mercoledì 3 febbraio 2010

Paolo Conte in concerto.

Il teatro lo accoglie con un applauso e lui, vestito di grigio, pantaloni un po' sformati, maglione girocollo e giacca che lo avvolge proteggendolo, fa un gesto breve, misurato, in direzione del suo pubblico. Schivo.
Poi siede al piano.
Nel teatro non vola una mosca, un alone di luce lo inquadra...La sua voce arrochita si leva, la musica la sottolinea lenta, lentissima, prima di esplodere lasciando spazio al virtuosismo dei componenti della band. Una canzone dietro all'altra sul filo della nostalgia che evoca i ricordi... Suoi, nostri.
Il pudore dell'ironia si mescola alla poesia, dolce e aspra, delle parole con cui si racconta mentre la musica si spezza, infrangendosi su tonalità contrastanti o evocanti profumi d'oriente.
Canzoni nuove e più raffinate interpretazioni di quelle stranote s'intrecciano, la sua voce si fa sempre più roca, lo strazio del violino lascia il posto alla solitudine che evoca il clarino o alla cascata di note del piano... mentre irrompe a tradimento il clamore della batteria con la sua vitalità incontenibile, come una ciga o una sarabanda popolari che spezzassero la composta geometria di un minuetto.
Alla fine siamo tutti in piedi e il nostro abbraccio lo avvolge, lo scalda, gli fa brillare lo sguardo imprigionato nella rete fitta delle rughe.
Un applauso interminabile sancisce la liaison ritrovata con il vecchio leone.
Paolo Conte strizza l'occhio e sorride, e la lunga linea grigia dei giorni si spezza...
Miracoli che solo la genialità può produrre. (-3 punti classifica Blogbabel)