sabato 30 maggio 2009

I Dellapica

Sigismondo, i gioielli infilati in un sacchetto riposto nella camicia, seguiva l’intreccio delle vie che si faceva sempre più stretto, cogliendo su di sé sguardi che avvertiva o temeva sospettosi. Svoltò a destra e, dopo pochi passi, quasi si scontrò con un ragazzo al quale chiese informazioni sull’abitazione del signor Gaspez. “Non vorrei essermi perso” aggiunse "sono un forestiero”.
“ Abita lì” rispose il ragazzo “la seconda porta a destra.”
Si affrettò e, giunto davanti al portone, picchiò con le nocche della mano. Si aprì uno spioncino.
“ Cosa volete?” gli alitò addosso una voce femminile.
“ Parlare con il signor Gospez. Ho della roba che potrebbe interessargli.”
La porta si schiuse: una donna lo fece entrare e, facendogli cenno di seguirla, dopo aver percorso un corridoio, bussò a una porta di legno massiccio.
“ Entrate”
Sigismondo varcò la soglia e si trovò in uno studio in penombra, rischiarato appena dalla luce di una lampada a olio posta su una enorme scrivania, colma di carte, libri e oggetti vari. Alle spalle dell’uomo una libreria stipata di volumi.
“ Si accomodi” e l’uomo lasciò scivolare uno sguardo vecchio di anni e di vita su Sigismondo, aggiungendo “Cosa mi ha portato?”
“ Conte Dellapicca” disse Sigismondo con un gesto breve del capo, quasi a rivendicare arrogantemente la differenza di censo, e, dopo essersi seduto, si tolse dal petto il sacchetto, appoggiandolo sulla scrivania.
I gioielli rotolarono sul ripiano, brillando alla luce del lume, mentre l’uomo, accostando a essi la lampada e osservandoli con una lente, li sollevava uno a uno.
“ Volete essere pagato in zecchini o talleri” disse, e aggiunse: “Da dove venite?”
“ Sono veneziano…Quanti zecchini?”
“ Venti!”
“ Venti zecchini, ma voi siete pazzo, sono gioielli del miglior orafo di Venezia, guardate questa spilla, e questa collana…”
“ Prendere o lasciare”
Sigismondo sollevò un sopracciglio e con disprezzo sibilò:” Tanto varrebbe regalarveli. Sapete che valgono molto di più, non mi date nemmeno il valore dell’oro e delle pietre”.
Il vecchio, seduto immobile, lo guardava riservandogli l’attenzione che avrebbe potuto dedicare a una mosca.
“ Sono gioielli di famiglia, ricordi...”e la voce del veneziano s’incrinava, la gola stretta dalla rabbia, mentre l’umiliazione, mai provata in vita sua, affiorava dentro di lui come fango dopo la pioggia, inzaccherandogli l’anima e intorbidendo il suo sguardo.’Se quel vecchio pensa di aver trovato un pollo da spennare…’ si disse, mentre allungandosi sulla scrivania riponeva in fretta i gioielli, chiudeva il sacchetto e se lo infilava nella camicia.
Il vecchio lo osservava tranquillo, accarezzandosi il mento puntuto segnato da una corta barbetta.
Sigismondo uscito dalla stanza si trovò davanti la donna che l’aveva fatto entrare. La scansò, prepotente, e, giunto davanti al portone d’ingresso, con violenza azionò il chiavistello e si ritrovò sulla strada. Sudato, il volto arrossato dalla rabbia, la lunga veste nera che gli svolazzava intorno allargandosi ai lati e facendolo sembrare un corvo in volo, Sigismondo non fece caso ai due giovani che lo seguivano, fino a quando con la coda dell’occhio non avvertì una presenza alle sue spalle. Fingendo indifferenza allungò il passo, voltò la testa e intravide i loro mantelli. Accelerò ulteriormente l’andatura, guardandosi istintivamente intorno alla ricerca di aiuto. Il vicolo era vuoto: porte e finestre sprangate.
Il cuore gli batteva in petto accorciandogli il respiro: quegli uomini stavano seguendo proprio lui. Cominciò a correre, svoltò in un altro vicolo, ancora più stretto. Si era perso. Dove diavolo stava andando? La strada si restringeva sempre di più: ansante si trovò davanti alla porta di un magazzino. Sprangata.
Case a destra, case a sinistra. Cristo santo: era in trappola!
(continua...)