martedì 10 marzo 2009

La ricetta della torta di mele non l'aveva scordata

Era un inverno lungo, freddo e particolarmente nevoso. Larghi fiocchi scendevano dal cielo planando sul caco e sul pesco dell’orto. Per fortuna aveva un frigorifero enorme, con relativo freezer. Erano sempre pieni, avrebbe potuto resistere all’assedio della neve e del ghiaccio per mesi – pensò, sbirciando oltre i vetri della finestra. Uscì e, arrancando, si diresse verso la legnaia, riempì il cesto e poi si chinò per afferrarlo.
“Le do una mano”.
Stupita, sollevò gli occhi incrociando lo sguardo dell’uomo che, apparentemente emerso dal nulla, le stava di fronte. Si guardò intorno: la neve dava una sensazione d’irrealtà alimentata anche dal silenzio che gravava sulla collina. Sul viottolo, le impronte dell’uomo che giungevano fino all’ingresso della legnaia, spiccavano scure sul candore. Non lo conosceva, certamente non era un vicino. Chi era e soprattutto cosa voleva da lei? Per un attimo provò una sensazione di panico, ma la padroneggiò piantando gli occhi addosso allo sconosciuto e dicendo: ”La ringrazio, ma sono perfettamente in grado di cavarmela da sola”.
Allungò la mano per afferrare il cestino. L’uomo la osservava, attento, il respiro che si condensava davanti alla sua bocca. Era vestito con gusto sobrio ma che denotava una certa accuratezza. Sicuramente non era un barbone e non era uno straniero. Portava pantaloni di velluto beige, una camicia a scacchi, intonata ai pantaloni e al maglione color verde muschio che indossava. Stranamente non aveva un giubbotto, un cappotto. Sembrava uscito di casa in fretta. Lo sguardo le cadde sulle scarpe: indossava scarponcini di camoscio di ottima qualità, bagnati. Quindi aveva percorso a piedi la strada che portava a casa sua. O era venuto in macchina? Si guardò attorno cercando le tracce del passaggio di un’automobile. Non vide nulla.
“ Ha paura?”
Rimuginò per un istante su quella domanda. No, non aveva paura, ma capiva che avrebbe dovuto averne. La casa più vicina era a parecchi metri di distanza. Poteva scorgerne le finestre che davano sul viottolo che portava alla sua casa. Le imposte erano chiuse, sprangate. Chissà dov’erano i vicini?
L’uomo continuava a fissarla, immobile, in attesa. Di che cosa?
“ Fa veramente freddo…”
Lei si accorse che lo scuoteva un tremito leggero. Tremava anche lei nell’abito da casa, sotto lo scialle con cui si era avvolta le spalle. Lo guardò negli occhi, notando che erano belli, di un colore che ricordava quello delle foglie in autunno, teneri e un po’ attoniti. Anche lui la guardava, calmo. Apparentemente tranquillo, anche se in fondo agli occhi c’era qualcosa: uno smarrimento, una domanda, ma una domanda che non esigeva una risposta. Forse perché la conosceva già? Assurdamente pensò per un istante che fosse una domanda retorica. Reminescenze scolastiche?
“ Devo fare colazione, l’acqua per il tè sarà evaporata. Vuole qualcosa di caldo?”
“ Grazie, sono gelato” le rispose. Lei, precedendolo, entrò nella casa e si diresse verso la cucina.
Nel caminetto bruciava della legna. Dalla radio accesa la voce dell’annunciatore gracchiava qualcosa sul tempo. L’uomo disse: “ Nevicherà ancora…” avvicinandosi al caminetto e allungando le mani per riscaldarsi.
Lei preparò il tè e riscaldò la torta di mele che aveva fatto il giorno prima.
“Si sieda”, gli disse appoggiando la teiera sul tavolo. Il tè fumava nella tazza, lui la prese tra le mani per riscaldarle. Il calore del fuoco e quello della tazza avevano calmato il suo tremore. Non parlava, sembrava fissasse un punto sul muro: in realtà seguiva un suo pensiero fisso e le sopracciglia inarcate, a formare una ruga dritta in mezzo alla fronte, denunciavano il lavorio della mente.
“ Mangi anche una fetta di torta: è fatta in casa”.
Sembrò accorgersi di lei, del tavolo sul quale posò una mano quasi a verificare che fosse reale, della cucina, della torta che, lentamente, si portò alla bocca. “ Ottima”, disse e sorrise.
Sorrise anche lei.
“Che ci fa in giro… a quest’ora del mattino? Con questo tempo?”
L’uomo la guardò, negli occhi la domanda esigeva ora una risposta.
“ Lei lo sa?”.
“ Che cosa?”, gli rispose.
“ Lo sa chi sono?”.
“ No! Come potrei saperlo?”.
“ Non lo so nemmeno io. “
Appoggiò la torta sul piattino e si prese la testa tra le mani: “Non so più chi sono, eppure anch’io possedevo una casa come questa, ma non ricordo altro, in questo momento.”
Qualcuno stava suonando alla porta d’ingresso.
Lei andò ad aprire. Entrò una donna dalla taglia corpulenta.
“ L’avevo detto io che vi avrei trovato qui, tutti a due. Ci farete impazzire al Centro Assistenza. Vi correte dietro come due innamorati, ma lo sapete che avete settant’anni e che la responsabilità è nostra, qualunque cosa dovesse accadervi? Ma come ha fatto a prendere le chiavi dalla borsetta di sua figlia senza che lei se ne accorgesse? E’ da ieri che la cerchiamo e questa mattina è scomparso anche lui".
Per un attimo riprese fiato, poi "Senza di lei non sa stare…”., mormorò.
Lei la guardò stupita. Ecco perché non aveva avuto paura – pensò e, gentile com’era nella sua indole, le disse: “ Vuole una tazza di tè? Ho anche la torta di mele, l’ho fatta io.”
La nevicata che andava aumentando d’intensità aveva già cancellato, come la malattia i ricordi, le orme sul viottolo che appariva nuovamente intatto, vergine nel silenzio ovattato della collina.