mercoledì 24 marzo 2010

La casa delle bambole - racconto a puntate - (n°4)

"Come viveva Gloria? Lavorava?" Quel giorno, il cielo era grigio e in lontananza qualche mormorio di tuono borbottava minaccioso, la campagna trasudava umidità e quella tristezza palpabile che forse solo boschi e prati fradici d'acqua riescono a comunicare. Mentre ci riscaldavamo con un tè bollente arrivò il postino".
"Il solito signora. Una firma qui" disse, sbirciando curioso mentre il cane gli faceva le feste abbaiando furiosamente.
Gloria prese il pacco, firmò, poi con un cenno del capo mi invitò a seguirla. Si fermò davanti a una delle porte che si aprivano sul secondo corridoio, quella accanto al bagno di servizio: tolse una chiave dalla tasca, la infilò rigirandola nella toppa - mi chiesi perché essendo soltanto lei in casa la tenesse chiusa a doppia mandata, portandosi addirittura addosso la chiave - ed entrò.
Depose il pacco sul tavolo e lo scartò: conteneva una bambola dal volto di porcellana, i capelli veri e gli arti di legno. Gloria fece un gesto con la mano indicandomi altre bambole che riempivano letteralmente la stanza, dicendo:"E' stato mio padre a insegnarmi ad aggiustarle, a cucire i loro abiti, a confezionarne le scarpe in pelle di capretto. Le colleziono da anni... Hanno tutte un nome, le mie bambole, le mie bambine, e questo è il mio laboratorio". Aveva gesti materni, tenerezze nello sguardo che non le avevo mai visto. Io mi sentivo, più che osservata, quasi trafitta da tutti quegli occhi che sembravano guardarmi, quasi le bambole dagli scaffali sui quali erano allineate una accanto all'altra, come soldatini, mi stessero valutando.
Alcune, le più preziose, erano conservate in teche di vetro o cristallo.
"Sono una celebrità nel campo, be' non proprio una celebrità", mi disse, "ma un'esperta senza dubbio. Questo lavoro e queste bambole sono tutta la mia vita!"
Poi Gloria, chinandosi a osservarne una, aggiunse: "Questa è la più preziosa della collezione, ma... vedi questa teca vuota: conteneva la bambola che mi era più cara. E' una storia lunga, forse un giorno te la racconterò. Io sono ebrea... ".
L'ultima frase, poco più di un sussurro, quasi si confuse con il rumore della pioggia, che aumentando d'intensità scivolava monotona sui vetri della finestra del laboratorio dando l'impressione che le bambole, riflesse nel vetro rigato dall'acqua, piangessero.
Tornammo in cucina e Gloria, versandosi un'altra tazza di tè mi disse:"Be', di una passione ho fatto una professione. Mio padre sarebbe stato fiero di me... Sai che la bambola che mi è arrivata oggi è esposta in un museo francese a Marsiglia? E' un lavoro che amo. Molto."
"Avevo sentito delle chiacchiere su questi misteriosi pacchi che provenivano da tutto il mondo" le dissi.
Gloria rise e aggiunse "Qualcuno ti ha fatto delle domande precise? Hanno fatto ipotesi sul loro contenuto?" Io arrossii incerta e risposi:"Sì, non mi va di raccontarti delle bugie, la gente aveva fatto... " Gloria m'interruppe:" La gente? Chi?"
Io, impacciata per come stava andando la discussione e conscia di essere caduta nella sua trappola, le borbottai: "Be', una mia vicina mi gira intorno come un segugio, per sapere qualcosa di te. In un posto piccolo come questo una persona con le tue caratteristiche non può non colpire la fantasia della gente".
Gloria sembrò riflettere, poi piantandomi addosso quei suoi occhi che per un istante mi sembrarono quelli delle sue bambole tanto erano freddi e lontani, spersi in un mondo al quale soltanto lei aveva accesso, mi chiese:"Posso fidarmi di te?"
Annui, curiosa.
"Nessuno deve saper nulla delle mie bambole! Tacita le chiacchiere dicendo che sono una collezionista di libri, libri di cucina!" e rise, concludendo "Così quelle quattro casalinghe frustrate mi troveranno meno strana".
Osai chiederle:"Perché?".

La casa delle bambole - racconto a puntate - (n°3)

Io ero divorziata e lei, quando la conobbi, sola. Cominciammo a frequentarci: era, come me, una lettrice onnivora e nella sua casa, come nella mia, i libri coprivano intere pareti contribuendo al disordine delle nostre abitazioni. Non avevamo gli stessi gusti letterari: io ero sanguigna, passionale, amavo la scrittura piena, densa e a una storia chiedevo di emozionarmi, coinvolgermi e sorprendermi. Prediligevo la narrativa e amavo gli scrittori russi dei quali ero solita ripetere:"Se volete dipanare i vostri nodi emotivi, esplorare la vostra anima, partite leggeri per affrontare gli abissi, ma non scordate Tolstoj e Dostoevskij... ". Lei amava la letteratura giapponese: essenziale, senza sbavature, contenuta e raffinata come un giardino zen e non conosceva soltanto Kawabata, Mishima e Tanizaki come me, ma anche, ad esempio Murasaki, autrice importantissima nella letteratura giapponese ma da me considerata noiosa se non illeggibile. Ero affascinata da Gloria, questo era il suo nome e, nomen omen, secondo me il suo destino. Ma alla base di questa fascinazione che io subivo c'era il mistero che la circondava, che ne costituiva l'essenza. L'altro elemento che mi aveva attratta in lei era l'originalità che rendeva unica la sua casa, dove ogni oggetto sembrava portarsi dietro una storia ben più importante, nell'averne determinato la scelta, della sua funzionalità. Originalità che si estendeva ai suoi abiti, ai gioielli, ai cappelli e a tutto ciò che lei indossava.
"Ma dove l'hai trovato?" le chiedevo a volte, sorpresa e incuriosita da qualcosa di assolutamente unico, e lei, con quello sguardo che non riuscivo a decifrare ma che m'impediva di porre altre domande, sussurrava:"In giro... In giro per il mondo".
Gloria era una collezionista nata e vestiva "Vintage" che io, in quegli anni non sapevo nemmeno cosa fosse. Ma perché una donna come lei frequentava una persona come me? Un giorno, eravamo sedute davanti a una tazza di tè nel suo giardino, le feci una domanda che non avevo mai osato porle:"Perché mi frequenti?" Lei, solitamente controllata, mi piantò addosso quei suoi occhi freddi. Mi guardò, le labbra sembrarono schiudersi quasi volesse parlare, e, mentre un lungo brivido mi scorreva lungo la schiena, articolò una risposta assolutamente banale e... falsa che una scintilla nello sguardo tradì. "Mi sei simpatica" e rise, di quella sua risata aspra che ignorava la gioia. Mi alzai con una scusa e me ne andai, portandomi dentro quella sensazione di soffocamento che tentai invano di attribuire al nauseabondo impudico profumo delle zagare, ben sapendo che era stato quel luccichio che lo sguardo aveva tradito, quel bagliore da fiera in agguato che attende di scaraventarsi sulla preda che mi aveva turbata.