Io ero divorziata e lei, quando la conobbi, sola. Cominciammo a frequentarci: era, come me, una lettrice onnivora e nella sua casa, come nella mia, i libri coprivano intere pareti contribuendo al disordine delle nostre abitazioni. Non avevamo gli stessi gusti letterari: io ero sanguigna, passionale, amavo la scrittura piena, densa e a una storia chiedevo di emozionarmi, coinvolgermi e sorprendermi. Prediligevo la narrativa e amavo gli scrittori russi dei quali ero solita ripetere:"Se volete dipanare i vostri nodi emotivi, esplorare la vostra anima, partite leggeri per affrontare gli abissi, ma non scordate Tolstoj e Dostoevskij... ". Lei amava la letteratura giapponese: essenziale, senza sbavature, contenuta e raffinata come un giardino zen e non conosceva soltanto Kawabata, Mishima e Tanizaki come me, ma anche, ad esempio Murasaki, autrice importantissima nella letteratura giapponese ma da me considerata noiosa se non illeggibile. Ero affascinata da Gloria, questo era il suo nome e, nomen omen, secondo me il suo destino. Ma alla base di questa fascinazione che io subivo c'era il mistero che la circondava, che ne costituiva l'essenza. L'altro elemento che mi aveva attratta in lei era l'originalità che rendeva unica la sua casa, dove ogni oggetto sembrava portarsi dietro una storia ben più importante, nell'averne determinato la scelta, della sua funzionalità. Originalità che si estendeva ai suoi abiti, ai gioielli, ai cappelli e a tutto ciò che lei indossava.
"Ma dove l'hai trovato?" le chiedevo a volte, sorpresa e incuriosita da qualcosa di assolutamente unico, e lei, con quello sguardo che non riuscivo a decifrare ma che m'impediva di porre altre domande, sussurrava:"In giro... In giro per il mondo".
Gloria era una collezionista nata e vestiva "Vintage" che io, in quegli anni non sapevo nemmeno cosa fosse. Ma perché una donna come lei frequentava una persona come me? Un giorno, eravamo sedute davanti a una tazza di tè nel suo giardino, le feci una domanda che non avevo mai osato porle:"Perché mi frequenti?" Lei, solitamente controllata, mi piantò addosso quei suoi occhi freddi. Mi guardò, le labbra sembrarono schiudersi quasi volesse parlare, e, mentre un lungo brivido mi scorreva lungo la schiena, articolò una risposta assolutamente banale e... falsa che una scintilla nello sguardo tradì. "Mi sei simpatica" e rise, di quella sua risata aspra che ignorava la gioia. Mi alzai con una scusa e me ne andai, portandomi dentro quella sensazione di soffocamento che tentai invano di attribuire al nauseabondo impudico profumo delle zagare, ben sapendo che era stato quel luccichio che lo sguardo aveva tradito, quel bagliore da fiera in agguato che attende di scaraventarsi sulla preda che mi aveva turbata.
Bel frammento narrativo, con quel "perturbante" che ti si insinua dentro a poco a poco e quell'inquietudine che non ti lascia a lettura finita. Da antologia del racconto nero, quello vero.
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