sabato 10 dicembre 2011

Storia di nebbie e acquitrini (Puntata n°13 - Parte seconda)

Gualtiero superò anche la morte di Primo, accantonò i rimorsi, trovò una giustificazione per ciò che aveva fatto e saltò decisamente quel confine che ancora, incerto, gli aveva impedito fino a quel momento, pur facendo ciò che aveva fatto, di sentirsi soddisfatto. Con Primo seppellì anche la sua ambiguità che, in fondo, nasceva più dalla paura di perdere la moglie che dal timore di comportarsi in modo non corretto. Rendersi conto che Marilena non se ne sarebbe andata, che si sarebbe limitata a indirizzargli qualche frase sferzante, gli aveva dato un senso  di sicurezza, l'aveva fatto sentire padrone della situazione. Aveva scoperto, con sorpresa  ma non senza una sottile sotterranea soddisfazione, che poteva incutere timore negli altri, lui, il modesto contadino della Bassa, lui che era cresciuto togliendosi il berretto davanti a tutti, senza saper trovare le parole per difendersi, sentendosi sempre fuori luogo o fuori posto. Poteva dire di averne fatta di strada, poteva misurare il cammino fatto da quelle occhiate che lo seguivano servili quando si faceva largo tra la folla nei giorni festivi: la bella moglie al fianco, impellicciata, gli stivali lucidi che gli davano un'aria marziale, lo sguardo che ora si era fatto abitualmente freddo e indagatore. Aveva capito da che parte stare; senza tanti studi, senza tante belle parole aveva saputo fiutare il vento giusto... Ora anche Desmo sarebbe stato fiero di lui, e con una delle sue risate contagiose gli avrebbe detto: "Bravo Gualtiero, bravo! Ora sei proprio un fascista perfetto!"
Come lui, Mussolini fremeva, smanioso di ulteriori spazi da conquistare... l'Abissinia aspettava solo di essere colta, come una mela matura alla fine dell'estate. L'Africa, un continente da scoprire, nuove terre da arare, coltivare... No, no, il suo posto non era tra i contadini, il suo posto era in città a snidare gli antifascisti, sciame fastidioso che come zanzare estive punzecchiava Mussolini, lo infastidiva, ne minava la credibilità...
Il ronzio degli impianti in azione, il fumo della fabbrica, l'odore aspro della polvere, tutto lo riconciliava con la vita - pensò Gualtiero seguendo con lo sguardo il dondolio dei fianchi della segretaria.
Lei si voltò, quasi avesse sentito sulla pelle quello sguardo e, arrossendo, gli chiese: "Ha ancora bisogno di me?".
Lui si alzò. Lentamente, fissandola, si avvicinò senza risponderle. Quando allungò le mani per afferrarla, ebbe la sensazione di stringere tra le dita una coniglietta terrorizzata. Tiepida, calda. Affondò nel rosso dei suoi capelli e chiuse gli occhi. 
Qualcuno bussò alla porta dell'ufficio, un battere di nocche insistente.

(continua... )