sabato 12 settembre 2009

Romanzo a puntate I Dellapicca

"Nonna, e Sigismondo?"
"Un secondo di pazienza, Mielita, e arriviamo anche a lui".
E ripresi a raccontare, mentre lei si accoccolava sul tappeto, i grandi occhi assorti che mi scrutavano in attesa.
"Sigismondo era morto?"
"No, Sigismondo, era fuggito, terrorizzato, prendendo, quasi senza rendersene conto, la via che portava al Ghetto. Scivolando lungo i muri, era arrivato alla casa del Rabbi e si era attaccato al battacchio. Dopo essersi fatto riconoscere era entrato e, sconvolto, era piombato sulla sedia, davanti alla scrivania del vecchio che, in silenzio, una mano sull'altra appoggiate in grembo, lo osservava attentamente.
"Dovete nascondermi..."
"E voi dovete raccontarmi tutto, fin dall'inizio".
E Sigismondo si era sgravato del suo sacco di pietre: aveva parlato, senza tralasciare alcun particolare, concludendo il suo racconto con quell'immagine della casa e del magazzino andati in fumo. La sua vigliaccheria l'aveva fatto fuggire e forse aveva perso anche la moglie e la figlia. E il Moro?
Il Rabbi l'aveva osservato, pensoso: quell'uomo, come un rottame dopo un naufragio, era arrivato fino a lui e ora lo supplicava di aiutarlo. Avrebbe potuto respingerlo, invitarlo a andarsene, ma era un uomo saggio e molto prudente. Gli elementi che aveva in mano per giudicare erano pochi, nebulosi: Il Moro dov'era? E dall'incendio non si era salvato nulla? Il Veneziano era conosciuto, il suo sodalizio con il Moro aveva creato ricchezza. Perché rifiutarlo subito rischiando di crearsi un nemico... Avrebbe temporeggiato nascondendolo in quel dedalo di vie e case, almeno il tempo necessario per verificare quanto gli era stato raccontato e scoprire che fine avessero fatto la moglie, la figlia e Il Moro.
Chiamò la sorella e, indicando l'uomo accasciato sulla sedia con un cenno del capo,le disse: "Sistemalo nel solaio della casa di fronte, i Padovan si sono trasferiti a Venezia e prima di un mese non arriveranno i loro cugini. Portagli da mangiare. Nessuno deve sapere che è qui.Mi raccomando".
Sigismondo aprì la bocca per ringraziare, ma il vecchio lo bloccò con un'occhiata infastidita facendo un cenno con la mano che era un chiaro invito ad andarsene.
Il corridoio ingoiò le due figure precedute dalla luce tremolante della lampada a petrolio che allungava ombre sinistre sui muri. In quel momento si udi il rimbombo cupo del battacchio e una voce angosciata di donna filtrò attraverso la porta. " Ma cosa succede oggi?" borbottò Genoveffa affrettandosi verso l'ingresso e aprendo lo sportellino.
"Yael siete voi?" borbottò mentre socchiudeva il portoncino e una figura femminile s'intrufolava, tenendo tra le braccia una bambina avvolta in una coperta. "Venite, potete venire... " e la due donne si allontanarono dirette allo studio, passandogli davanti.
La lampada alzata illuminò il volto della bambina e due occhi azzurrissimi fisssarono Sigismondo che rimase fermo, basito dallo stupore, riconoscendo in quell'inconfondibile contrasto di pelle nera e occhi colore del cielo, la sorella gemella della figlia.(continua...)

Leggere Kafka a Milano

Amo Kafka, Kafka preso in mano a vent'anni e abbandonato subito, disorientata. Ripreso in mano a quarant'anni e letto più per dovere che per piacere. Amo Kafka scoperto, e finalmente assaporato fino in fondo, cogliendo la follia di una Milano dove i casi della vita mi avevano fatto, cinquantenne, arenare. E, mentre impazzivo al Comune o all'Ufficio delle Imposte in code chilometriche per ritrovarmi poi, regolarmente, davanti a un'impiegata programmata per far uscire di senno l'utenza, dicendomi "situazione Kafkiana" sorridevo. Tra le carte, con mani sudaticce, sentendomi oggetto di una persecuzione feroce e per me immotivata, cincinschiavo. Tentare di capire applicando la mia faticosamente conquistata razionalità? Inutile. Tra l'uomo - nel caso specifico la donna - e la vita, l'imponderabile difficoltà, astrusità del vivere, l'angoscia della casualità e l'ingiustizia dell'essere centrati come bersagli dai siluri dell'esistenza.
Nella tasca della giacca lui, Kafka, con i neri occhi febbricitanti puntati sul mondo, osservava attento le mie metamorfosi.