mercoledì 26 febbraio 2014

La malattia: passaporto per un altro mondo.

Sul mio blog, invitante, appare quella scritta: "Entra"... E io entro, attraverso quel portone immaginario (basta un clic) e mi trovo in un altro mondo. E' un'anticipazione di quell'aldilà tanto temuto, variamente esorcizzato, intravisto nei sogni? Ma saranno stati sogni? Uno dei tanti mondi possibili? Eh sì, perché se accetto che ce ne sia uno, posso, con una certa legittimità, pensare che ve ne siano diversi.
Si dilata la concezione spazio/temporale e questi mondi misteriosi incominciano a girarmi intorno, prima indolenti, curiosi (come me), poi sempre più veloci fino a turbinarmi intorno come il vento d'estate, per poi sparire lontano, ai confini dell'universo, lasciandomi quell'ultimo dubbio: che i confini siano immaginari, inventati, fantasticati a salvaguardia della nostra sicurezza mentale... 
Sono pochi, tra noi bipedi, quelli che osano affrontare i grandi spazi. Non per nulla i cowboys sono rimasti, nell'immaginario collettivo, leggendari. 
Mi torna in mente Cormac McCarthy e la sua Trilogia della frontiera... quel baluginio di stelle che attenua di un soffio appena l'oscurità della notte, la solitudine degli spazi che si estendono a vista d'occhio, il silenzio appena incrinato dal nitrito di un cavallo o dalll'urlo di una iena. Intorno rocce, a spezzare, sottolineandola, l'uniformità della pianura. 
Il nodo segreto, intuito più dai poeti che dagli scienzati deve essere lì, nel cervello, in quell'organo ancora così poco conosciuto.
Chi ha avuto la sfortuna di ammalarsi di una malattia neurologica lo sa, non più con la razionalità o abbandonando una scelta fideistica, ma lo sa perché lo sente che l'anima è un'invenzione del cervello, che i sentimenti nascono lì, che il furore che ci porta il sangue agli occhi, la dolcezza, la disperazione che ci strazia, l'amore che ci rende insensatamente e prodigiosamente felici, scaturiscono dai neuroni, dai grigi, inpenetrabili neuroni. Lo sente sulla pelle, come sente il calore del sole, il brivido di un desiderio, il gelo della paura. Sentimenti, organi e pelle diventano equivalenti, "funzionano" sulla base degli stessi impulsi.
Cambia la caratterialità della persona, quella struttura portante di base che, come il colore degli occhi, non può cambiare, almeno gli psicologi ritengono non possa cambiare, se non per effetto dela pazzia. Diventiamo altri, sconosciuti ai nostri stessi occhi. Non osiamo guardarci: la diversità fa paura, ache perché non l'abbiamo scelta. Non tutto va "in vacca"; qualcosa si potenzia. Io ho avuto la sensazione di aver superato un confine. Le parole mi servono molto meno, le uso perché mi affascinano, ma le sento, in qualche confuso modo, uno strumento di comunicazione superato (e/o abusato)... Bradipo nei movimenti, sono una velocista nella comprensione dell'indole altrui. Tutti i vecchi lo sono: è un fatto d'esperienza?
E' qualcosa di diverso, è uno sguardo più acuto sul mondo che ci fa avvertire i sentimenti altrui con una velocità strana per i bradipi che siamo. I nostri cervelli stabiliscono nuove connessioni,
ci aprono altre porte... Esitanti ci mettiamo in cammino - si fa per dire - ci addentriamo in terre vergini... 
"Hic sunt leones"...
 Avanziamo a tentoni, novelli esploratori che stabiliscono contatti con uno dei mondi possibili, quello in cui le gambe non servono, la forza delle braccia nemmeno, le parole - puah! le parole così ingannevoli, tanto inflazionate - diventano un reperto archeologico. 
Si potenzia la comunicazione con il pensiero: immateriale, il pensiero altrui si capta, affiora nello sguardo, s'intuisce. Corre, il pensiero, su autostrade virtuali, ha mille sfacettature, si accende, si spegne... come una stella. E, noi malati, voliamo sulle sue ali, come su un tappeto volante. Immaginario? Mica tanto.