazza che l'accompagna: "C'era silenzio qui... Allora?" e, senza attendere una risposta, mormora: "Ci sono  tanti uccelli... Forse li avrà sentiti cantare, le avranno fatto compagnia... " e lo sguardo vira, si accende di speranza, di determinazione. 
De Bortoli e Fazio sono imbarazzati, abituati, come noi tutti (o quasi), ai minuetti della falsità, non capiscono o fingono di non capire che a certi sguardi non si possono opporre parole. 
Solo una silenziosa promessa: "Non dimenticheremo!".


domenica 26 gennaio 2014

Libri, ultima spiaggia

Storie raccontate, sussurrate, segreti svelati, risate solitarie, dialoghi serrati, emozioni  condivise, rabbia filtrata in sdegno, sapere seminato su terre ancora brulle, acqua per i germogli, vento di cambiamento, risposte per perplessi, dubbi a chi non ne ha, sogni solo sfiorati, tesori dimenticati... Questo mi schiuma dentro quando dubbiosa o stanca, disperata o incantata, mi rinserro nell'ultimo fortino a sparare parole colorate contro le cannonate...

sabato 18 gennaio 2014

Programmi televisivi

Concita De  Gregorio ascolta. Tutto in lei è elegante: l'abito che indossa, quella gestualità con cui accompagna, sottolineandolo, ciò che dice, il linguaggio che usa, il trucco appena accennato... Trasuda borghesia "illuminata". A giorno. La trasmissione che conduce su RAI 3, ha come argomento odierno la maternità e i libri, presentati dalle due ospiti giornaliste e scrittrici nonché ovviamente madri, sono dei "prontuari". Per mamme. Del tipo Come essere madri, mogli, professioniste... ed essere felici - sembra pensare Concita mentre pone le domande e ascolta le risposte, forte del suo notevole successo professionale e dei quattro (dico quattro!)  ragazzi che le girano per casa. Il clima è affabile, le gerarchie sono rigorosamente rispettate, ma l'argomento di cui si discute lascia intravedere le emozioni e le contraddizioni del ruolo materno. Attraverso gli "occhiali rosa" della maternità  il mondo si allarga, acquista spessore, ma rivela anche i lati in ombra. La società aspetta al varco la neo-mamma: bisogna conciliare professione e famiglia. Conciliare? Concita diventa più disponibile: novella Virginia, ricorda i tempi in cui, a casa per maternità, si rinchiudeva nel bagno per scrivere,  anelando allo spazio vitale di "una stanza tutta per sé". E' indispensabile, trovare uno spazio "fuori", organizzarsi - dice. Per fortuna le donne sono, per loro natura, multitasking - aggiunge. 
Per natura o per necessità?
Emergono vite faticose, stressanti... ma il sorriso è d'obbligo.
"Le resta tempo per leggere un libro, andare al cinema?" chiede Concita.
"Me lo ritaglio", risponde una delle due ospiti.
"A fatica", aggiunge.
Fine del programma.


domenica 5 gennaio 2014

Il dolore dell'anima e le case farmaceutiche

La malattia di Parkinson si manifesta (di solito) intorno ai sessant'anni, anche se, disgraziatamente, colpisce persone sempre più giovani. Si presenta con sintomi vaghi: astenia, tremore, impaccio, lentezza nei movimenti. Frequentemente un sessantenne si scopre in crisi, tanto più se quella vecchiaia che improvvisamente si erge sul suo cammino si accompagna alla sintomatologia sopra descritta.
Va dal medico, prende vitamine, partecipa a una gita organizzata, redige bilanci… Ma i disturbi aumentano. Il medico di base gli prescrive prima gli esami di routine, poi, visite specialistiche: fisiatra, ortopedico, reumatologo. Passano i mesi… un anno, due. Alla malinconia si associa l'ansia; in famiglia si parla ormai apertamente di «paturnie». Da menopausa. Il medico, con piglio professionale,  usa il termine depressione. Poi, se Dio vuole (si fa per dire), arriva la diagnosi corretta: malattia di Parkinson. Degenerativa, progressiva. E' tanto strano, è anomalo che la tristezza si colori di disperazione e l'ansia diventi panico? Il medico di base, leggendo la diagnosi del neurologo, aggiornerà la cartella personale... Da quel momento però la depressione, indipendentemente dal nostro sentire, sarà data per scontata e «curata» con psicofarmaci.
Non c'è pillola che possa far accettare una patologia come il Parkinson; ogni malato imboccherà una strada personale elaborando con lentezza e fatica la perdita della salute e dell'autonomia; a volte con l'aiuto dei familiari, a volte con quello della fede, alternando bestemmie a pianti,  negazione a ironia, speranza nella ricerca a delusione.
Personalmente vorrei restare «lucida», e, soprattutto, desidererei poterne parlare con il mio medico: senza imbarazzi, con sincerità. Anche perché gli effetti collaterali che si accompagnano alla «calma chimica» sono pesantissimi. Peggiorano, infatti, la patologia parkinsoniana e - volete ridere? - provocano attacchi di panico, perdita di memoria, deficit d'attenzione, confusione mentale, allucinazioni… E allora, come diceva qualcuno: lasciamo fare alla vita (pardon: al Parkinson) questa ultima fatica.
Le case farmaceutiche che hanno trasformato in malattia la vivacità infantile, il disinteresse (spesso comprensibile) scolastico, la svagatezza dei sognatori, per incrementare profitti miliardari, hanno tutta la convenienza a ingabbiare anche il dolore dell'anima, di cui la vita è colma, nelle maglie strette della patologia. E' normale che patologie neurologiche devastanti siano vissute con tristezza, rabbia, malinconia. Il dolore del'anima non è una patologia da curare rincoglionendosi con pillole colorate. E' un'emozione: da trattare con rispetto e umana, umanissima pietas... 



giovedì 2 gennaio 2014

Bilanci

Lampioni gialli galleggiano nel mare nero della notte che ancora assedia il giorno. Oggi il lavoro, per chi ha la fortuna di averlo, riprende, dopo la sosta natalizia. Sono le sette del mattino e le macchine già da un'ora aggrediscono l'asfalto... Mi lascio alle spalle un altro anno, un altro pezzo di vita che già rende il passato più pesante, più denso, il futuro più breve. Bilanci non ne redigo, so in anticipo che sarebbero "in rosso". Quando ero sana (tanto tempo fa), quando ero giovane (il ricordo si perde nella notte dei tempi), il primo/secondo giorno del nuovo anno facevo a me stessa una serie di promesse, una sorta di bilancio di previsione  per l'anno a venire. Il consuntivo, a fine anno, registrava sistematicamente la mancata attuazione degli impegni assunti, ma questo non mi sconvolgeva più di tanto.  In fondo, il bilancio di previsione era un progetto e fino a quando si fanno progetti (che altro sono se non il tentativo di realizzare i sogni?), si è vivi. Non solo, si è fiduciosi e sostanzialmente ottimisti.
E quando non si sogna più?